No. Gelù non è morto (può morire?). Tornerà, prima o poi. Devo solo ricordarmi qualche altra delle sue migliori avventure: se ne raccontassi una qualunque non la prenderebbe bene. Sapete, non è un personaggio molto raccomandabile.
La genesi del racconto che, invece, vado a presentarvi oggi è abbastanza casuale.
Ho sempre pensato che una buona storia potesse essere contenuta dentro una canzone o, anche, un’illustrazione. Sono un avido collezionista di art book e fagocito una quantità di musica pari (se non superiore, a seconda dei periodi) a libri e fumetti. Non trovo sia tempo infruttuoso: una particolare melodia o un’immagine adatta al tuo gusto, può parlarti, letteralmente, per ore. Raccontarti cose, farti esplorare mondi, senza nemmeno bisogno di calarti qualcosa. Le opere dell’ingegno stimolano l’ingegno; è tautologico (mangia questo Morgan!).
Per questo motivo ho deciso di sottopormi a un esperimento abbastanza semplice: scegliere un artista, scrivere il suo nome su Google Images, salvare sul desktop quattro illustrazioni senza metodo (puoi prendere quelle che ti piacciono di più sul momento, andare assolutamente a caso, optare per le prime quattro, ecc.) e, infine, provare a scrivere qualcosa basandoti su queste.
L’artista che ho scelto è Wayne Reynolds, famoso illustratore dei volumi di Dungeons & Dragons e copertinista di Pathfinder (niente collegamento ipertestuale, shame on you se non li conoscete), che ho sempre apprezzato per la sua capacità di unire atmosfere fantasy abbastanza classiche con uno stile ibrido straordinariamente dinamico. Ci vedo il tratto all’ingelse, qualche contaminazione “Jappa”, soprattutto nella caratterizzazione delle armi, e anche un po’ di tamarraggine made in U.S.A.
Il suo art book lo trovate qui, mentre per la prima parte della storia (e per vedere le quattro immagine scelte) vi basta proseguire la lettura:

Arctic Hunter - Wayne Reynolds

<< Una pelliccia? >>

Un buffo nasino arrossato fa capolino su quel viso grazioso di infante. Piccoli occhi come tagliati da un’affilata scimitarra mi fissano curiosi. Pallidi orecchini sferici dondolano sbattendo sulle guance pitturate.

Quei tratti mi sono completamente alieni, esattamente come gli abiti portati da quella cucciola. Una pelliccia di colore blu, riccamente ricamata da motivi che si ripetono regolarmente, ricopre per intero il suo corpo. Folto pelo bianco, appartenente a non saprei dire quale fiera, sulla testa incappucciata. Della stessa fattura è il pelo che le adorna la parte centrale della pelliccia all’altezza della vita.

<< Sono a caccia. Ma’ e Pa’ mi hanno insegnato che la prima cosa da cui difendersi quando si caccia è il Conte Gelo.>>

Sorrideva mentre pronunciava quelle parole, confermate, tra l’altro, dalla singolare lancia che stringe nella mano destra, con due diverse punte acuminate su entrambe le estremità.

<< Il Conte Gelo? Qui? In mezzo a querce secolari, erba e cespugli? Mi pare fin troppo ardita come precauzione. Dove sono i tuoi genitori, piccola, e cosa stai cacciando precisamente? >>

Per un attimo ho avuto l’impressione che stesse discostando l’attenzione da me per fissare le fronde degli alberi tentando di acchiappare, con lo sguardo, un agile furetto. Ma si è trattato solo di pochi istanti.

<< Mi chiami piccola ma sono indubbiamente più alta di te. >>

Logica inattaccabile, devo ammetterlo. Non la si fa alla piccola.

Poso l’ascia a terra e mi alleggerisco anche del pesante elmo. Una brezza d’aria fresca sguscia via lesta tra gli alberi. Senza dubbio mi sarebbero potuti succedere incontri decisamente più spiacevoli

<< Giusto. Sono stato anche tanto scortese da iniziare un interrogatorio senza prima presentarmi, aggiungo. Wo Zek Lo, Conte di Yuhong; Piacere. >>

La bimba, come punta da un insetto particolarmente odioso, stringe la lancia con entrambe le mani e me la punta contro.

<< Un Conte? Deve essere amico del Conte Gelo. >>

<< No mia cara – la rassicurai – non ho mai avuto il piacere. Le mie terre sono riscaldate dal rombo solare per buona parte dello scorrere del Zu-on >>

La presa sull’arma si allenta, ma il viso rimane ancora contratto in un’espressione poco convinta. Le gambe si rilassano e gli occhi cercano la terra.

<< Ho perso Ma’ e Pa’. Ho perso anche la strada verso casa, in realtà, e ho fame. Troppa fame. >>

Tutto mi sarei aspettato dalla vita tranne condividere lo stesso destino di una bimba vestita di un’enorme pelliccia. Desto la testa al cielo ambendo al sole di Ka-ra, la mano che aiuta ogni viandante, ma la fitta vegetazione non gioca a mio favore. Mi liscio la barba fissando quella cucciola smarrita. Infine decido di andarle incontro.

<< Abbiamo in comune una buona fetta di sorte, mia cacciatrice. Si dà il caso che anche io mi sia perso e che non abbia nessuna idea di come uscire da questo labirinto di rovi. Che ne dici di accompagnarmi in quest’avventura? Per te non sarà certamente un problema, dopotutto mi sei pari in altezza. >>

La bimba, interdetta, tasta il mio l’elmo con la mano. Studia ogni verde squama di cui è composto con i polpastrelli, soffermandosi particolarmente sulla lunga coda verde posta sul retro. Ad analisi conclusa ritira la mano e mi fissa irradiandomi con un sorriso.

<< Mi va. Quando partiamo? >>

Ripongo l’elmo al suo posto, sulla mia testa, e torno indietro a raccogliere l’ascia.

<< Che ci fai ancora là, cacciatrice? Svelta, tieni il mio passo. >>

Emerald Warrior - Wayne Reynolds

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<< Dove sei? DOVE?!? Esci fuori! Esci fuori se non vuoi che la tua morte sia ancora più atroce! >>

Tre giorno di marcia. Forse quattro. Non mi importa; fossero anche mille continuerei a cercare. Ho giurato che avrei ucciso il cane che ha massacrato mia moglie e mia figlia ed è questo che farò. Fosse l’ultima cosa che faccio.

Non riesco a ricordare come sono entrato in questa foresta. Che abbia continuato a camminare anche con i sensi annebbiati? Forse è un trucco di quel cane bastardo. No. Impossibile; non è uno stregone.

O forse sì…non ricordo.
Un rumore vicino a me. Appena percettibile ma sono sicuro di averlo udito. Le grandi ombre degli alberi non giocano certo a mio favore: sarei facile preda di un assalto improvviso.

<< Ti metti a giocare adesso? Sai come si chiama questa? PAURA! Esci e affrontami come l’uomo che non sei. >>

Forse non era un rumore, forse sono ancora svenuto e tutto questo è un sogno. In realtà non c’è nessuna foresta, nessun enorme albero, nessuna ombra.

Un rumore, ancora.

Passi, leggeri ma voluti. Chiunque sia non supererà lo scudo di Erik, Il Lupo Rosso. Non posso cadere proprio ora.

<< Salve >>

Freddo. Un profondo gelo viscerale proprio alle mie spalle. Non riesco a muovere un solo arto. Un freddo così abissale può solo annientarti. Non c’è fuoco capace di sciogliere un simile gelo. Penso che Gloriana abbia provato la stessa sensazione prima che la vita le fosse estirpata da quel maiale. Tremava la piccola, tremava per la paura.

<< Ehm-ehm, mi sembra strano che tu, Erik, non sappia che è buona creanza rispondere a un saluto. Anche dare le spalle, invero, non è che sia il massimo quando si conversa. >>

Mi stava prendendo in giro. Odio. Odio. Odio. Mi cresce nella gola, si espande in alto e in basso, fino a raggiungermi la fronte e il petto.

Non voglio essere la preda di nessuno, non finché quel demonio respira ancora. Come ha fatto a sorprendermi? Di quale sortilegio sono preda?

<< Ti ho chiesto cortesemente di voltarti, mio buon Erik. >>

La sua voce è suadente ma ha qualcosa che non riesco a comprendere: come se provenisse da diverse bocche contemporaneamente e coinvolgesse molte parti di me nel suo incedere. Mi sembra di udirla con gli occhi; assaggiare il suo sapore; respirarla addirittura.

Mi giro a fatica, torcendo unicamente il collo insieme al busto, senza smuovere la gambe ibernate.

Una maschera.

Nitidamente bianca. Priva di una vera espressione. Velata parzialmente da un sottile cappuccio. Due orbite vuote fisse su di me.

<< Sono felice tu mi abbia concesso la tua attenzione. Vedi, Erik, devi affrettarti; è tempo ormai che tu conosca i miei altri due ospiti, non puoi permetterti di girovagare ancora senza meta. >>

É lui i mio nemico. Davanti a me. L’uomo che ha macellato senza pietà la mia famiglia.

O forse no?

Più mi sforzo, più non riesco a focalizzare il suo volto. Un’immagine confusa come quella resa dallo specchio di un lago intaccato da una mano.

Come posso avere dimenticato l’immagine dell’uomo che odio più ogni altra cosa al mondo?

<< Avanti, Erik. >>

Il rumore di esseri striscianti colma l’aria. Li sento stringersi l’uno all’altro in un abbraccio viscido, sgusciando su e giù un’ipotetica impalcatura. Da dove viene questo suono?

La maschera davanti a me sembra ghignare, ma la sua espressione non cambia veramente. Come?

Odio. Nuovamente odio.

Mi sono stancato di subire. Decido di reagire: raccolgo le mie restanti forze e vortico su me stesso facendo perno sulla gamba; tengo salda la spada intento a colpire quell’odiosa parodia di uomo.

Fendo unicamente l’aria.

<< Bravo, mio Erik, questo è lo spirito. >>

Tutto il mio corpo sente la sua voce, ma i miei occhi non lo vedono più.
Forse Dietro quell’albero. Una sagoma.

Improvvisamente credo di non avvertire più il freddo; carico portandomi lo scudo davanti al volto con la lama pronta a squarciare nell’altra mano.

Non sfuggirai a Erik, Il Lupo Rosso.

Fendo nuovamente l’aria.

<< Per di qua! Non fermarti proprio ora. >>

Sbuffo come un cavallo ferito. La stessa sagoma di fronte a me, accanto a un altro albero. Quelle parole che trapassano di volta in volta, conficcandosi come spiedi nella pelle.

La spada è pesante. Lo scudo è pesante. Io sono pesante.

Non posso cadere. Per Gloriana. Per Catherine.

<< AAAAAAAAAAAAAAAAH! >>

Mi assesto sulle gambe. Alzo lo scudo. Preparo la spada. Incateno tutto me stesso a quel suono di bestie striscianti.

Inizio a correre in direzione della sagoma come se questa dovesse essere l’ultima azione della mia vita.

<< Presto, Erik. Vieni da me. >>

Ulfbig - Wayne Reynolds

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Ma’ e Pa’ mi dicevano sempre di non fidarmi degli sconosciuti. Quali sconosciuti mi chiedevo io? Dalle nostre parti, al massimo, potrei giocare con qualche cucciolo di leone marino. Non che mi piacciano in realtà. Non mi piace nessun animale incapace di camminare sulla terra. A cosa serve nuotare se non puoi camminare mi chiedo? I coyote mi piacciono. Un cucciolo di coyote lo terrei volentieri ma Ma’ e Pa’ dicono che sono pericolosi.

Mi mancano Ma’ e Pa’. Spero di riuscire a trovarli presto.

<< Queste terre fanno parte della tua contea, Zo-We-Llo? >>

Mi piace questo Conte. É diverso da come immaginavo il Conte Gelo. Molto più basso, questo sì. Non pensavo di poter essere alta quanto un Conte. La sua armatura in compenso è fantastica. Ha il colore che dovrebbero avere le pietre preziose. Così lucida, così verde. Adoro toccarla, poi; ci sono borchie, spunzoni, punte in ogni dove. Penso sia l’armatura più bella del mondo. Già, penso proprio di sì.

<< Wo Zek Lo, cucciola. Comunque no. Te l’ho detto: mi sono perso, proprio come te. Vedi stavo combattendo una grande battaglia. >>

Quell’ascia non mi pare adatta per la battaglia. Forse dovrei dirglielo. La forma è sbagliata: a lama troppo lunga e la punta troppo piccola. Non deve affondare bene così. Ma’ e Pa’ lo direbbero.

Chissà se Ma’ e Pa’ hanno mai parlato con un Conte? Forse con il Conte Gelo.

<< Pensi di vincerla? >>

Cammina sicuro. Certo si guarda un po’ in giro ma è deciso. Se non me lo avesse detto avrei giurato che fosse già stato in questo posto.

<< Cosa, cucciola? >>

<< La battaglia che stai combattendo. Pensi di vincerla? >>

Gli uomini con i baffi quando sorridono sembrano farlo con due bocche. Sono buffi da vedere.

<< Non saprei dirti. Si tratta di una battaglia molto dura. Difendo le mie terre dall’assalto di violenti pirati. Non rimpiango di fare il mio dovere e sono fiero di combattere per la mia contea, ma non amo farlo. In ogni battaglia si ha come l’impressione di perdere un pezzo di sé ed è difficile poi recuperare una cosa cara che è andata persa.

In ogni caso sono sicuro che una valente cacciatrice come te mi farebbe comodo. >>

Parla difficile. Probabilmente è perché è un Conte. Una persona semplice non meriterebbe un’armatura simile. Di questo sono sicura.

<< Fermati. >>

Un urlo terribile. Mi ricorda quello degli orsi feriti da Pa’. Ma’ dice che sono una ragazza coraggiosa quindi un orso non può farmi del male. Poi ho il Conte con me.

<< NASCONDITI! ORA! >>

Quella cosa che è appena uscita dal cuore del bosco correndo e sbraitando come un folle non è un orso. Un uomo. Un uomo con una spada infinita e un gigantesco scudo rosso. Che sia un nemico del Conte?

<< Chi sei? Perché ci attacchi?!? >>

<< AAAAAAAAAAAAAAH! >

L’uomo è più forte del Conte, non c’è dubbio. Ma l’ascia del Conte è più utile del previsto: para ogni colpo senza spezzarsi!

Dovrei aiutarlo. Ma’ e Pa’ sicuramente lo farebbero se fossero qui. Ma non so come. Non ci sono uomini urlanti con giganteschi scudi dove stiamo noi. Spero che questo masso mi nasconda. Vorrei che fosse così grande da nascondere anche il Conte. Non deve morire, ha una battaglia ancora da combattere. Non voglio che muoia, è stato buono con me.

<< ADESSO BASTA! >>

Sì! Non avrei mai detto che quell’ascia fosse così potente. Non solo ha intaccato lo scudo rosso ma ha anche sbalzato via quel pazzo per diversi metri. Il Conte è imbattibile. Lo sapevo io.

<< Non credo di conoscerti straniero e non ho motivi per farti del male, ma se perpetuerai questa tua carica sconsiderata non mi darai altra scelta. >>

L’uomo adesso non urlava più. Credo che il colpo del Conte lo abbia spiazzato: ha l’espressione di quando si va a sbattere contro qualcosa non visto.

<< Io… non capisco. Tu…tu chi sei? >>

Freddo. Mi appallottolo svelta nella pelliccia. Non avevo mai provato un gelo simile. Eppure una foresta dovrebbe essere una cosa calda. Almeno fino a ora lo è stata.

<< Finalmente riuniti tutti e tre. Devo dire che mi avete fatto penare. >>

Ecco quello che rende fredda una foresta: un mostro. Come mi è arrivato alle spalle? Non ho sentito assolutamente niente. Detesto la sua voce: continua a rimbalzarmi dentro la testa anche ora che ha smesso di parlare. Vorrei farla smettere, mi fa impazzire.
Chiudo gli occhi, porto le gambe al petto e premo i palmi delle mani sulle orecchie. Ti prego Ma’ vienimi a prendere. Svegliami; deve essere tutto un incubo.

<< Chiunque tu sia, leva quella maschera e mostra il tuo volto: non c’è onore nel celarlo! >>

Il Conte non sembra impaurito. Che quell’armatura lo renda immune ai mostri? Sarebbe fantastico!

<< Quella cosa…quella cosa è quella che stavo combattendo! Deve essere stato lui a giocarmi. >>

Dalla sua voce, l’uomo uscito dalla foresta deve essere terrorizzato almeno quanto me. Magari prima era solo folle per la paura; ho visto molti animali feriti comportarsi nello stesso modo.

<< Calmi, calmi. Non siate prevenuti. Vi ho condotti qui per proporvi un equo scambio. Chiedo solo un poco della vostra attenzione. >>

Ogni altra sua parola è una stalattite che mi si conficca in testa. La pelliccia è inutile, anzi, sarebbe inutile tutto il pelo del più grande degli orsi bianchi.
Non ne posso più!

Mi alzo in piedi facendo forza sul masso: qualunque cosa succeda mi sono rotta di starmene qui.

Riprendo l’arpione che avevo posato ai piedi. Quando viene il freddo bisogna stare vicini e scaldarsi l’un l’altro: questo mi hanno sempre detto Ma’ e Pa’.
Mi avvicino al Conte; tiene il braccio sollevato, puntando l’ascia contro quell’essere. I suoi occhi mi rassicurano: sono inamovibili. Gli stringo la mano libera appendendomici con tutta me stessa.

É gelida.

L’armatura non lo protegge. Avverte il freddo come me ma non lascia trasparire niente. Sono alta quanto lui, forse poco più, ma in questo momento è come se mi stessi reggendo a una roccia venti volte più grande di quella dietro cui mi stavo nascondendo prima.
Alzo anche io la mia arma contro il nemico imitando il Conte.
Sono la sua cacciatrice.

Qualche istante dopo, la maschera torna a parlare:

<< Bene, adesso ascoltatemi…>>

WormThatWalks - Wayne Reynolds

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Le Storie di TNE: Lost Souls Forever #1

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