Sono un maledetto hipster e quindi mi guardo solo le serie tv britanniche; inteso?

Non è vero. Però mi piace dirlo.

Black Mirror è, per l’appunto, una miniserie televisiva, composta da due stagioni di tre episodi autoconclusivi ciascuna, nata in Inghilterra e ideata, oltre che prodotta, da Charlie Brooker (Dead Set); in Italia è stata trasmessa inizialmente su Sky, nel 2012, e, successivamente, su Rai 4.

Ogni episodio della serie è incentrato sul rapporto tra uomo e mezzi di comunicazione, e, come fosse una versione aggiornata della mitica The Twilight Zone, il format si propone di rappresentare scenari verosimili, partendo, ogni volta, da un preciso spunto di carattere pseudo-fantascientifico.

 

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La principessa Susanna, membro amatissimo della famiglia reale, è stata rapita e su You Tube viene diffuso un video nel quale i rapitori assicurano che ammazzeranno la giovane se il Primo Ministro non si presterà a consumare un rapporto sessuale con un maiale in diretta televisiva, sulla rete nazionale.
In un mondo nel quale quasi tutti gli individui sono dotati di un impianto neurale che li rende in grado di visionare le proprie memorie in qualsiasi momento, avanti e indietro, come se fossero capitoli di un lunghissimo DVD, Liam Foxwell, aspirante avvocato, inizia a dubitare della lealtà coniugale di sua moglie Ffion; per questo non riesce a fare a meno di scorrere ossessivamente i suoi ricordi in cerca di qualche, fondamentale, indizio che possa provarne l’infedeltà.
Sfruttando un programma online in grado di ricreare, all’interno di un sistema di chat, la personalità di un soggetto avvalendosi di tutte le informazioni contenute all’interno dei social network, Martha trascorre le sue giornate a parlare con l’imitazione digitale del suo compagno, morto solo poco tempo prima, per cercare di compensare il lacerante dolore della perdita.

Queste sono solo alcune delle situazioni proposte dalla serie, che fa dell’originalità e della coerenza tematica uno dei suoi punti di forza.

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Black Mirror non è, propriamente, un serial di genere Horror, non ci sono, al suo interno, reali scene dell’orrore, ma un profondo senso di angoscia accompagna lo spettatore nell’arco di tutta la visione delle stagioni: vedere le persone diventare, sempre più, schiave delle loro fissazioni, attraverso l’utilizzo di avanzati strumenti di comunicazione, è un processo logorante, che si avverte, in maniera tangibile, sulla propria pelle, proprio perché si tratta di una procedura dannatamente attuale, la cui evoluzione possiamo osservare quotidianamente.

La serie inglese riesce a mantenersi coesa perché si concentra sull’uomo: non assistiamo alla demonizzazione del mezzo; gli strumenti messi a disposizione dell’umanità rimangono, appunto, tali. Cambia, invece, il modo in cui le persone riescono a sfruttare queste moderne tecnologie per torturarsi; costringersi all’interno di un opprimente prigione in cui il “social” diventa, paradossalmente, un modo per allontanarsi dal prossimo, estinguendo, progressivamente, la propria umanità.

 

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Lo schermo nero è quello di un qualunque monitor di PC, Tablet o smartphone, attraverso il quale si filtra la realtà circostante. Si arriva così alle derive di episodi come White Bear, in cui la protagonista, rincorsa da killer resi anonimi da maschere con le sembianze animali, come in un classico slasher, si ritrova circondata da persone che, simili a zombie, continuano ininterrottamente a “filmarla” con dispositivi mobili, evitando qualsiasi tipo di assistenza o contatto.

 

 

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In The Waldo Moment si assisterà, invece, a una campagna elettorale portata avanti, non da un candidato in carne e ossa, ma da un cartone animato, di nome Waldo, le cui uniche direttive, imposte dalla produzione, saranno quelle di distruggere e umiliare gli avversari a suon di insulti e pesanti prese di giro, in modo da assicurarsi audience e supporto da parte degli spettatori, sollazzati costantemente da riferimenti osceni e trovate demenziali.

 

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La focalizzazione sarà costantemente incentrata, in sintesi, sull’elemento umano nella macchina e sulla relativa disumanizzazione dell’umanità, considerata sempre meno nei termini di insieme di individualità e sempre più come generica utenza, membro passivo di un perpetuo spettacolo globale.

 

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Perché Black Mirror merita di essere visto?  Perché solo in rarissimi casi, negli ultimi anni, mi sono trovato a rigirarmi nel letto a rimuginare, incessantemente, sui contenuti di un prodotto destinato all’intrattenimento. Black Mirror è uno di questi.

 

*Potete reperire gli episodi di Black Mirror semplicemente cercando le diverse puntate su You Tube o acquistando, in alternativa, le due raccolte delle stagioni.

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