Ci sono perle e perle rare, oggi ci occupiamo di una perla rara.

Esattamente.

Prima ancora dei vari Splinter Cell della domenica o di qualche altro brutto adattamento dei romanzi di Tom Clancy c’è stato un gioco che ha inaugurato tutto questo filone di spy-action game.
Signore e signori giù il cappello d’innanzi a Syphon Filter.

 «NAIN-EIT-NAIN STUDIOS» annunciava con viva e vibrante soddisfazione il nostro televisore una volta che la PlayStation(1) iniziava a frullare il dischetto a tutta birra, e venivamo proiettati là, nel caos.
Un caos buono, se mi passate il termine, il caos degli intrighi internazionali, delle agenzie di spionaggio, delle guerre sottacciute e delle armi batteriologiche.
Sì, perché proprio questo è Syphon Filter: un virus letale creato da Erich Rhoemer, di professione terrorista internazionale.
Ma Syphon Filter non è un virus “un po’ più letale dell’ebola”, è un microrganismo in grado di infettare precisi gruppi etnici e di sterminarli, in più: può essere riprogrammato. Si tratta di un angelo della morte insomma: scrivi l’etnia che vuoi morta e guarda come scompare nel giro di poche ore.
La Trama come nei giochi di spionaggio in generale è riassumibile in appena due righe: Gabriel Logan e Lian Xing sono due agenti della CIA e devono cercare di arrestare questa banda di terroristi ed evitare la diffusione del virus. Ma come ogni buon videogiocatore sa il tradimento e il depistaggio sono dietro l’angolo, e i nostri due protagonisti si trovano a districare una matassa ingarbugliata di nomi e indizi che sembrano sempre puntare in una direzione per poi cambiare improvvisamente. Non voglio davvero raccontarvi nulla della storia perché si tratta davvero di un lavoro ben svolto: dialoghi avvincenti e intrighi che tengono attaccati al Joystick fino all’ultimo filmato, in attesa di scoprire chi minchia sia davvero il cattivo e, se non salti fuori alla fine che persino il protagonista è marcio. A dire il vero i dubbi sui protagonisti non vengono mai, ma Lian Xing con quel suo nome vagamente orientale non mi ha mai convinto del tutto.

Voi vi fidereste di una spia che si depila le sopracciglia a questa maniera?

Il Gameplay è indubbiamente il punto forte del gioco.
Innanzitutto i movimenti degli omini sono molto fluidi (soprattutto considerata la console su cui giravano) Gabriel e Lian poi hanno due modi di muoversi differenti, non come possibilità di azioni (non ci sono differenze di forza, precisione con la pistola o di capacità d’infiltrazione fra i due) ma proprio la posa in cui restano fermi, o il modo in cui corrono, saltano, si arrampicano etc. Una trovata davvero notevole per i tempi del gioco (31 gennaio 1999) che caratterizza ulteriormente i due personaggi: Gabriel stilisticamente più portato all’azione e allo scontro “aperto” e Lian, invece, più adatta allo spionaggio e agli attacchi a sorpresa.
La varietà delle azioni possibili poi lo rendono molto più di un semplice sparattutto in terza persona, nonostante i percorsi siano obbligati il più delle volte, e quindi certi scontri siano inevitabili, è possibile aggirare i nemici in maniera “silenziosa” sorprendendoli alle spalle. Questa libertà di movimento (a volte un poco eccessiva e che porta il giocatore a perdersi per le mappe prima di trovare la giusta via) rende Syphon Filter interpretabile in più maniere a seconda del tipo di giocatore che siamo: Rambo di Torino o Solid Snake.
Proprio questo misto fra spionaggio à la Metal Gear e lo sparatutto in terza persona rende questo gioco davvero bello, completo e ancora oggi piacevolmente rigiocabile. Non è un caso che si sia classificato diciannovesimo fra i videogiochi più belli di tutti i tempi.

La Grafica è un’autentica merda. Lo era già all’epoca e ovviamente oggi non può che essere peggiorato l’effetto: I volti dei personaggi non si vedono neppure nei filmati, le mani sono poco più che dei quadrati (ma da sempre le mani sono uno dei punti più difficili di realizzazione grafica) l’espressività è assente. Eppure si capisce subito tutto: stati d’animo e pensieri dei personaggi ci risultano evidenti in ogni momento e l’immedesimazione è forte con i nostri eroi. E non è forse questo l’importante? Oltretutto l’ho rigiocato recentemente proprio per scrivere questo articolo e, superati i primi dieci minuti in cui la grafica mi risultava pesante e mi sentivo un quadrato grigio scuro che sparava ad altri quadrati grigio chiaro, non ho più risentito di questi difetti e mi sono goduto ampiamente la partita.

Se riuscite a distinguere un poligono dall’altro (dovrebbero essere sei in tutto) noterete la fluidità della corsa di Gabriel Logan

In sintesi un gioco divertente è da vivere tutto di un fiato. Una trama solida e interessante con dialoghi tendenti all’action-movie ma comunque adeguati e coinvolgenti che hanno molto da insegnare a tantissimi giochi moderni sempre più preoccupati da una grafica allucinante e un gameplay iperintuitivo dimenticandosi questi dettagliucci.
Da sottolineare come l’avvento di nuove console e quindi la miglioria grafica degli ultimi numeri della saga non abbiano giovato al prodotto, che non è riuscito a rinnovarsi trovando la longevità di serie simili come Metal Gear Solid e facendosi soffiare il posto da Splinter Cell che tanto deve a Logan e Xing (ma anche dal sopra citato gioiello di casa Konami).

Venerdì retro: Syphon Filter
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