Biglietti finiti.

Queste due semplici parole svelano una realtà che avevi inconsciamente deciso di ignorare fino ad adesso: non siete più in tre gonzi a essere patiti di Sherlock.
Il fatto che il primo speciale della serie, Sherlock – The abominable bride (andato in onda nel Regno Unito il primo di gennaio), abbia ricevuto l’onore di venire proiettato direttamente nelle sale cinematografiche, anche se solo per due giorni, in diversi paesi al di fuori della terra di Albione, non è altro che un’ulteriore testimonianza della notorietà raggiunta dalla creatura di Steven Moffat e Mark Gatiss.
In ogni caso, la possibilità di conquistarsi due posti per lo spettacolo delle 20:15 è tristemente negata a me e al mio compare, non ci resta che ripiegare su quello delle 22:50.
Come riempire questo imprevisto iato?
Elementare, ubriacandoci.

Capite bene che un episodio di Sherlock non si segue proprio in maniera limpida accompagnato da flati orali sistematici dovuti al più prezioso dei derivati del malto d’orzo, che vi voglio vedere a bere una bottiglia sola di questa ‘orcoboia, con la palpebra un po’ calante e obnubilati dai fumi dell’alcol: già di schietto in Sherlock c’è poco, se poi non lo sono nemmeno gli spettatori la situazione rischia di diventare poco chiara.

L’attesa è stata molto British, possiamo dire così.

(S)Fortunatamente(?) a metterci a nostro agio c’ha pensato il dinamico duo Moffat e Gatiss, confezionando uno speciale a misura dei fan: ne L’abominevole Sposa ritroverete tutti gli elementi rappresentativi della serie concentrati in novanta minuti; ecco quindi Cumberbatch e Freeman che recitano (splendidamente) ormai con il pilota automatico, dialoghi sempre brillanti venati da un umorismo frizzante, strizzatine d’occhio a non finire riferite a tutta la galassia Holmesiana, un intreccio volutamente aggrovigliato che si dipana fulmineamente nelle battute finali grazie ai soliti lampi del protagonista e una certa compiaciuta china autoreferenziale di cui è intrisa tutta la puntata. Se si è degli appassionati della serie non si potrà quindi uscire dal cinema realmente scontenti, ma è anche vero che arrivati ai titoli di coda vi rimarrà in bocca un certo un sapore un po’ amaro e no, non credo sia colpa del luppolo.

L’impressione è quella di trovarsi davanti un prodotto le cui potenzialità non sono state sviluppate completamente. Lo spunto è ottimo: costringere Sherlock a una virtuale seduta psicoanalitica, in cui psicologo e paziente si identificano sempre nella figura del protagonista, usando come sfondo l’ambientazione vittoriana, quasi come fosse un ritorno alle origini per il personaggio, un’indagine della sua natura più intima.
Il problema è che tutti questi propositi non restano velati, non si depositano in un livello meno epidermico, ma vengono costantemente urlati allo spettatore, tanto che traspare chiara la volontà degli autori di sottolineare la sagacia della produzione.

Quel che rimane è invece un’emanazione diretta della sindrome da strizzata d’occhio alla J.J. Abrams: il “tranquilli ragazzi, siete a casa” è fin troppo chiaro e lo spettatore viene lisciato, blandito, rincuorato a più riprese.
In sé la cosa non si può considerare realmente un difetto ma è anche vero che non si rilevano più le situazioni spiazzanti, riconducibili alla sensazione di essere stati presi in contropiede, che avevano fatto la fortuna della serie; anche se i brividi percepiti nelle ultime battute di The Reichenbach Fall sono obiettivamente difficili da ricreare, forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più.

Guardiamo il lato positivo: almeno prima si è bevuto

Chiosa cattivella e dopotutto ingiusta, visto che siamo comunque davanti a novanta minuti di intrattenimento che scorrono via piacevolmente senza mai annoiare ma quando si viene viziati, e Sherlock nel corso di questi anni lo ha decisamente fatto, risulta sempre difficile accontentarsi di bocconi meno sfiziosi.

Poi, oggettivamente, quella Weiss era qualcosa!

 

 

 

Sherlock – L’abominevole sposa

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