This is a God dream

Cosa lega Kanye West a Sandman?

Niente. Non penso che nessuna persona sana di mente riuscirebbe a scorgere qualche nesso tra il rapper più esuberante e chiassoso in circolazione e la più fortunata creatura partorita dalla mente di Neil Gaiman.
… nessuna persona sana di mente, appunto.

Lo ammetto, nonostante sia conscio che i suoi album sono un coacervo di esagerazioni e smargiassate, non posso fare a meno di amare Kanye West; nei suoi pezzi affetti da iperproduzione, nella musicalità ipertrofica, nei suoi testi-sproloquio totalmente autoreferenziali e avulsi dalla benché minima oncia di umiltà, avverto una visceralità semplicemente dirompente.

Anche nelle cose minori del suo repertorio, come il recente The Life of Pablo, West riesce a concentrare una mole impressionante di rimandi, intuizioni, follie e colpi di genio. L’album che nel complesso è forse fin troppo incoerente e a tratti, oserei dire, inascoltabile, ma la sensazione è comunque quella di trovarsi davanti a una bestia indomabile; un toro lanciato a tutta velocità per i vicoli di Pamplona, che spazza via tutto quello che trova sulla sua stra. Un’inarrestabile furia naturale.

Dovreste trovarla nello Zanichelli alla voce “umiltà”

Questo è possibile solo perché a un ego ipertrofico West abbina un talento francamente spropositato. Album come My Beautiful Dark Twisted Fantasy  sono inavvicinabili per buona parte degli altri rapper in circolazione e riescono a sintetizzare al loro interno anni di storia dell’hip-hop generando al contempo un unicum fresco e originale.

I 34 minuti che compongono la struggente versione completa di Runaway nelle mani di un altro si sarebbero facilmente rivelati una nenia tronfia oltre che anacronistica, vista la gravità, degna di un componimento epico, che caratterizza il componimento; Kanye invece ne fa un piccolo film gioiello audiovisivo: una trascinante ballata lunga quanto un mediometraggio, in cui l’immaginario schizofrenico del musicista si mostra in tutta la sua magnificenza.

Senza ricorrere ad abbassamenti di registro o a soluzioni di comodo, si affronta a testa alta un’ambizione parossistica, alimentata da ritmi tribali e refrain ossessivi, riuscendo infine a dominarla completamente: più che un video, una manifestazione di superiorità.

Nonostante questa spassionata dichiarazione d’amore, continua però a restare sospeso il quesito iniziale: come si lega tutto questo a Sandman Overture?
Ora ci arrivo…

The Sandman Overture è una miniserie a fumetti composta da sei albi, la cui pubblicazione è iniziata nel 2013 e si è conclusa nel 2015, sceneggiata da Neil Gaiman e disegnata da J.H. Williams III, che si pone come ideale preludio alla saga originale del Signore dei Sogni, gloria della Vertigo anni ’80.

Leviamoci subito il dente: Overture non è il lavoro migliore di Gaiman e probabilmente, ma su questo si potrebbe discutere, nemmeno di Williams III; nonostante questo, si rivela uno dei fumetti americani più imponenti degli ultimi anni.

Perché?
Semplice: manifesta superiorità.

La morte di una delle incarnazioni di Oneiros, la furia incontenibile di una stella impazzita, la scomparsa della Speranza, un viaggio ai confini dell’universo, la fine e l’inizio del tutto.
Questi sono solo alcune delle portate servite dalla coppia di autori che fin da subito non nasconde l’intento di affrontare di petto la materia epica e mitologica, senza concedersi scorciatoie.

Overture è un fumetto enormemente ambizioso, non solo perché rimette mano a una delle serie più venerate di tutti i tempi, tanto che per Sandman sarebbe più corretto parlare di adepti piuttosto che di fan, ma anche perché si pone come obiettivo quello di racchiudere in soli sei numeri un’intera Cosmogonia.

La tematica principale è incentrata sulle ripercussioni insite nell’atto dello scegliere; una singola decisione può portare a mutamenti decisivi nella vita degli uomini, sia per quanto concerne l’agente stesso della scelta, sia per le persone che gli stanno intorno.
Tutto questo, declinato nella dimensione sandmaniana, prende la forma di uno sconvolgimento cosmico in grado di mettere in discussione la composizione stessa del creato.

Visto che siamo in ambiente DC, non sarebbe così sbagliato parlare dell’equivalente di una Crisi per il pantheon degli Eterni.

L’intento è riuscito? Non pienamente.

Da un punto di vista editoriale, la pubblicazione, funestata da diversi ritardi e così spalmata su un periodo di quasi due anni, non ha favorito il pieno godimento della mini, che letta tutta d’un fiato guadagna sicuramente diversi punti, ma anche dal punto di vista della scrittura si rileva qualche problema nel ritmo della narrazione, con alcuni passaggi trattati in maniera troppo sbrigativa o eccessivamente allusivi; Molti elementi vengono dati per scontato e forse il risultato sarebbe stato più efficace se ci si fosse soffermati maggiormente nel fare chiarezza sugli snodi cruciali.

Eppure, nonostante queste debolezze strutturali, l’opera nel suo complesso riesce comunque a brillare di una possanza rara.

 

J. H. Wiliams III e Dave Stewart (uno dei migliori coloristi in circolazione) mettono in mostra tutto l’armamentario; in particolare il disegnatore, noto per aver dato vita al Promethea di Alan Moore, dimostra ancora una volta che quando si tratta di fare sul serio, ce n’è veramente per pochi: le sue sono tavole tesoretto che mescolano armoniosamente le influenze più disparate: da Jack Kirby per le scene galattico, a Jean Giraud/Moebius per più momenti dalle tinte western, da Steranko per diverse soluzioni di storytelling, a Eisner per i titoli implementati nel disegno stesso; passando per un’estetica mutuata dall’Art Nouveau e Alphonse Mucha o per una raffigurazione di Padre Tempo debitrice di Peter Max e della Pop art.

A sconvolgere è il fatto che Williams III dà l’impressione di padroneggiare ottimamente tutti questi scuole e stili, tanto che è in grado in grado di adattarsi in maniera camaleontica alla singola tavola, andando a pescare da un’ideale cassetta degli attrezzi senza fondo; il lettore resta stupito a ogni tavola e non si sa mai cosa ci si possa trovare davanti, girando pagina. L’artista riesce a scomparire all’interno della storia, reinventandosi ogni volta a seconda delle esigenze narrative: un tour de force artistico completato dai colori lisergici di Stewart, che non si lascia intimorire dal talento imbizzarrito del suo collega, dando fondo alla sua variegata tavolozza.

Gaiman, pur non raggiungendo i picchi qualitativi toccati in altri precedenti lavori, riesce a concentrare in soli sei
numeri un’infinità di storie, personaggi ed eventi; il respiro del racconto è dei più ampi immaginabili e le fonti di ispirazione principali si identificano nei romanzi di Jack Vance e la saga fumettistica di Adam Warlock.

Non rinunciando alla consueta parola evocativa, capace di suggestionare più che di descrivere, lo scrittore inglese tenta di spostare i binari della narrazione su territori inediti per la saga, intessendo contemporaneamente una serie di rimandi capaci di gettare una nuova luce sulle vicende originali, che succedono cronologicamente le vicende narrate in Overture.

Anche se con i limiti prima elencati, bisogna rendere atto all’autore che la drezione intrapresa è stata sicuramente coraggiosa e che, nonostante tutto, si mantiene salda per tutta la lettura la sensazione di stare assistendo a un evento epocale: una storia dalla portata cosmica.
In questo, Gaiman ha sicuramente fatto centro: le pagine finali sono un’unica trascinante cavalcata verso un climax conclusivo di sicuro impatto, tanto che è difficile non chiudere il volume con un sorriso soddisfatto stampato sul volto.

Overture e Life of Pablo, pur con tutte le loro differenze (non ultima quella di essere uno un fumetto e l’altro un album musicale), sono entrambi frutto di puro estro di: condividono un’ambizione sfrenata unita alla capacità di concentrare un flusso vorticoso di suggestioni e influenze in un singolo prodotto.

A dimostrazione che non c’è niente di male nell’essere ambiziosi, a patto che si abbiano i numeri per farlo.

 

Watch The Throne: Sandman Overture
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