È mercoledì, il giorno del cinema.
Ti girano le palle perché sei in quel momento di mezzo in cui non è né inizio settimana né weekend. Vorresti lamentarti, quindi, ma non puoi: mancano le condizioni di base.
Il cinema è l’ancora di salvezza e allora salviamoci: niente cultura il mercoledì, niente demenza o film per l’infanzia scritti strizzando l’occhio ai trentenni frustrati di oggi.
Ci vogliono muscoli e azione.
Ci vuole un bel film tamarro.

Attori tamarri: salviamo il tuo mercoledì dal 1982.

In sala c’è esattamente quello che serve: King Arthur, ennesima rivitazione del mito d’Albione, diretto da quello che si bombava Madonna Guy Ritchie.
Che poi se ci pensate Guy significa letteralmente “tizio” e Ritchie è un modo scanzonato di chiamare i ricconi, quindi: Tizio Ricco.
Insomma, è mercoledì e al cinema c’è un film tamarro diretto da un Tizio Ricco. È evidente come io sia già in sala con quindici euro di pop-corn.

Il cast sembra una presa in giro: Jax Teller Charlie Hunnam di fianco a Lenny Belardo Jude Law.
Sons of Anarchy vs The Young Pope.
Motociclisti immigrati irlandesi contro la Chiesa cattolica.
Boh, ragazzi, ma davvero devo continuare a scriverla questa recensione?

Artù era il classico nonnetto pacioccone con la spada potente.

Il film comincia e più passano i minuti più mi rendo conto di una cosa: non ci sono donne. Le donne in questo film non contano niente. King Arthur è una storia di “super-machi” che litigano per una spada che è la più potente.
Freud sta avendo una crisi epilettica.
Ci sono tre scene con le donne in questo film: una in cui Artù pesta un vichingo che ha malmenato una sua mignotta (letteralmente); una in cui Jude Law (ha un nome probabilmente, ma non importa, sul serio) parla con una sua cortigiana e le svela di sapere che sta facendo la doppiogiochista per conto di un uomo; un’altra in cui Jude Law uccide sua moglie per prendere i superpoteri.
Tre scene di donne, e in tutte e tre sono lo strumento di un uomo. La prima è uno strumento di piacere; la seconda è uno strumento di spionaggio; la terza è un mezzo per arrivare al potere.
Ma non è un caso, e neanche una provocazione. King Arthur è un film per uomini, che parla di uomini, e che racconta un’epoca in cui a contare erano solo gli uomini.
È talmente fondamentale il machismo in questo film che manca pure la storia d’amore.
Ginevra non esiste, e neppure Lancillotto (perché l’unica cosa per cui viene ricordato il più forte cavaliere della tavola rotonda di Re Artù è che si faceva la moglie del capo). Le donne sarebbero una distrazione, l’unica – che pure ha un ruolo stranamente rilevante – è Morgana (la bellissima Àstrid Bergès-Frisbey <3) che nella leggenda Camelottiana è sempre stata una nemica di Artù.
Insomma, alle donne e all’amore nun ce dovete penzà!

La storia è uno sfoggio di muscoli e scene d’azione girate a torso nudo. Probabilmente lo stesso Guy Ritchie stava a torso nudo durante le riprese.
Jude Law ha usurpato il trono a suo fratello, uccidendolo. Avrebbe voluto sterminare anche tutta la sua famiglia ma Artù riesce a scappare. E così Escanzabar Escantibur Excalibur, ricompare in una roccia poco fuori il castellone, e il buon Jude chiama tutti i masculi del regno a provare a estrarla.
Artù in tutto questo è stato allevato da donne, di professione prostitute, di cui non vedremo mai la faccia, e con cui lui non dividerà mai particolari moti d’affetto – anche se diamo per assunto che sia un puro e voglia molto bene alle sue madri adottive. Artù cresce e oltre a diventare nerboruto diventa anche un pappone.

Ditemi voi se non è una giacca da Big Poppa medievale, questa.

Artù è un magnaccia del ghetto e si farebbe volentieri anche i fatti suoi. C’ha il suo giro, le sue robe, non è neanche un ribelle. Sì, evade un bel po’ di tasse a dire il vero, ma, ehi, sono italiano, non mi sento di giudicarlo per questo.

Insomma, il caso vuole che Artù sia costretto a sostenere la prova e che – come da leggenda – estragga la spada dalla roccia.
A sottolineare la correlazione fallica (il film in Italia è uscito col sottotitolo Il potere della spada, perché davvero il film è riassumibile con “il mio cazzo è più lungo del tuo la mia spada è più forte della tua”) c’è pure una battuta in cui un ragazzo dice a Artù: «È quella la spada? Mi aspettavo fosse più grossa».
Da lì ingrana la vicenda: si risveglia il sentimento nazional-popolare – perché Jude Law è un monarca ingiusto e blablabla – e tutti che fanno il tifo per Artù.
Ma è un Artù che di fare il re non ha tutta ‘sta voglia: a lui davvero basterebbe tornare a Londinium a occuparsi dei suoi affari, stare coi suoi amici… Il dado però è tratto, la spada estratta, tocca fa’ aa rivoluzione.

Se si vogliono trovare delle pecche a questo film, stanno – come un po’ in tutti film di Guy Ritchie – nell’autocompiacemento del suo autore. Il Fantasy è brutalmente stuprato, l’esattezza dei personaggi con quello che si può considerare il canone è buttata nel cesso con soddisfazione – di Guy e nostra – ma a volte si sentirebbe il bisogno di non accelerare.

Una caratteristica registica di Ritchie sono i “montaggioni”, intere sequenze a ritmo velocissimo dove si raccontano storie lunghe in tempi brevissimi. A volte è tutto quasi più un videoclip che un film; e ti vien voglia di vedere chi sarà il primo in classifica a TRL questa settimana.
Con questi montaggi, Guy sbriga le prassi: dobbiamo vedere l’infanzia di Artù, come diventa un uomo? Vabbe’ ma tanto lo sapete, no… prenderà qualche schiaffo, poi va in palestra, si pompa e ridà gli schiaffi a chi li aveva tirati.

Chiariamolo il punto ogni tanto. Alle volte qualcuno non lo avesse capito.

È vero, sono parti che già sappiamo, figlie di cento film già visti di questo genere, ma sono anche le parti in cui instauriamo un rapporto col protagonista, sono i momenti in cui empatizziamo con lui per poi fare il tifo nel gran finale. Poco conta se sappiamo già la storia. Tutte le storie sono già state raccontate ma ogni volta ci emozioniamo ancora.
Ma questo non è un film normale. QUESTO È IL FILM DEL MERCOLEDÌ. E noi vogliamo solo le botte.
Per cui Guy sorride, si toglie la camicia e urla: Azione!

Un altro problema, ben più rilevante è che Ritchie sta scrivendo film con cui intende far partire delle saghe, nello stile Marvel con gli Avengers, o DC con… con… fa dei film anche la DC?
Prima era stato The Man from U.N.C.L.E., film di spionaggio brillantissimo fino al finale, dove veniva buttato in vacca un lavoro buono e che avrebbe meritato davvero una seconda chance. King Arthur ha una parte conclusiva più efficace ma permane con quel clima di sottofondo da “questo è l’inizio, la roba seria arriva dopo”; peccato che quel quel dopo non lo vedremo mai, probabilmente, visto che il film sta andando molto male al botteghino.

Però è mercoledì, abbiamo già il cazzo girato per i fatti nostri, figurati se ci importa dei problemi di Tizio Ricco.
Prendiamo un biglietto allora, e lasciamo ogni preoccupazione al banco dei pop-corn: c’è da menare le mani, almeno per le prossime due ore.

King Arthur – Il film del mercoledì
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