Ricordate Richie Rich?
Tormentone cheap degli anni Novanta diretto da Donald Petrie e basato sull’omonima serie fumetti degli anni Cinquanta e sulla successiva trasposizione cartoon del 1980, prodotta dalla Hanna & Barbera. Candidato ai Razzie Awards nel 1995, certamente rappresenta uno di quei prodotti cinematografici scadenti, meramente intrattenitivi, chiassosi, senza pretese, squalificanti. Ma una visione più adulta – ho assecondato il mood natalizio che, da Mamma ho perso l’Aereo, ti invoglia a riesumare Macaulay Culkin – vi potrebbe portare a giudicare più generosamente.
Ecco perché:

-Richard Rich padre, buon capitalista:
Allegro multimiliardario dai gusti mostruosamente kitsch: nonostante la ricchezza sultanica il capo della famiglia Rich (Edward Hermann) non ha perso buonumore e coglioneria, né dimentica di mettere il suo biondo delfino al primo posto – memorabile lo strumento del Cerca Padre, che tiene figlio e genitore in contatto anche quando il facoltoso si trova a colloquio privato col presidente degli Stati Uniti. Ma, a voler essere pretenziosi, ecco che questo ridanciano filantropo, può simboleggiare il lato luminoso, utopico, del capitalismo: Rich modernizza una fabbrica con l’intento di reimmetterla sul mercato donandone la proprietà agli operai. L’esatto opposto di quel che il capitalista Van Dough ha in mente di fare. Gli operai, nell’ottica di idealità dello svagato capitalismo alla Richard Rich, non sono più merce come ogni altro articolo di commercio, né sottoposti alle oscillazioni del mercato. È una piccola realtà ideale in cui cadono i ruoli canonici – oppressore contro oppressi – e non c’è alcun motivo di far lotta di classe: gli operai diventeranno i padroni.

-Richard Rich e i sovvenzionamenti alla scienza ( parzialmente spesi in inutilità):
Il goloso e adorabile professor Keenbean, scienziato, chimico, inventore, pasticcione, è un uomo pieno di risorse che, in uno dei sotterranei della sterminata villa Rich – per cui, nella realtà, fu adoperata la vecchia residenza del collezionista George Washington Vanderbilt II – è profumatamente pagato per inventare e far progredire la scienza. Lodevole intento, quello del buon Rich, se non fosse che una delle invenzioni che si faranno, nel corso del film, più determinanti è l’Odorofono.
Ma  perché no? Ci sono apparecchi che ci consentono di sentire e vedere meglio; perché non voler anche odorare meglio?

-La lingua segreta: il latinorum
L’evasione del compunto e “più schizzinoso dei padroni” maggiordomo Cadbury – e si ringrazi l’inventiva resourceful del buon Keenbean – non sarebbe andata a buon fine se non si fosse fatto ricorso, nel biglietto che illustra l’utilizzo della pasta dentifricia corrosiva – che tutto corrode eccetto il tubetto che la contiene – per cui Richie lo scaltro ha scelto un linguaggio incomprensibile ai più: il latino.
Ciò mi diverte oltre ogni decenza.

-Il sovversivismo del giovane Richie:
Solo il genere del fumetto originale, rivolto a un pubblico acerbo, da formare, ha il merito di aver reso Richie un sovversivo: totalmente svincolato rispetto alla realtà adulta – come un eroe della narrativa per l’infanzia – dopo la scomparsa dei genitori comincia ad agire con la propria testa, ereditando le belle illusioni paterne e imponendosi in azienda contro Van Dough e il suo sgherro, ecco che trasforma i figli degli operai della fabbrica che deve essere chiusa, in un comitato di ricerca e sviluppo: sono più che ferrati, trattandosi di ricerche di mercato sullo junk food. Richie prende la parola, imponendosi assieme agli altri bambini, sfidando le regole del mondo adulto e distorto che si trova ad avere attorno: a che pro? Per difendere i giusti ideali che il padre gli ha trasmesso. Encomiabile.

 

 

Apologia di Richie Rich, ovvero: applicare l’ermeneutica dove non serve
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