Ok, ok, il pezzo è vecchio, lo avevo scritto parecchio tempo fa per il mio precedente blog.
Il fatto è che, nel caso in cui mi fosse concesso arrampicarmi sugli specchi come nemmeno un alpino ubriaco fradicio, lo ritengo un buon articolo, mi dispiacerebbe andasse perduto e, inoltre, il tempo è quel che è: il vostro inedito oggi lo avete già avuto e, se non faccio uscire questo maledetto consigli del martedì, il capo, chiunque esso sia, ha giurato di spararmi pallettoni di sterco e fuliggine in pieno viso.
Quindi, in estrema sintesi:
. Cosa ci vuole per raccontare una bella storia?
Quesito di difficile risposta, soprattutto perché una storia si può raccontare in diversi modi, avvalendosi di infiniti strumenti e modalità.
Cosa rende una storia speciale?
Altro mistero insolubile.
<<L’intreccio!>>
Risponderebbe qualcuno; riferendosi all’incredibile magia che porta un ingarbugliato groviglio di destini ed eventi disparati a dipanarsi ordinatamente (o caoticamente) in un unico disegno.
<<I personaggi!>>
Ribatterebbe un altro, pensando alle emozioni dovute a un individuo nato nella mente di chissà chi e chissà quando e partorito su pagine di carta o sullo schermo, retroilluminato, di un computer.
La verità è che l’unica sicurezza che possediamo è che ci sono delle storie che ci piacciono. Ci sono protagonisti che ci emozionano. Ci sono storie che, pur non parlando di noi, ci comprendono. Ci sono personaggi che, pur non avendo mai incontrato realmente, ci sembra di conoscere.
I Kill Giants
Joe Kelly (sceneggiatura), J. M. Ken Niimura (disegni)
Edizione Originale: http://www.bookdepository.co.uk/I-Kill-Giants-Joe-Kelly/9781607069850
Edizione Italiana: Volume unico Bao Publishing , traduzione a cura di Caterina Marietti, € 15,00
Joseph “Joe” Kelly, sceneggiatore americano fra i fondatori del gruppo conosciuto come Man of Action, di storie simili ne ha narrate tante, spaziando anche abbastanza bene tra diversi generi ma mantenendo sempre un occhio di riguardo per il pubblico di riferimento dei fumetti di supereroi e, in generale, per i ragazzi. Fra le sue ultime fatiche si può annoverare una serie a fumetti composta di sette numeri e raccolta successivamente in volume unico, disegnata da J. M. Ken Niimura e prodotta dalla Image Comics, intitolata
I Kill Giants. La particolarità di questa storia è quella di muoversi, con una grazia non comune, nell’ambito di una difficile vicenda interiore che ha come protagonista una giovane ragazza all’ultimo anno delle elementari.
Barbara Thorson è una ragazzina che usa la sua notevole immaginazione per sfuggire agli orrori di una realtà dolorosa; incapace di socializzare, introversa e spesso aggressiva, decide di chiudersi nel suo mondo fantastico per sopravvivere.
Inaspettatamente sarà la stessa fantasia a scuoterla e a spronarla tanto da farle affrontare le avversità senza più nascondersi.
Avvalendosi di un cast di personaggi prevalentemente femminile, Kelly scandaglia le paure della sua protagonista usando l’immaginazione come un’arma: potenzialmente infinita, presente ma mai invadente, avvolgente e onnipresente, la fantasia è l’unica cosa di cui Barbara si fida completamente, ed è anche quindi il primo mezzo per ritrarre la ricca varietà emozionale di un individuo così giovane e non ancora completamente autodefinito.
Rappresentare una ragazza senza aver paura di usare il suo linguaggio, è questa la forza di I Kill Giants, che non si vergogna della sua natura a partire dalla copertina e dai disegni che specchiano fedelmente le medesime intenzioni. Niimura fa uso di uno stile che manifesta una buona conoscenza della tradizione giapponese nel campo del fumetto di natura adolescenziale: con figure semplici, magari dotate di pochi connotati distintivi, una divisione della tavola intuitiva e tutta una serie di accorgimento grafici utili a impreziosire pagine altrimenti anonime o a non appesantire la lettura.
L’impegno manifesto di rendere questo albo equilibrato e tarato anche per un pubblico più giovane, magari inesperto di fumetto, non va sottovalutato. Difficile per un adulto possedere un’elasticità di pensiero tale da riuscire a ricreare, in maniera credibile, i pensieri e i comportamenti di una persona anagraficamente così distante da lui; difficile, soprattutto, narrare tutto questo in modo tale da risultare facilmente digeribile ad un pubblico diversificato, senza rinchiudersi nella propria nicchia di genere.
Ma, forse, è proprio la fantasia la chiave di tutto. Quando è riversata in grandi quantità e lasciata libera di correre, la fantasia appassiona grandi e piccini in egual maniera, ed è triste rilevare che nel panorama attuale (sia cinematografico che televisivo, ma anche letterario e fumettistico) ossessionato dalla brama di realismo e cinismo a tutti i costi, c’è sempre meno spazio per l’immaginazione pura.
Pensando a questo, mentre leggevo “I Kill Giants”, mi è tornata alla mente un’altra serie a fumetti, questa volta pubblicata dall’etichetta Vertigo, scritta da Grant Morrison e disegnata da Sean Murphy, intitolata Joe The Barbarian.
Joe the Barbarian
Grant Morrison (sceneggiatura), Sean Murphy (disegni)
Edizione Originale: http://www.bookdepository.co.uk/Joe-Barbarian-Grant-Morrison/9781401237479
Edizione Italiana: Volume unico Planeta DeAgostini, traduzione a cura di Michele Foschini, € 16,95
Anche in questo caso abbiamo un protagonista adolescente, alle prese con una situazione famigliare complicata, che si trova immerso (questa volta per colpa di una crisi ipoglicemica) in un’impresa che vede la realtà fondersi in maniera inscindibile con l’immaginazione. Pur con le dovute differenze, nella serie Vertigo, infatti, l’odissea del ragazzo nel mondo della fantasia popolato dai suoi giocattoli occupa gran parte della storia mentre nel fumetto di Kelly e Niimura la vicenda è concentrata nella quotidianità, Joe the Barbarian e I Kill Giants condividono una parte finale molto similare, in cui la fantasia aiuta il protagonista a venire a capo delle sue difficoltà, e, soprattutto, entrambe le opere serbano un notevole rispetto alla realtà immaginifica.
Alla luce di questo e ripensando alle domande poste inizialmente (cosa ci vuole per raccontare una grande storia? Cosa rende una storia speciale?) mi verrebbe da dire che il comune denominatore fra le belle storie, di qualunque natura esse siano, sia quello di riuscire a raccontare un po’ di noi servendosi degli infiniti mondi potenzialmente esplorabili dalla nostra mente.
<<Joe? Oh mio Dio, cosa è successo? Dove sei stato?>>
<<In un mondo tutto mio>>
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