Eccoci qui per l’atto terzo, l’ultimo articolo in coppia col mio caro amico SymoXIII di A Star Cross Wasteland.
Nel primo abbiamo scritto un breve racconto insieme a tema dylaniano (lo trovate qui); nel secondo abbiamo fatto entrambi una recensione ad cazzum o per così dire “a caldo”, scompigliando un poco le regole del buon recensore (trovate la mia qui e la sua qui).
Oggi, per concludere, facciamo il nostro lavoro in maniera onesta: una bella recensione sull’ultimo numero del nostro caro indagatore dell’incubo.

Ma perché tutto ‘sto parapiglia per un numero di Dylan Dog?
Semplicemente perché questo non è un numero qualsiasi, non lo è nella continuity dylandoghiana e non lo è nemmeno in quella del fumetto italiano.

Per prendere in esame questo numero e capire cosa davvero ha di rivoluzionario (perlomeno in Italia, all’estero verrebbe banalmente bollato come un reboot) bisogna prima esaminare il concetto di serialità.
Minchia è la serialità? La serialità, in soldoni, è raccontare un qualsivoglia tipo o genere di racconto facendo in modo che questo non termini mai, o perlomeno duri il più a lungo possibile. Un racconto seriale non dovrebbe mai vedere arrivare la propria fine, e se succede è solo perché ci sono dei cali di ascolti, oppure muore chi si occupa dell’opera, oppure finiscono i soldi per produrre l’opera.
Un banalissimo esempio di serialità sono i telefilm. Prendete la vostra serie preferita, non vale Breaking Bad però, sceglietene un’altra. Ecco, in The Walking Dead o in Scrubs (tanto o avete scelto l’una o l’altra) i personaggi non cambiano mai realmente se ci fate caso. Sì, si fidanzano, poi si lasciano; prima hanno la barba poi la tagliano; ma nel profondo restano sempre gli stessi. JD all’inizio della serie si fa i peggio filmini mentali e sogna di ricevere un accenno di stima dal Dr. Cox, nell’ultima puntata JD ottiene (con uno stratagemma fantastico) quella stima e finisce la puntata

. Ora, quanto è cambiato JD in otto stagioni? NIENTE.
Allo stesso modo nei fumetti ci sono delle regole e delle dinamiche che sono alla base della narrazione e modificarle non significa semplicemente portare un cambiamento, significa raccontare un’altra storia.
Questo è ciò che è successo con questo numero: dal prossimo mese Bonelli ci racconta un altro Dylan.

Ecco la copertina del nuovo Dylan

Vi ho giocato uno scherzetto: quella sopra è la copertina dei Fantastici Quattro dello scorso mese.
Ok, scherzavo, ora torno serio. Ho messo la copertina di Amazing Spider-Man #50 perché la nuova copertina di un sempre più bravo (ed è sempre stato bravissimo) Angelo Stano cita proprio quel vecchio numero perché fu anch’esso rivoluzionario.
Perché Spidey? Beh perché finalmente in Dylan torna uno degli aspetti più importanti: le citazioni.
Le citazioni in Dylan Dog non sono semplici strizzatine d’occhio al lettore o stravaganze dello sceneggiatore di turno; proprio come nel cinema Tarantiniano le citazioni non sono mai casuali, ma aprono al lettore finestre su nuovi mondi e integrano la storia perfettamente. Ultimamente nelle storie di Dylan l’unica citazione era la trama delle storie, e non nel senso buono: erano vere e proprie scopiazzature di classici (o anche di cagate sudcoreane da cinema d’essai). Questa volta invece Paola Barbato (suoi i testi) ci regala numerose e splendide chicche, una su tutte: la citazione di The Walking Dead. Quella citazione non serve solo a dire “ehi, guarda, siamo al passo coi tempi”, nella vignetta Nora ha in mano un tablet. Non è una cazzata qualunque: Dylan e la tecnologia sono nemici da tempo immemore (non ha neanche il telefono fisso!), con quella vignetta c’è un’apertura a quel mondo fino ad adesso deliberatamente ignorato (proprio perché intrinseco alla natura del personaggio).
Ma veniamo al cambiamento più sconvolgente: il pensionamento di Bloch.

In un Paese dove nessuno andrà mai in pensione il vecchio Ispettore di Scotland-Yard ci va, e non a caso è inglese infatti.
Il cliché della pensione di Bloch era sicuramente polverosissimo e ormai completamente macchiettizzato; sapevamo tutti che ‘sta pensione non sarebbe mai arrivata e che tutto sarebbe andato avanti così fino alla prossima guerra nucleare.
Ma il cliché della pensione non era solo una battuta facile o un riempitivo per sceneggiatori poco abili, rappresentava un pilastro dello stesso personaggio, il contraltare di Dylan che invece è sempre entusiasta e ritiene eventi straordinari persino le bollette della luce.
Bloch va in pensione e niente sarà più lo stesso.
Sì perché adesso Dylan non è più il benvenuto a Scotland-Yard, e dal prossimo mese ci sarà un nuovo ispettore che gli metterà i bastoni fra le ruote ad ogni piè sospinto.
C’è da dire inoltre che questo cambiamento è permanente. Bloch non tornerà più a lavorare. Non è una ragazza da cui si è mollato ma tanto poi ci torna, la pensione non si chiama Rachel e questo non è Friends. Hanno avuto coraggio in redazione, a partire dal nuovo boss Recchioni, fosse dipeso da me avrei semplicemente migliorato l’equipe degli sceneggiatori, senza cambiare altro, ma evidentemente questo giochino non era più sufficiente; se a Bonelli hanno deciso di correre questo rischio vuol dire che non c’erano alternative, dopotutto Dylan è il fumetto più venduto in Italia dopo Tex, perché cambiarlo se non fosse stato strettamente necessario?

Analizzando brevemente il numero mi limito a dire che la storia è molto ben fatta e che i disegni del sempre straordinario (ma oggi davvero di più) Bruno Brindisi sono uno dei motivi più validi per cui questo numero è un must-have. Dire quindi di fare un Brindisi a Bruno.

Personalmente ho qualche ripicca sul finale, che ho giudicato un po’ troppo buttato lì

ma alla fine le mie sono le classiche puntualizzazioni di chi vuole trovare un pelo nell’uovo per forza, quando la verità è che di peli a questo giro ce ne sono proprio pochi e, anche se il prezzo di 3,20€ generalmente scoccia un po’, questo mese li vale davvero tutti, anzi, si potrebbe accennare anche una mancia.

Conclusioni: Si prospettano finalmente tempi migliori per il nostro Indagatore di Craven Road. Serviva da anni (almeno 3) una benedetta svolta per ridare nuovo slancio all’Old Boy che a questo giro ha rischiato veramente di diventare old, e d’ora in poi possiamo finalmente aspettare gli ultimi del mese per assalire il nostro edicolante come zombi famelici alla ricerca del nuovo numero.
Chiedo scusa se ho detto che il 338 era l’ultimo numero di Dylan Dog, non si dovrebbe fare perché porta sfiga, ma la verità è che questo era veramente l’ultimo numero di Dylan, e da domani ci aspetta qualcosa di diverso; confidando che Recchioni e soci sapranno fare il proprio mestiere egregiamente.

Ps: se la mia recensione non vi è piaciuta sparatevi quella di SymoXIII che è migliore!

Dylan Dog #338: recensione seria (più o meno)

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