Rullo di tamburi e… Siamo tornati!
La rubrica più seguita dopo Oscure Trame ritorna – finalmente – dopo un’ingiustificata e lunghissima assenza.
E come potevamo tornare? Solo così: con uno dei giochi più belli di sempre e uno dei giochi che più ho amato al mondo.

«È lui: è Max Payne!»

– Leitmotiv del gioco

La stupenda copertina del gioco

Nella copertina c’è tutto quello che vi serve sapere, perché c’è davvero solo un modo di parlare di questo gioco: giocandolo.
Max Payne è un vero e proprio underdogs dei videogiochi: non ha mai vinto premi eclatanti, non è mai citato fra i giochi migliori, eppure è amato e stimato da tutti i videogiocatori del mondo. Un po’ come certi vecchi campioni sportivi che magari giocavano nella squadra che più odiavi, però li stimavi comunque perché non potevi fare altrimenti, troppo bravi.

Max Payne non è solo un bel gioco però, è qualcosa di diverso, che ha rotto gli schemi e che ha mostrato un nuovo modo di fare videogame: il modo che più amo e che solo questo gioco finora ha risolto appieno.
Innanzitutto siamo nel 25 luglio del 2001 e da poco è uscita la Play Station 2.
Chiunque rispolveri la vecchia console nera e faccia partire il mio amato dvd si accorgerà subito di essere di fronte a qualcosa di unico: tanto per cominciare è un noir, genere non ancora esplorato dal mondo dei videogames,e la grafica non fa che ricordarcelo. I colori, i dialoghi… è noir allo stato puro, ci si aspetta che Raymond Chandler spunti da un momento all’altro per dirci qualcosa.
Come iniziamo il gioco scopriamo subito un’altra cosa: non ci sono video in questo gioco. O meglio, ce ne sono al massimo una decina ma non sono dei veri filmati in computer grafica come li intenderemmo oggi o come li avremmo intesi all’epoca, I video sono sostituiti da un fotoromanzo! Ovviamente noir.

Eccovi un piccolo esempio

Ebbene dietro a questo gioco c’è un tipo di lavoro nuovissimo, qualcosa di mai visto prima d’ora: anziché essere concepito e sviluppato da qualche produttore videoludico è pensato e scritto da uno sceneggiatore: il finlandese Sam Lake.

Sam Lake presta inoltre il proprio volto per la realizzazione grafica di Max Payne, recitando per tutto il fotoromanzo

Questo dettaglio piccolo tanto quanto fondamentale porta alla creazione di uno dei videogiochi con una storia fra le più solide e appassionanti mai viste.
La storia di Max è una storia di vendetta pura e semplice: è un uomo a cui è stato portato via tutto e che si ritrova quindi con niente da perdere (the man with nothing to lose è il sottotitolo della serie). Ma tutto è scritto e sceneggiato così bene che sembra di stare dentro a un film anziché a un videogioco, e il desiderio di vendetta percuote anche noi spronandoci ad andare avanti inesorabili, proprio come il nostro Max.
L’intreccio è meraviglioso e la trama porta continuamente a colpi di scena imprevedibili e mozzafiato, fino all’immancabile resa dei conti finale: tanto spettacolare quanto il gioco stesso.
Ma dell’importanza della storia ci si accorge oltre che dalla bellezza dei dialoghi e della trama da un altro piccolo particolare: in qualsiasi momento è infatti possibile «rileggere» tutta la storia, vignetta per vignetta, proprio come fosse un film (fra l’altro graficamente ricorda tantissimo la trasposizione cinematografica di Sin City, ora che ci faccio caso…).
Insomma, è questo ciò che mi piace e mi è sempre piaciuto di Max Payne: la storia viene prima di tutto. La storia è così bella che ho passato più e più pomeriggi a far scorrere il fotoromanzo e basta, senza nemmeno sparare un solo proiettile ai nemici.

Ma Max Payne non si ferma qui, non è semplice un gioco con una storia perfetta, Max Payne interpreta meravigliosamente i tempi e introduce una novità pazzesca: il bullet-time.

Ecco una tipica scena bullet-time

Il bullet-time è qualcosa che gli sviluppatori rubano da Matrix e da tutto il nuovo filone action-movie, ovvero la spettacolarizzazione delle scene attraverso il rallenty.
A differenza dei film però, il bullet-time non è soltanto una soluzione estetica, ma una vera e propria mossa utile a schivare pallottole e ammazzare nemici più facilmente.
Vedremo quindi il nostro Max lanciarsi in tuffo in ogni direzione sparando ai nemici o schivando i loro colpi.
Il bullet-time non è infinito, ma accanto alla vita del personaggio è disegnata una clessidra che indica il livello di bullet-time a disposizione: clessidra piena = bullet-time al massimo; clessidra vuota = niente bullet-time. Per riempire la clessidra bisogna far passare del tempo (ma si riempirà più lentamente) oppure uccidere dei nemici (allora si riempirà prima).
Il bullet-time era talmente rivoluzionario che di lì a poco molti giochi lo avrebbero copiato, compreso il videogioco di Matrix, che lo avrebbe chiamato orribilmente “livello di focus”.
Sul libretto trovavamo persino un’ipotetica spiegazione di come Max facesse a dominare il tempo in questo modo, e gli sviluppatori ci dicevano che all’interno di una sparatoria il cuore di Max pompava più velocemente per via dell’adrenalina e che il suo livello di concentrazione in questo modo superava i normali limiti dando quindi a lui stesso l’illusione di rallentare il tempo; e siccome siamo noi a governare Max Payne l’illusione veniva passata anche a noi.
La spiegazione è al limite del credibile, però soltanto l’idea che gli sviluppatori si siano presi la briga di volercelo dire nel libretto delle istruzioni ci mostra un lavoro diverso, totalmente asservito al coinvolgimento del videogiocatore che, a questo punto, non può che diventare un tutt’uno col grande Max e combattere con lui per la sua vendetta.

Era come essere un po’ più vicini al paradiso

– Max Payne

Un’ultima e grandissima figata di questo gioco sono state le mod uscite di ogni tipo, frutto della programmazione di pazzi hacker in giro per il mondo e che alteravano alcuni dettagli di questo gioco (questo però solo per la versione pc) rendendo l’esperienza ancora più divertente.
Sicuramente di queste la più celebre è la versione “Kung-fu”, dove max compie con disinvoltura salti mortali, corre sui muri e picchia come fosse un forsennato Jackie-Chan in Colpo grosso al Drago Rosso.

Credo non serva aggiungere altro, già solo a sentire il rumore delle pistole mi è venuta voglia di rigiocarci tipo orasubitoadesso.

Spero l’articolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto scendere la lacrima nostalgica di ordinanza, ci rivediamo il prossimo venerdì con un altro capolavoro del videogioco: a presto!

Venerdì retro: Max Payne
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3 pensieri su “Venerdì retro: Max Payne

  • 21 Novembre 2014 alle 9:42
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    Immenso. Un post che rende giusta giustizia a questo gioco che non mi pento di definire “Capolavoro”, nonostante la parola sia molto abusata sull’Internet, ma per Max Payne non è sprecata 😀

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  • 21 Novembre 2014 alle 10:04
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    La cosa più bella di Max Payne erano le facce dei personaggi, cioè fotografie degli sviluppatori che fanno smorfie “appiccicate” lì sopra in maniera staticissima.
    Vederli parlare era bellissimo!

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  • 21 Novembre 2014 alle 17:15
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    Sentire parlare il buon Massimo (Max per gli amici) in punto di morte e vedere la faccia immobile con denti digrignati o alle volte disperata è sempre stato qualcosa di unico. I nemici che gridavano “Attenti è Payneee” con la bocca storta e immobile…wow (e non parlo di world of warcraft).
    Non c’è verso: ti piacevano i giochi action?
    Ti piaceva Max Payne. Ti piaceva il survival? Idem.
    Ti piaceva guardare i porno? Tra una sessione di youporn e l’altra sfruttavi il periodo refrattario per un capitolo di Max Payne.
    I capitoli che toccavano da vicino il discorso della figlioletta neonata erano da brividi.

    La stazione di Roscoe Street era impregnata di odore di morte. Dovevo trovare Alex e farlo in fretta.

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