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Stato d’animo corrispondente al desiderio pungente o al rimpianto malinconico di quanto è trascorso o lontano.“n. della giovinezza”
The best minds of my generation are thinking about how to make people click ads.
Jeffrey Mannerbacker
Questa prima parte degli anni ’10, ve ne sarete accorti, non sta brillando per inventiva. I “nuovi Harry Potter”, intesi come saghe dall’immaginario creativo dirompente, in grado di creare nuovi mondi a raffica e di radicarsi fortissimamente a livello culturale sono soltanto due: The Walking Dead e Game of Thrones; e sinceramente puzzano entrambi di imitazione di modelli già visti, per quanto indiscutibile sia il loro valore artistico (soprattutto in Game of Thrones).
È evidente come in assenza di idee fresche non resti che riciclare il caro vecchio usato sicuro, o, per dirla con J.D.: “Quando non hai altro che vecchie parole, puoi solo metterle insieme e sperare che dicano qualcosa di nuovo”.
I Cinema pullulano di remake e supereroi, l’imminente Ghost-Busters, ma anche opere nuove ispirate ai classici anni ’80, sono sintomo di mancanza di inventiva, sì, ma anche di un forte e diffuso senso di nostalgia.
È inutile fare i lamentoni: se i cinema sono invasi da riproposizioni (è dura trovare sinonimi di remake) è perché qualcuno le guarda.
Eppure.
Eppure su un carrozzone dove sono riusciti a salire praticamente tutti, non hanno trovato posto idoli della nostra infanzia che, pur essendo stati autentici pilastri, sono inspiegabilmente scomparsi.
Nello scorso articolo ho parlato proprio di questo: idoli anni ’90 dal successo strepitoso di cui oggi non parla più nessuno, né si vocifera un rifacimento.
Oggi è il turno di un altro grande – soprattutto per stazza – idolo: Beethoven.
Per la mia generazione Beethoven non è un musicista ottocentesco sordo, ma un San Bernardo obeso e combina guai.
Tutto comincia quando due ladri rubano una serie di cuccioli di cane da un negozio di animali, fra cui il nostro morbidoso amico. Il San Bernardo mostra però un’intraprendenza notevole, nonostante la giovine età, e riesce a scappare dai furfanti trovando riparo nella casa della famiglia Newton.
La famiglia è il classico modello stereotipato anni ’90 per i film da bambini: tre figli bianchi, due femmine e un maschio (liceale, scuola media, elementari), figlia femmina più grande innamorato del tamarro del liceo che non se la fila perché giustamente limona già l’intera squadra di cheerleader a ricreazione; il ragazzo nel mezzo che viene bullizzato e la più piccola che è lì per fare arredamento; genitori bianchissimi con moglie biondissima, lui sempre a lavoro e lei che non si sa cosa faccia.
Il cane, accolto male dal padre e benissimo dai figli, prenderà il nome di Beethoven (musicista amato dal capofamiglia George) e sarà la scheggia impazzita che rimetterà a posto gli equilibri.
Il primo film, diretto nel 1992 da Brian Levant, è stato il primo di una lunga serie, ben sette titoli fra cui l’immancabile film di natale e uno a tema piratesco.
Beethoven ha pure avuto una serie animata di 26 episodi, dove, a differenza dei film, il cane parlava.
Le dinamiche, nei film come nel cartone, restavano sempre le stesse: il cane si cacciava nei guai, George si arrabbiava, ma alla fine perdonava il cagnone capendo di essere lui in torto, vuoi perché lavorava troppo o vuoi perché in fondo Beethoven è solo un cane.
Un successo planetario che ha fruttato milioni di dollari, eppure oggi Beethoven è sepolto nello scantinato buio del dimenticatoio dell’infanzia, come Bing Bong di Inside Out.
Per oggi è tutto, andate a recuperarvi subito le videocassette, e ricordate:«Diffidate dei falsi, esigete sempre e solo videocassette Buena Vista Home Video».
Oppure amate Youtube.
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