Il tempo dei miti e delle leggende è uno speciale di tre articoli dedicati a Hercules – The Legendary Journeys, la serie tv con protagonista Kevin Sorbo, prodotta dal 1995 al 2000, dedicata a uno degli eroi mitologici più famosi di sempre.
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Hercules e il cerchio di fuoco
Ho impiegato un po’ di tempo a ricercare questo specifico episodio, Hercules e il cerchio di fuoco, che poi non si tratta di un semplice episodio ma del terzo lungometraggio tratto dalla serie, mandato in onda direttamente in televisione nel 1994; conservavo, infatti, nella memoria l’immagine dellai Hercules faccia a faccia con suo padre in una landa ghiacciata e altri frammenti confusi, come Prometeo costretto sul trono come una statua di cristallo o il sorriso furbetto di una stupenda Deianira, ma non riuscivo a ricollegarli al resto della serie e non avevo idea di quale stagione andare a ripescare.
Ma perché proprio il cerchio di fuoco? Perché per me era così importante rintracciare proprio questa puntata?
Sono riuscito a rispondermi solo essermi goduto, ancora una volta, il film per intero: molto semplicemente, Hercules e il cerchio di fuoco sintetizza, in 91 minuti, tutti gli elementi che mi portavano da bambino a fremere davanti al televisore in attesa delle gesta del forzuto Kevin Sorbo.
Pronti via e ci ritroviamo nella foresta, in compagnia di Hercules, appena ripresosi da un incubo su una donna sconosciuta, che sta scortando un uomo nel rifugio di una strega malvagia, intento ad abbatterla. Peccato che non sia altro di una trappola: l’uomo non è così gentile e onesto come pare e la strega in realtà si rivela uno stregone. Il nostro lo affronta e, dopo aver scoperto il punto debole del suo avversario, un cuore nascosto conservato in una vaschetta, lo sconfigge, riuscendo anche a fuggire indenne, non prima di avere salvato un’innocente e recuperato del liquido da una fonte magica. A cosa gli serve il liquido? A curare l’amico semidio Chirone, gravemente debilitato da una ferita infertagli, per errore, dallo stesso Hercules, durante una
battaglia.
La pozione sembra sortire effetto ma è solo un’illusione: la ferita non passa. Il figlio di Giove non ha nessuna intenzione di arrendersi ma non sa che altro inventarsi; inoltre, il tempo per pensare è poco visto che, come d’improvviso, ogni braciere o fiamma si spegne all’unisono. Il sopralluogo nel villaggio vicino conferma il sospetto venuto ai due amici: ogni fiamma è estinta. L’umanità è rimasta senza fuoco.
Problema non da poco. Meglio fare una visitina a Prometeo. Chirone però è fuori uso e, così, ad accompagnare Hercules va una rappresentante stessa del villaggio: Deianira, una Tawny Kitaen drammaticamente simile alla donna sognata dal protagonista all’inizio dell’avventura.
Al solito, il viaggio non è per niente semplice e viene, tra l’altro, funestato da Giove, decisamente troppo presente per i suoi standard e almeno altrettanto irrequieto. Il buon Kevin Sorbo non ci fa troppo caso, messo davanti a beghe ben più grandi: raggiunto l’enorme palazzo di Prometeo, la coppia scopre infatti che il Signore del fuoco è ridotto alla condizione di ghiacciolo barbuto. La Torcia Eterna è stata rubata, per questo che il fuoco è scomparso e come sempre di mezzo c’è lo zampino di Era, il cui maggiore divertimento è torturare il figliastro.
It’s a bad day
Hercules non è tipo da abbattersi e la soluzione al problema è abbastanza semplice: basta andare a recuperare la torcia. Che sta su un’altra montagna. Molto lontana. Che ha giganti cattivi, pestifere ragazzine selvatiche e burroni mortali disseminati sul sentiero per raggiungerla.
Non si chiamano fatiche per nulla, del resto.
L’eroe e Deianira collaborano per uscire fuori dai mille cimenti. Nel mentre, il loro rapporto si
consolida; lei è una donna cocciuta, riottosa almeno quanto Hercules ma dall’intelligenza viva. Fidarsi l’uno dell’altro non è scontato ma quando c’è la propria pelle in gioco i processi tendono a velocizzarsi. Ah, poi lui è cotto. Ma cotto perso. Sconfiggere un gigante di terra non è niente in confronto a chiedere a quegli occhi da cerbiatta di passare la notte insieme.
Lei, tra l’altro, ci starebbe anche, ma a remare contro di loro ci pensa una stregoneria che fa credere a Deianira di essere stata tradita. Hercules non ci pensa due volte e le corre dietro, fino alla vetta dove è stata nascosta la Torcia ed è proprio sulla cima che ha il faccia a faccia con suo padre.
Era non era l’unico avversario occulto a sabotare ogni azione dell’eroe, anche Giove stava giocando la sua partita dall’altro del campo, ma per motivi ben più comprensibili: a protezione della Torcia Eterna, per impedirne il recupero, è stato messo un cerchio di fuoco inestinguibile, in grado di uccidere ogni immortale. Se Hercules dovesse attraversare il fuoco pagherebbe lo scotto con la vita. E questo Giove non potrebbe sopportarlo.
Chi è eroe, però, resta eroe fino alla fine e allora Hercules, pur comprendendo le ragioni del padre, affronta la sorte e si butta tra le fiamme per ridonare nuovamente agli uomini il fuoco. Il suo destino sarebbe segnato ma Giove decide di mettere alla prova Era e segue il figlio nelle fiamme, senza pensare alle conseguenze. La Regina degli Dei vacilla, non avendo previsto un simile scenario, e così finisce per fare marcia indietro, richiamando il fuoco, non sentendosela di fare fuori il Grande Capo, nonché suo consorte.
L’happy ending ormai è scritto: la Torcia torna al suo posto, Prometeo si risveglia e gli uomini possono di nuovo godersi il crepitio della brace. Hercules, con una piccola fiammella magica salvata
dal cerchio, riesce a guarire Chirone e a godersi allora fino in fondo il bacio di Deianira, stretta tra le sue braccia.
Chiamalo, se vuoi, sense of wonder
In meno di due ore siamo stati spettatori di una quest che ci ha portati da un lato all’altro del mondo; abbiamo assistito a continui capovolgimenti di fronte e vissuto un crescendo di situazioni dalle implicazioni sempre più imponenti; abbiamo sorriso nel vedere il nascere di una storia d’amore, classica ma non stucchevole, e osservato giganti sconfitti, divinità su troni di ghiaccio e, addirittura, un confronto tra il padre degli dei e suo figlio. Ci siamo seduti a un tavolo dove la posta in gioco era alta, altissima, con dei giocatori che non facevano altro che giocare a rialzo.
Abbiamo vissuto, quel senso del meraviglioso, conosciuto come sense of wonder.
La serie tv di Hercules viene spesso ricordata per una CGI un po’ – tanto – raffazzonata e per il mix un po’ trash di mitologie diverse e non coerenti ma agli occhi di un bambino ipnotizzato dalle immagini sullo schermo del tubo catodico, con ai piedi la copertina blu di Dei ed eroi dell’Olimpo, non era niente di tutto questo. Per lui, Hercules era una sorta di introduzione al mito e ai suoi eroi. Quel telefilm rievocava la meraviglia di narrazioni secolari, senza porsi tanti vincoli dovuti alla coerenza narrativa o ai limiti tecnici, ma trasportando, anzi, lo spettatore da una prodezza all’altra, da un’avventura titanica a una impossibile, con una semplicità, oggi percepita forse come naïve, che andava incontro al bambino: lo coinvolgeva, giocava insieme a lui, spalancando scenari mai visti.
Sarebbe poco sensato valutare The Legendary Journeys secondo criteri di realismo o plausibilità, come del resto soffermarsi sui dialoghi stereotipati o i mille cliché; la magia della serie va cercata nella sua capacità di farti dimenticare Kevin Sorbo per convincerti che quello davanti a te è un eroe senza tempo, pronto ad affrontare qualsiasi prova, anche la più incredibile, ed uscirne vincitore.
Questo non lo metti mai in dubbio, riguardando Hercules e il cerchio di fuoco, e tutto il resto passa in secondo piano, nell’impazienza di scoprire come riuscirà il figlio di Giove a salvare la giornata, ancora una volta.