È sempre difficile, per me, parlare di un film del DC Extended Universe: questo universo condiviso, iniziato con Man of Steel e proseguito con BvS e Suicide Squad, ha incassato, da subito, una serie di recensioni negative da parte di critica e buona parte del pubblico, rendendo quasi impossibile parlarne, in ogni angolo di internet.
Per me, dicevo, è difficile parlarne in quanto sono uno dei pochi che ha apprezzato ogni singolo film della serie e che è riuscito a trovare dei punti positivi e degli elementi meritevoli: la figura semidivina di Superman in MoS, lo scontro Uomo – Dio in BvS e la sana tamarraggine della Squadra Suicida… Ogni volta che guardo uno di questi film rimango soddisfatto, e questo è il motivo per cui il primo giugno mi sono fiondato in sala a vedere Wonder Woman di Patty Jenkins.
Per chi fosse rimasto indietro, il personaggio di Wonder Woman (interpretato dall’attrice israeliana Gal Gadot) era già stato introdotto in Batman V Superman, in quella che rimane comunque una parte abbastanza importante nel film: certo, non distoglie i riflettori dai due “big” della pellicola, ma, complice una colonna sonora caratteristica che resta impressa, gioca un ruolo di tutto rispetto.
In questo film, invece, abbiamo la possibilità di vedere una Diana Prince protagonista della scena, in un lungometraggio che, essendo ambientato durante la prima guerra mondiale, è totalmente distaccato dalle trame principali dell’universo condiviso DC.
E come se l’è cavata?
Bene.
Il film è, anche per il sottoscritto, una ventata d’aria fresca, dati i toni solitamente più “gravi” delle produzioni DC, ma lo è in modo meno incerto e, nel contempo, più semplice rispetto a Suicide Squad.
Se infatti il film su Harley Quinn & Co. aveva cercato di smorzare i toni buttando il tutto sulla caciara anni ’90 (e lo dico ovviamente dando per scontato che sia una cosa positiva), Wonder Woman ripesca l’innocenza e la semplicità dei primi cinecomics.
Quella che ci viene presentata è, infatti, una classica storia di origini, con tanto di presentazione dei personaggi, presa di coscienza dell’eroe e finale mi butto dal tetto per salvare la giornata: i riferimenti di continuity sono minimi e tutti all’inizio – cosa più unica che rara, ormai, non ci sono nemmeno scene dopo i titoli di coda.
La regista ci riporta indietro di qualche anno, quando l’importante non era “il quadro più grande” che stava dietro al film, ma il film stesso. Diana ha avuto tutta l’attenzione che merita.
Se nelle precedenti pellicole DC abbiamo visto come i confini tra bene e male possano essere, per certi aspetti, labili, con eroi chiamati a mettere in gioco i loro valori quando messi alle strette, Wonder Woman ricolloca finalmente il bene ed il male al posto giusto.
La pellicola è, per scelta, quasi manichea: complici gli orrori della prima guerra mondiale, vissuti attraverso gli occhi dell’innocente principessa amazzone, lo spettatore non è più chiamato ad interrogarsi su quale sia il punto di vista più giusto o su quale fazione abbia ragione: la guerra è il male e dev’essere fermata.
Questo è il messaggio del film. Questo è il messaggio di cui si fa portavoce Wonder Woman.
E, visto il mondo che ci circonda, penso che l’Amazzone sia l’eroe di cui abbiamo più bisogno.