Vuoi rubare rossetti, vuoi ascoltare Lana Del Rey a ripetizione, vuoi urlare contro tua madre – poi ridere delle sue lacrime…
– Connie, il Feromostro
Tendiamo a dimenticarcene ma c’è stato un momento della nostra vita in cui è cambiato tutto.
È il momento in cui gli ormoni hanno cominciato a prendere il sopravvento, il momento in cui in spiaggia i maschi hanno smesso di portare gli slip e le donne si sono coperte il seno. È un momento che abbiamo vissuto più o meno consapevolmente, chi prima e chi dopo, ma l’istante seguente nulla è stato più lo stesso.
Fate un esperimento: prendete una vecchia foto di classe di seconda media. Non guardate dietro, ci sono le dediche e non volete ricordarvi di aver scritto «tv1kdb» a qualcuno che non avete neanche più su Facebook.
Lo scopo è un altro: guardate le facce. C’è chi ha già la barba o una qualche fastidiosa peluria facciale, chi invece è ancora un bambino; c’è la vostra compagna con le tettone e quella che ancora porta le mutande con gli orsacchiotti rosa.
Erano anni complessissimi. Parte di voi voleva solo battere la lega pokèmon, l’altra si masturbava nel buio di un cinema.
Un periodo turbolento e dalle mille sfaccettature, con al centro esseri che non sono più bambini ma neanche dei veri adolescenti. Guardate bene quella foto e siate onesti: non siete mai stati tanto brutti quanto alle medie. Non avete più il candore dell’infanzia e non avete ancora quell’aura insolente adolescenziale. Un ibrido machiettistico fatto di peli a chiazze, sudorazione acida e secrezioni improvvise. Un ibrido che per la prima volta qualcuno ha deciso di raccontare, sul serio.
In America c’è un Comedy Show che va avanti da prima che nascesse l’uomo: il Saturday Night Live. Tutto il meglio della comicità americana passata presente è futura è uscito da lì; Eddie Murphy è uscito da lì, Jim Carrey, David Letterman… Gli artisti del SNL si sono distinti in tanti campi, non solo in quello della commedia, dimostrando di essere, quasi sempre, grandi innovatori.
Anche le voci e gli autori dietro Big Mouth vengono da lì. E si nota. L’umorismo, di cui parlerò meglio dopo, è prepotentemente influenzato da una visione americana del mondo e della comicità.
Ma in soldoni, di che parla Big Mouth?
È la storia di Nick, Andrew e Jessi, tre dodicenni che entrano nella pubertà, con tutto quello che ne consegue.
Il fascino di Big Mouth sta in buona parte nell’effetto nostalgia, nel ricordarci come è stata la nostra di pubertà, ma soprattutto nel raccontare una fascia d’età complicatissima con brutale onestà.
Pensate a Stranger Things, uscito quasi nello stesso periodo: Mike, Will e gli altri ragazzini dalla personalità intercambiale hanno 12 anni, eppure nessuno di loro ha un fumetto porno nascosto nel cassetto o un vhs proibito rubato all’edicola (non per amore del crimine ma per evitare l’imbarazzo con l’edicolante).
Nick e Andrew non solo hanno il vhs del porno di Stallone (Stallone ha veramente girato un porno quando ancora non era nessuno, e pare da quello derivi il “The Italian Stallion” sull’accappatoio di Rocky) ma hanno anche il loro demone personale, l’Ormomostro, il mostro degli ormoni che provoca loro erezioni indesiderate, polluzioni notturne e atteggiamenti che se sei il direttore di una casa cinematografica possono valerti il posto.
L’umorismo di Big Mouth è spesso delirante e sfocia volentieri nel surreale. Ad esempio, Nick (quello basso) ha un fantasma con cui si confronta, un vero e proprio spirito guida, che è il jazzista Duke Ellington.
Questi spiriti guida interloquiscono solo con i bambini (e con l’insegnante di educazione fisica, che pare non essere mai uscito dalla pubertà) ma compiono anche vere e proprie azioni (spostano sedie, rubano cose, spingono…) al punto che è difficile dire cosa siano effettivamente: proiezioni mentali? Annientamento della quarta parete? Deus ex machina? Probabilmente la risposta è: un po’ di tutto.
Il delirio comico di BM però è quasi disturbante in alcuni punti. I trip mentali e certi sconfinamenti oltre il surreale distraggono da quella che è la vera forza della serie: l’immedesimazione.
La seconda puntata – secondo me la migliore – è incentrata su un episodio delicatissimo: Jessi ha le sue prime mestruazioni. E non succede in un giorno qualunque, ma alla gita a Coney Island, il giorno che la madre le ha consigliato di mettersi i pantaloncini BIANCHI.
Io non sono una ragazza ma ricordo ancora quel periodo in cui le mie coetanee hanno cominciato a evitare i pantaloni bianchi l’estate o a smettere di fare il bagno in mare.
Ecco, quell’episodio mi ha fatto vivere l’intensità emotiva che deve attraversare una donna quando succede la prima volta, anche attraverso la battuta semplice e fenomenale di Nick:«pensa se dal tuo pisello uscisse del sangue qualche volta al mese».
L’episodio ne approfitta per toccare temi caldissimi: perché, ad esempio, gli assorbenti non sono gratis o comunque sono classificati beni di lusso? Perché è così difficile reperirli (per esempio non si trovano in un tabaccaio o in un banalissimo alimentari/pakistano) quando non è che il ciclo mestruale sia sempre così esattamente prevedibile?
Ma questo accade con diversi episodi della serie, dove il tabù della sessualità è gestito con grande capacità.
Anche i tormenti maschili sono esaminati con sapienza attraverso i due protagonisti: Andrew, che non riesce a gestire le proprie erezioni improvvise e i rapporti con l’altro sesso; Nick che pur avendo un discreto successo con le ragazze non ha ancora i genitali sviluppati.
Già, è proprio questa la preadolescenza: un turbinio multisfaccettato dove convivono nella stessa classe persone per cui la masturbazione è naturale come la colazione la mattina e altre che fanno finta di sapere di cosa si stia parlando ma nelle mutande non hanno neanche un pelo.
Quant’era dura, ma anche quanto è stata importante quella fase della nostra vita! C’è chi lì ha vissuto i momenti migliori e chi (come me) ancora oggi cova odio per quella complessità totalmente ignorata da adulti e docenti.
Proprio gli adulti sono una compagine interessante. Esattamente come nei Peanuts si vedono il meno possibile, ma sono comunque delle figure lontane e mai veramente in grado di capire e carpire in maniera autentica le difficoltà dei figli. L’unico ad essere un po’ simile a loro è l’insegnante di educazione fisica, un analfabeta perennemente alla ricerca di affetto, il cui unico desiderio è essere compreso da qualcuno.
Meravigliosi anche i personaggi secondari: L’arrapatissima prima della classe; Jay – che ha una particolare relazione col proprio cuscino (naturale evoluzione della coperta di Linus); e il ragazzino gay, l’unico ad essere in pace con la propria sessualità e col mondo circostante.
Big Mouth è una serie catartica dove ogni dubbio di Andrew e soci è esattamente lo stesso dubbio che abbiamo avuto alla loro età; e vorremmo tanto poter entrare nell’episodio per spiegargli che è una fase, che poi passa, ma non capirebbero. I ragazzi di Big Mouth vivono un dramma necessariamente personale, come i Peanuts di Schultz. Ma a differenza di Charlie Brown e delle mille maschere di Snoopy la loro fantasia non è un posto piacevole in cui rifugiarsi ma un luogo tormentato in cui ribollono cosce, addominali e peli pubici che rischiano solo di portarli nell’unico posto sicuro di questa fase della vita: il cesso.
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