In sovversione
La narrativa per l’infanzia ha origini antiche; forse è nata nei tempi stessi in cui l’uomo ha inventato il sistema più immediato per comunicare: la parola. È nata dal bisogno di intrattenere i figli, dal desiderio e dalla necessità di educarli, di soddisfare le curiosità caratteristica e naturale delle creature che si affacciano alla vita.
Così Nunzia Zocccoli ne “La letteratura per l’infanzia” delinea gli intenti di un genere che è tristemente ribattezzabile come “letteratura invisibile”, dato lo scarso interesse accademico che una materia pure tanto essenziale suscita nel nostro paese. Si tratta di una letteratura a cui si chiede – si chiedeva, per meglio dire –, visto il pubblico a cui è volta, di essere formativa, moralmente edificante, poi intrattenitiva e in grado di fare interpretare correttamente ai “lettorini” gli eventi del reale che risultano più enigmatici, quali la morte in ogni sua declinazione.  Ciò che, diversamente, Marìa Elena Walsh  – poetessa, scrittrice, cantante, drammaturga – si propone di fare in Elefantasy è rivoluzionare il modo di narrare per ragazzi, spogliando il genere di ogni intento didattico.

Puro Ludismo
Cosa faresti, lettore, trovando un elefante abbandonato davanti alla porta della tua casa?
Di certo non è una questione di alta levatura morale – ammesso di non volervi, forzosamente, rintracciare un intento di sensibilizzazione animalista –, né l’autrice ci introduce a una delle tappe canoniche dello sviluppo infantile: ciò che vuole è che ci si presti al gioco. Ma ecco la protagonista, e quindi in bambino, p
ortare la bella bestia in casa e sfamarla a pappa d’avena e poi a segatura quando soffre di mal di pancia, seguendo i consigli di un pompiere che parla rimando – delizioso figuro che nella estrosa inventiva della Walsh, ricalca e svecchia il ruolo inflazionato dell’eroe fiabico. A questo modo iniziano le avventure e i non-sense, così la famiglia della protagonista si trova a vivere in una casa senza mobili – dove prendere la segatura, altrimenti? – così l’elefante, che è come un bambino sonnacchioso, si addormenta su un albero che, appena piantato, è cresciuto veloce, germinando dal terremo come il fagiolo magico della nota fiaba, e si risveglia sospeso tra i rami come un gattino; e il pompiere, l’eroe, che lo salva incollandogli un paio d’ali sulla groppa, si alza in volo con lui scomparendo alla vista. Per il piccolo lettore, assicuro, è divertimento puro; il lettore adulto può ritrovare l’ebrezza di leggere deponendo ogni velleità da sezionatore, godere degli eventi, dell’assurdità  – che poi è la polpa dell’intera opera – di contattare il Sindacato degli Aquilonisti perché l’elefante e il pompiere si sono impigliati nel cielo, e sono ancora in stato di nomadismo, non atterrati sulla luna come rivela il Direttore del laboratorio astronomico che “ha il bavero coperto di polvere di stelle e una cometa impigliata tra i capelli”  – una descrizione che è, poi, uno dei rari momenti di trasporto scrittorio. La Walsh ha fatto ricorso, infatti, a un linguaggio basico, scegliendo una linea letteraria prettamente contemporanea: la narrativa per l’infanzia cartacea, dovendo tenere testa alle nuove tecnologie, agli e-books ed enhanced books, sta tendenzialmente adottando uno stile rarefatto, privo di costruzioni lessicali particolareggiate, che aiuti l’autore a far risaltare la componente ludica del romanzetto, in questo caso nettamente prevalente.

Puro ludismo (?)
L’ispirazione surrealista la fa da padrona, trascinando il piccolo lettore in un’epopea dell’assurdo, godibile per l’adulto che lo accompagna; la ricerca di un senso intrinseco potrebbe essere deludente, per il sezionatore accanito. Ma forse…
Dailan Kifki, l’elefante abbandonato non potrebbe metaforizzare l’orfano, figura-archetipo della narrativa di genere?
In tal senso le sue avventure così prossime al non-sense sarebbero un modo assolutamente nuovo di trattare la tematica del “senza padre né madre”: essere solo non fa del giovane elefante un querulo giovincello alla Dickens; lo vota, al contrario, alla curiosità e al desiderio di scoperta ed ecco che il volo diventa un superamento della dimensione domestica, l’avventura-smarrimento nel bosco una acquisizione di consapevolezza ai limiti del rituale iniziatico – à la Hansel e Gretel. Certo, non è gran novità: Lucy Maud Montgomery aveva già sdoganato il cliché dell’orfanello intirizzito con la sua fantasticante “Anne of Green Gables”, e così Frances H. Burnett con la Principessa Sara e la sua più nota “Little Mary quite contrary”, forse per farsi perdonare del melensissimo Piccolo Lord  – e tralascio, per improvvisa e imprevista bontade, la Pippi Calzelunghe tanto cara alla narrativa svedese. Non è stato inventato niente, insomma, ma dovevo pur sguainare il bisturi. L’Happy end però – per onestà intellettuale va detto –  demolisce la mia scarna teoria quando, nella conclusione stringata e poco decorosa, l’Elefantasy Dailan si ricongiunge alla madre.
Buoni spunti; esiti che svaporano senza acquisire forma. Può darsi che sia tutta una suggestione, un congetturare dell’autrice attorno all’animale elefante che, magari,  – e invento, fantastico anche io  – è sempre stata la bestia dei suoi sogni: può darsi che abbia voluto soddisfare sulla carta, che sappiamo essere assai generosa, lo stesso sogno del ragazzino fantasticatore spericolato che in “Chihuahua”, della colossale Philippa Pearce  – ma questa è la letteratura per l’infanzia più nobile  –, sfoga a occhi chiusi la sua smania di possedere un compagno di giochi con le orecchie aguzze.
Riassumendo: Elefantasy è lettura consigliata a chi vuol divertirsi senza troppe pretese.

Elefantasy, ovvero “Fantasie attorno a un elefante”

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