La Trama
Un lupo percorre la sua gabbia avanti e indietro, indietro e avanti. È un prigioniero e, in uno di quegli zoo che possono mettere solo tristezza – bambini che gridano, piangono, fanno la linguaccia e nascondono il viso nella gonna della mamma –, non è necessario tenere entrambi gli occhi aperti: non serve difendersi. Lupo Azzurro, solo, estraneo, chiude un occhio, così che sembra guercio, ma l’altro vede, vede un bambino ostinato che, ogni giorno, davanti alla cella dove è recluso lo guarda. Ma è più di un guardare: è contenere nelle pupille. Così ha inizio un reciproco scambio di storie che trascina il lettore dalle terre del Grande Nord alla caldissima Africa, e, di più, un dialogo tra bambino e lupo che simboleggia una conversazione più alta e sempre molto sofferta: quella tra Uomo e Natura.
Aprire “L’Occhio del Lupo”
Pennac è narratore delicato: delicata è la polpa del libro, ma cela un cuore ferroso, minerico, à la London – non è Lupo Azzurro, forse, discendente di Zanna Bianca o di Buck? Un pronipote condannato e svilito dall’incoscienza cruda con cui l’uomo disbosca, rapina, commercia, uccide.
E adesso? I visceri sono esposti, pronti a essere investigati.
Cosa insegna questa storia al suo lettore? – e non scindo lettore acerbo da lettore maturo. Che la solitudine della Natura, in eterno violata rinnegata, irrisa dall’umano, è la stessa, irreversibile, dell’Uomo solo tra altri uomini – vige l’incomunicabilità –, orfano, senza terra – perché non possono esserci Alaska, Africa Gialla, Africa Grigia o Africa Verde, se l’antropomorfo si attua da defraudatore dell’ambiente ospitante. Che, all’Umanità, tutta rappresentata da quell’orfano venduto a un mercante scriteriato – come venduto è stato Lupo Azzurro, come venduta sarebbe stata l’aurea pelliccia di sua sorella Paillette – che assume poi il nome del continente in cui è nato, di buoni sentimenti e compassionevole, basta quel tanto per espiare: assumere il dolore dell’Altro. Il dolore della Piccola Persona vilipesa, chiudendo l’occhio alla maniera di Lupo Azzurro. Espiare: tanto dovrebbe fare “L’Uomo Collezionista”. Prostrarsi per i delitti di cui è lurido e, tramite la sua penitenza guarire se stesso, e, assieme, l’altro.
“L’oeil du loup” è una lettura necessaria a intuire l’enorme deserto che il mondo contemporaneo può diventare, forse a far sì che le nuove generazioni, se la storia conserverà il suo potere e verrà letta da schiere di genitori infaticabili, imparino a rispettare le diversità della Terra, ad agire nei confronti della sua Flora e della sua Fauna coscienziosamente e con cautela amorevole: il lettorino deve essere educato, avere coscienza e consapevolezza ambientale sin dalle sue prime facoltà raziocinanti per mai trasformarsi, da adulto, in una piaga purulenta che necrotizza tutto ciò su cui espande.
A cosa è utile un animale cresciuto in cattività? A cosa serve una specie in via d’estinzione?
La collana “Gl’Istrici”: storia di un successo editoriale tutto italiano
Nel 1987, Donatella Ziliotto, portando alla casa editrice Salani il suo bagaglio di cultura, gusto ed esperienza, dà avvio alla collana «Gl’Istrici», i cui testi davvero «pungono la fantasia» dei lettori. Ziliotto recupera sia autori della vecchia Vallecchi da lei introdotti in Italia sia autori come Roald Dahl (1916-1990), che, dopo un avvio in sordina con Mondadori e con Emme, conosce con Salani un enorme successo di pubblico. Nella prefazione al catalogo storico in occasione del «Ventennale più uno» dela collana, Luigi Spagnol nota come si sia «disegnato […] un percorso di grandi autori e di libri meravigliosi» e indica frea i pregi della collana la presenza «del meglio della letteratura internazionale per ragazzi»; non si può dargli torto perché l’intelligenza delle scelte di Donatella Ziliotto ha saputo, fra i tanti altri nomi, portarci dall’Austria Christine Nöstlinger; dalla Gran Bretagna Anne Fine, Michael Morpurgo, Philip Pullman, Jacquile Wilson, dalla Finlandia Tove Jansson, da Israele Uri Orlev. Oggi la collana, una delle più vendute in Italia, ha lasciato la tradizionale copertina per una nuova veste, forse meno appariscente ma altrettanto indicativa di una volontà di prosecuzione all’insegna di una sobrietà che nasconde intelligenza, equilibrio e finezza nelle scelte.