Cobra Kai è la miglior serie del 2018. Lo so, sembra una provocazione ma sono serissimo.
Meglio: non raggiunge la perfezione a causa dell’episodio finale. Cobra Kai è una serie piena di contenuti meta-testuali, che si legge su più piani e, sembra impossibile, la nostalgia non è il suo punto di forza. Ma per sviluppare tutto questo, la mia recensione sarà composta da tre parti: antefatto, serie e finale.
Antefatto
Per chi avesse scoperto internet ieri, Cobra Kai continua la saga di Karate Kid. Karate Kid conta 4 film (mi dice wikipedia), più’ un re-boot sfigato del 2010, quando Will Smith cercava ancora di rendere suo figlio la star del nuovo millennio.
Ora, parliamoci chiaro: la serie originale non è Guerre stellari, non ha una forte fan-base e, a conti fatti, a nessuno interessa molto se non del primo film e qualche elemento del secondo. E, anche li, il primo film è una cosa abbastanza semplice: Daniel LaRusso (Ralph Macchio) arriva in città, si mette a fare il provolone con una ragazza che stava con la star del liceo Johnny Lawrence (William Zabka) – liceo in cui il karate è lo sport principale – lo menano, lui si allena e gli fa il mazzo. E dopo, proverbialmente, si becca la ragazza.
Però tutti hanno visto quel film, se non altro nelle repliche su Italia Uno della domenica pomeriggio.
E la storia sarebbe finita con quel reboot sfigato, se non fosse che su internet sono spuntati una serie di video che reinterpretavano il film dal punto di vista di Johnny – in fondo era stato Daniel a provarci con la ragazza, a tirare il primo pugno per poi vendicarsi ad una festa di halloween dopo aver perso.
Un boost alla sua popolarità è stato dato poi dalla serie How I Met Your Mother, dove Barney racconta di aver sempre tifato per Johnny – indossa, persino, il suo costume per Halloween. La cosa acquista notorietà tale che Macchio e Zapka diventano guest star di un episodio nell’ottava stagione, e Zapka ottiene, addirittura, un recurring role nella nona e ultima stagione.
Serie
il 4 Agosto 2017, sull’onda del ritrovato entusiasmo, Cobra Kai viene prodotta da YouTube Red – neonata divisione Google che, finora con poca fortuna, punta a insidiare Netflix.
La storia è semplice: 20 anni dopo il colpo della gru, Johnny è un fallito: lavori santuari, un divorzio alle spalle, e rapporto conflittuale col figlio. Daniel, invece, è un vincente: è ricco, ha una bella famiglia e vive una vita perfetta. Johnny, una volta toccato il fondo e dopo aver incontrato il suo antico rivale, decide di raddrizzare la sua vita riaprendo il vecchio dojo.
Semplice? Si, perché la serie segue il precetto americano della KISS rule – keep it simple stupid!
La storia non vuole strafare.
Johnny, da bullo ricco qual era – si scoprirà che i soldi erano del patrigno, e che la sua infanzia non è stata bella come ci raccontava il primo film – accoglie i bullizzati nel suo dojo, si confronta con quel che era e, soprattutto, con ciò che doveva/poteva essere e in lui si specchia l’antico antagonista. A questo si intreccia una sub-plot teen drama, stemperata da una forte componente ironica, grazie alla moglie di LaRusso – Daniel sta facendo, a ben vedere, molto rumore per nulla (per il rivale del liceo)!
E se fosse stato Johnny a vincere quella finale? E se avessero avuto diversi maestri?
Il fattore nostalgia non è forte: ci sono dei rimandi (il primo film viene dato per scontato), degli spezzoni, delle easter eggs – bellissimo quando Miguel, l’alunno prediletto di Johnny, fa il colpo della gru davanti a Daniel! – ma è una base su cui costruire la nuova storia, che ti porta questa volta a schierarti col villain – Daniel risulta davvero antipatico! – e la sua storia di redenzione, non mancando, però, di mostrarti i due punti di vista a confronto.
Gran merito della serie è il format: 10 puntate da mezz’ora scarsa l’una. KISS. Le puntate scorrono veloci e bene, senza spiegoni, con un buon ritmo e dialoghi più che godibili – esilaranti quelli di Johnny, intento a impartire un’educazione “Spartana” agli allievi -, alternati a riflessioni sul tempus fugit, e sulla circolarità degli errori giovanili.
Intensa la scena in cui i due vecchi antagonisti vanno insieme al bar, a discutere dei tempi andati, di quella ragazza per cui litigarono e di come il mondo intorno a loro sia cambiato.
I Johnny e Daniel sono cresciuti diventando a loro volta maestri, e si troveranno di fronte al torneo con i loro alunni prediletti. Chi vincerà? Ci sarà il migliore maestro?
Finale
Tutto oro allora? Evidentemente no.
La serie soffre il dover far fronte a due esigenze: accellerare lo sviluppo dei due ragazzi protagoisti e mettere le basi per la seconda stagione.
Cosi l’allievo di Daniel evolve in karateka provetto in una settimana, e il giovane protégé di Johnny diventa un proto-villain nel corso di una notte: si invertono ruoli e rapporti di forza, non sempre coerentemente, e si aprono nuove trame in vista della seconda stagione.
Perché la considero la migliore serie del 2018? Per la sua capacità di equilibrarsi fra diversi linguaggi, oscillando dal teen drama all’introspezione. Per come affronta argomenti delicati non prendendosi troppo sul serio, per i suoi diversi livelli di lettura, per la regia scarna, ma funzionale – durando 24 episodi, non avrebbe avuto il medesimo impatto – e per la capacità di sfruttare al meglio la già menzionata KISS rule.
Generalizzando, è un ottimo prodotto, ben confezionato nella sua semplicità, che soffre di un male odierno e comune: l’intento del franchise. Accettabile, se questo non andasse a discapito della qualità del prodotto finale – ed è qui che Cobra Kai risulta inferiore a serie come “La casa di Carta”, ma anche “Arrow” e “Flash”, dove il Season Final chiude la narrazione lasciando alla stagione successiva il compito di aprirne una nuova.
Detto ciò: aspetto trepidante la seconda stagione prevista per il 2019!
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