Olympos è espediente per avvicinare il giovane lettore al cosmo
incantatore della mitologia e del pensiero greco. Ottima l’aderenza al mito e alle sue molte forme; bello lo stile, mai mediocre o afono; curiosa, certo, la manipolazione della materia mitica, dimidiata in strumento narrativo, e con alcune licenze.
La trama
Nell’Olimpo leggendario, Ebe, figlia di Zeus e divina coppiera, sente la sua eterna giovinezza come supplizio, guardando con invidia ai molti fratelli che diventano grandi. Ma un giorno anche per lei arriva l’amore: è bello, forte, e non ha paura…
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La lettura è gradevole, variegata, e nella protagonista, Ebe, si incarna la fretta di crescere per cui il ragazzo guarda concupiscente al mondo adulto di cui non vuol più essere spettatore, ma parte attiva – ed è l’amore, iconicamente simboleggiato dai dardi del bambino-zanzara, a maturare il cuore. Ciò di cui val la pena discutere riguarda la manipolazione della materia mitica. Mero strumento narrativo? Più spoliazione.
Chi narra è, certo, scrupoloso – “(…) Invece con lui c’era una fanciulla alta quasi quanto me, vestita di pelle di capra, come fosse una degli umani...” –, così l’autrice presenta le origini di Atena, cui fu attribuita una prima nascita proprio in Libia, presso il lago Tritonide, dove venne allevata da tre ninfe che vestivano pelli caprine. Platone la identificò con la dea libica Neith, appartenente a un’epoca in cui non si onorava la paternità, che aveva tempio a Sais; Erodoto scrive (IV 189): “«L’abbigliamento e l’egida di Atena furono copiati dai greci che presero esempio dalle donne libiche, vestite esattamente allo stesso modo, salvo che i loro abiti sono ornati da striscioline di cuoio e non di serpenti».”
La glaucopide ebbe, poi, seconda nascita per mano di Esiodo – correttamente riportata dalla Buongiorno –, quando i Greci si erano già appropriati della deità, ed è in relazione alla prima sposa di Zeus: Metide. Quando essa stava per partorire Pallade Atena, il dio astutamente la ingannò con discorsi lusinghieri e se la introdusse nel ventre – così l’avevano consigliato Gea e Urano: era destino, infatti, che da Meti dovessero nascere figli saggi e un prepotente fanciullo, poi, che sarebbe diventato re degli dei e degli uomini. Perciò l’inghiottimento e, poi, Zeus che partorì Atena dalla testa con – e questo secondo altri racconti – l’aiuto di Efesto, o di Prometeo, che aprì con una doppia ascia o un martello il suo cranio. Teresa Buongiorno è scrupolosa nel menzionare gli episodi legati alla nascita della Tritogenia, lo è anche per quanto riguarda Efesto, e ciò per quanto la sua “caduta” difficilmente sia recepibile per il lettorino, sottratta com’è al contesto mitico e immessa in ambito nuovo in cui questo può trovare delle corrispondenze fra sé e gli altri, in particolare i membri della sua cerchia famigliare – e il dio-fabbro è bambino, almeno quanto Era è madre. Ciò che, invece, mi porta a muovere contestazioni è la connotazione negativa attribuita ad alcune divinità e, forse, funzionalme alla trama.
Mentre Omero non onorava Ares – le contese gli erano odiose: a ciò si deve un netto ostracismo nei riguardi del dio –, egli è, per la Ebe di Teresa Buongiorno, fratello amatissimo. E sempre Ebe male sopporta i gemelli figli di Zeus e Latona: Apollo e Artemide – “Io li trovo terribilmente antipatici. Lui, Apollo, è un ragazzino saputo (…) e Artemide, pallida luna, è ancor peggio (…): va uccidendo conigli e colombe senza pietà”. Probabilmente questo fu mezzo necessario, dato che – e qui la spoliazione – il pantheon greco dimidia in “famiglia allargata”, come modernità vuole, e ciò non è pertinente. Ma, chi ama allo stesso modo tutti i suoi fratelli? La colpa di Artemìs – se colpa è lecito dire – è di trarre diletto dalle attività venatorie, o di aver mostrato capriccio chiedendo tanti doni al padre. Pure, le si concede una fugace menzione ai suoi altri attributi –“(…) infine dichiara che sarà la patrona delle nascite. Per fortuna papà Zeus ha ancora un po’ di ritegno: le propone piuttosto di essere protettrice dei cuccioli.”–, ma non come si legge in Vernant, non citato nella bibliografia.
“Artemide è la vergine cacciatrice, la Fragorosa, l’Arciera che colpisce tutte le bestie selvatiche; è la Signora della selvaggina; è la selvaggia il cui risentimento è da temere: la sua vendetta si abbatte senza pietà su chiunque abbia omesso di sacrificarle le primizie che le spettano: in questi casi può, infatti, suscitando un mostruoso cinghiale, far tornare allo stato selvaggio le terre da piantagione (…); inselvatichisce anche il gruppo di cacciatori che si comportano reciprocamente come la bestia che inseguono (…). Ma la nostra selvatica Artemide è anche colei che istruisce gli uomini insegnando loro l’arte della caccia, annoverata tra le tèchnai che costituiscono una società civilizzata. E, pure, colei che fa crescere e fa diventare grande e bella, che conduce ogni essere dapprima piccolo e informe, sino allo sbocciare della sua giovane maturità.”
Nella imponente mitografia del Graves – che la Buongiorno ha letto – la Sagittaria viene così introdotta: “Essa è la protettrice dei bambini e di tutti gli animali da latte ma ama anche la caccia: specialmente la caccia al cervo.” Non viene invece, è questo è comprensibile, dato il pubblico di riferimento, affrontata la questione dell’Integrità Artemidea, – connessa al suo essere intatta –, liquidata come capriccio. Apollo poi, definito “effeminato”, è trattato più ingiustamente, benché la sua connotazione di enfant prodige sia giustificata dalle circostanze della sua nascita – il dio nacque settimino ma, nutrito a nettare e ambrosia, dopo quattro giorni chiese arco e frecce dirigendosi senza indugio verso la sua prima impresa. La connotazione negativa di Era, invece, è certamente utile a serbare la condizione della famiglia promiscua: per questi mezzi un giovane lettore può allacciare al suo quotidiano la pluralità della “famiglia olimpia”. Si unisce l’utile – e cioè l’informazione didattica – al dilettevole, e cioè alla elaborazione, da parte del bambino, di contenuti della vita adulta che lo coinvolgono e che potrebbero apparirgli stranianti, ambigui. Secondariamente, rivolgendosi l’opera più che a un pubblico infantile a lettori adolescenti, il legame chiaroscurale fra Ebe a Era serve a trattare il rapporto spesso conflittuale che lega le madri alle figlie, e in ognuna delle sue declinazioni.
Non sono certa, concludendo, che sia questo il miglior modo di trattare la materia mitica, che viene decontestualizzata, denudata, spesso, della sua significanza e, forse, semplificata. Dietro a ogni semplificazione c’è, però, uno svilimento. Migliori gli approcci del Vernant in “C’era una volta Ulisse”, in cui racconta Odisseo, e molto altro ancora, senza derubare il mito della sua complessità; migliore, anche, la “Corale Greca” di Beatrice Masini, opera meravigliosa di letteratura per l’infanzia.
Ma di questo, la prossima volta.
L’autrice
Teresa Buongiorno (1930) è stata per molti anni giornalista impegnata anche nel settore dell’infanzia – teneva una rubrica fissa sul Radiocorriere TV – e ha curato programmi televisivi specifici cogliendo, probabilmente nell’esperienza televisiva, elementi utili alla costruzione di una sua scrittura personalissima che non rinuncia alla cura terminologica, ma facendola vivere in un fraseggio rapido e moderno. Da attenta studiosa di storia – è laureata in storia medioevale – ha ambentato molti suoi romanzi in epoche lontane, ma sapendo prestare ai suoi personaggi senzazioni, turbamenti delle moderne adolescenze compresa la sua che non solo le ha fornito materiale per i personaggi calati nella storia, ma le è servita anche a costruire opere in cui, parlando di sé in termini chiaramente autobiografici, mescola le carte fra memoria e invenzione toccando i temi che più le stanno a cuore: l’insensatezza della guerra, il rispetto verso uomini e animali, gli spazi del femminile.
La Collana: storia di un successo editoriale tutto italiano
Nel 1987, Donatella Ziliotto, portando alla casa editrice Salani il suo bagaglio di cultura, gusto ed esperienza, dà avvio alla collana «Gl’Istrici», i cui testi davvero «pungono la fantasia» dei lettori. Ziliotto recupera sia autori della vecchia Vallecchi da lei introdotti in Italia sia autori come Roald Dahl (1916-1990), che, dopo un avvio in sordina con Mondadori e con Emme, conosce con Salani un enorme successo di pubblico. Nella prefazione al catalogo storico in occasione del «Ventennale più uno» dela collana, Luigi Spagnol nota come si sia «disegnato […] un percorso di grandi autori e di libri meravigliosi» e indica frea i pregi della collana la presenza «del meglio della letteratura internazionale per ragazzi»; non si può dargli torto perché l’intelligenza delle scelte di Donatella Ziliotto ha saputo, fra i tanti altri nomi, portarci dall’Austria Christine Nöstlinger; dalla Gran Bretagna Anne Fine, Michael Morpurgo, Philip Pullman, Jacquile Wilson, dalla Finlandia Tove Jansson, da Israele Uri Orlev. Oggi la collana, una delle più vendute in Italia, ha lasciato la tradizionale copertina per una nuova veste, forse meno appariscente ma altrettanto indicativa di una volontà di prosecuzione all’insegna di una sobrietà che nasconde intelligenza, equilibrio e finezza nelle scelte.
Fonti:
-Boero P., a cura di, La letteratura per l’infanzia, Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari, 2009, p. 335
-Buongiorno T., Olympos – Diario di una dea adolescente, Adriano Salani Editore s.r.l., Milano, 1995
-Graves R., I miti Greci, Longanesi & C., Milano, 1995, p.36, p. 42, pp 72-73
-Kerényi K., Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore S.r.l., Milano, 2015, pp 105-106, pp 135/137
-Vernant J., Figure, idoli, maschere, Il Saggiatore Sr.l., Milano, pp 119/121
-www.salani.it (data ultima consultazione: 4 settembre 2018)