Dato che The Suicide Squa di di James Gunn è sulla bocca di tutti, ci sembrava sembrava giusto dedicare la seconda puntata della rubrica #Recuperi alla squadra suicida di casa DC Comics, non andremo però sul classico citando la gestione anni ’80 di John Ostrander, amata dagli appassionati e considerata un po’ l’origine moderna della Task Force X, ma parleremo invece di una saga molto più recente, quasi sempre – colpevolmente – trascurata: Suicide Squad Rebirth di Rob Williams.

Il Blockbuster Suicida

Siamo nel 2016, la Warner Bros fa uscire in sala l’adattamento cinematografico della Suicide Squad diretto da David Ayer, regista americano appena reduce dallo splendido Fury con Brad Pitt, che oltre alla regia firma anche la sceneggiatura.
Il concept alla base della serie sembra perfetto per Ayer: la Task Force X infatti non è altro che una squadra segreta di supercriminali detenuti nel penitenziario di Belle Reve alle dipendenze della dispotica Amanda Waller, agente del governo – soprannominata “il muro” – che per mantenere il controllo completo sulla sua squadra ha il vizio di installare delle cariche esplosive nel cranio dei criminali. Ogni passo falso durante la missione o tentativo di diserzione equivale quindi a un mortifero BOOM! per i nostri protagonisti che, oltretutto, in quanto feccia della società vengono considerati del tutto sacrificabili e quindi impiegati in missioni ad alto tasso di mortalità, da qui il nome Suicide Squad.

Basta dare uno sguardo a Fury per capire che David Ayer è cresciuto a pallottole e Mucchio Selvaggio e per lui è quindi un’occasione d’oro potere farne una sorta di remake urbano con tanto di superpoteri, mostri acquatici, streghe e anche qualche star di primo piano nel cast: Will Smith nei panni di Deadshot, Margot Robbie in quelli di Harley Quinn e addirittura Jared Leto in quelli di un Joker molto poco sfruttato.

Purtroppo diverse ingerenze a livello produttivo, cambi di storia in sede di montaggio e una gestione abbastanza schizofrenica della pellicola fanno sì che la critica si mantenga abbastanza severa col prodotto giunto nelle sale, che riceve una bocciatura senza appello. In compenso però, Al botteghino Suicide Squad va forte ed eleva la Harley di Margot Robbie a personaggio di culto, soprattutto nel fandom dei cosplayer.

Peccato per Ayer, che in realtà aveva disseminato qualche idea e tematica interessante nel film, senza però riuscire a svilupparla adeguatamente. In particolare, si percepisce abbastanza bene la sensazione di trovarsi davanti a personaggi “rotti”, incapaci per tendenze autodistruttive o per determinati meccanismi sociali di recitare ruoli diversi da quello del cattivo. Nel regista ci sarebbe insomma la volontà di non dirigere solo un enorme baraccone dell’intrattenimento ma di dare corpo a personaggi in cerca non di riscatto, ma di ritrovare un briciolo di dignità.

Nonostante le buone intenzioni, il film mancherà sostanzialmente il bersaglio, ma nello stesso anno ci sarà qualcuno, stavolta appartenente al mondo dei fumetti, che invece con la Suicide Squad farà un centro completo e quel qualcuno è Rob Williams.

Un Interesse “Rinato”

Con il nome di Rinascita/Rebirth viene chiamato il rilancio dell’universo DC Comics successivo a quello di The New 52 del 2011. Williams, con Suicide Squad Rebirth, si ritrova così a gestireun nuovo “inizio” per il gruppo, con l’obbligo di concentrarsi sulla formazione scelta per il film, ma senza troppe beghe di continuity a cui badare.

Un perfetto starting point per chiunque non abbia conoscenza pregressa delle storie del gruppo.

È proprio questo lettore ideale, non troppo ferrato con la storia editoriale dei personaggi e magari appena reduce dalla visione del film, che lo sceneggiatore gallese cerca di conquistare nell’arco di una gestione bella lunga che arriverà a contare cinquanta numeri, un Annual, un crossover con Aquaman (Sink Atlantis!) e una miniserie di sei numeri (Justice League Vs Suicide Squad).

Non è un caso che i primi albi della saga siano disegnati da Jim Lee, artista capace di richiamare sempre l’attenzione delle masse con uno stile altamente spettacolare, sempre votato alla ricerca della posa plastica.

Suicide Squad Rebirth: Black Vault è quindi una dichiarazione d’intenti e in potenza mostra tutto quello che questa incarnazione del gruppo vuole essere: un perfetto Blockbuster.

Al contrario del film di Ayer, che affoga in un generale caos narrativo le idee interessanti, Williams tiene le redini della narrazione in maniera bilanciata, dosando con sapienza scene d’azione, umorismo, segreti, colpi di scena e momenti anche più drammatici. 

Se i personaggi conservano quell’estetica anarchica e un po’ punk che ha fatto breccia nel pubblico e nei dialoghi, soprattutto quelli di Harley, si mantiene anche un certo gusto per l’assurdo, lo stile narrativo si rivela piuttosto classico e fa tesoro di tutte le regole del genere, oltre che del buon cinema d’azione, cosa che avvicina la serie più a produzioni dei primi anni duemila, come The Authority di Warren Ellis e Mark Millar o a Ultimates dello stesso Millar, che a supergruppi più pazzi e meno convenzionali, come Umbrella Academy o Doom Patrol.

La direzione scelta è confermata anche dal parco disegnatori che seguiranno a Lee sulle pagine della serie: Tony S. Daniel, Fernando Pasarin, John Romita Jr., Joe Bennet, Jason Fabok; tutte matite che puntano al grande pubblico, chi con una stile molto cinematografico (Pasarin), chi muovendosi sul solco dello stesso Lee (Daniel) o su quello di David Finch (Fabok), chi con una sintesi del tutto personale che però alla prova dei fatti risulta sempre estremamente chiara (Romita Jr.).

Pazzi sì, ma con cervello

Visto che stiamo parlando di un supergruppo che ha tra le sue fila un alligatore antropomorfo, una designer posseduta da una strega pazza e l’ex del Joker, non è difficile capire come ci sia voluto non solo una forte volontà editoriale ma anche una manifesta abilità di artigianato narrativo per fare sì che la serie non scadesse dopo poco nel nonsense più spinto.

Williams riesce non solo nell’impresa di mantenere coerenti le sue trame fino alla fine – nonostante si conceda qualche pennellata di pura follia, come il personaggio di Cosmonut – ma dà vita anche a momenti davvero coinvolgenti, per nulla scontati visto il cast dei personaggi: se l’improbabile storia d’amore tra l’Incantatrice e Killer Croc riuscirà anche a strapparvi qualche lacrimuccia, nel suo essere una versione distorta e grottesca della Bella e la Bestia, con l’arco Burning Down the House sarete rapiti da una sorta di 007: Skyfall in salsa supereroistica, con tanto di voltafaccia continui e colpi di scena piazzati al momento giusto. Anche nelle storie apparentemente minori, vedi The Secret History of Task Force X, Williams fa centro mescolando, con sapienza quasi alchemica, fantascienza, spy-story vintage e pulp nelle dosi giuste.

Il collante di tutta la gestione resta comunque quel nucleo tematico individuato anche da Ayer: la Suicide Squad è composta da persone che non riescono a non mandare le cose a puttane. Prima ancora della Waller i veri carcerieri di Harley, Deadshot, Cap. Boomerang, Rick Flag, Katana, Killer Croc e l’Incantatrice sono loro stessi, incapaci di uscire dai circoli viziosi e dalle logiche che li ossessionano. Esistono però dei (rari) momenti in cui i protagonisti riescono a riconoscersi nelle debolezze dell’altro, stringendosi intorno non ai loro punti forti ma alle mancanze, ed è proprio in quei frangenti che risultano personaggi più umani e credibili.

Not a James Gunn’s Film

Abbiamo aperto l’articolo dichiarando subito lo spunto che ci ha portato a parlare di questa serie: l’uscita al cinema di The Suicide Squad di James Gunn.

Pur non soffermandoci in questa sede sull’ultimo film dedicato al gruppo, ci piaceva proporre una riflessione ispirata anche solo dalla visione del trailer.

Fin dalla campagna di marketing che ha accompagnato l’uscita del film, Warner e Gunn hanno nettamente puntato su un’estetica camp e una direzione che non ha solo premuto l’acceleratore sull’ironia e la comicità ma che ha sistematicamente fatto propria ogni esagerazione: dalla scelta del cast, ai costumi, allo stelloso villain principale.

È buffo quindi riscontare come fumetto e cinema in questa occasione si siano mossi in maniera opposta e anche scambiati le parti: spesso infatti è il fumetto (non solo quello supereroistico) accusato di calcare la mano su elementi troppo poco credibili o non filmabili e, come è noto, per indicare una pellicola ricca di elementi implausibili si ricorre proprio al termine “fumettone”.

Eppure sulla carta i profili di Williams e Gunn hanno elementi comuni: come Gunn si è fatto le ossa a la Troma Entertainment, casa di produzione cinematografica nota per le sue pellicole irriverenti, ad alto tasso di violenza e nudità, Williams ha trascorso gli anni della gavetta alla 2000 AD, la rivista britannica di fumetti ricolma di humor nerissimo e piena di personaggi grotteschi ed esagerati come il Giudice Dredd.

Williams però ha deciso di utilizzare un altro approccio per la sua serie, molto meno British e molto più americano.

La sintesi perfetta della sua Suicide Squad, tra l’altro leggibile in maniera del tutto autonoma dal resto, è la miniserie Justice League vs Suicide Squad, scritta insieme a Joshua Williamson, Si Spurrier e Tim Seeley, per i disegni di Fabok, Daniel e Porter.

JLvsSQ In breve è un piccolo gioiello narrativo che, appoggiandosi a una classica struttura in tre atti, mette insieme la squadra per eccellenza della DC agli sgherri di Amanda Waller: i due gruppi, dopo un iniziale scontro, si ritroveranno a collaborare per sventare le macchinazioni Maxwell Lord.

Anche in questo caso, la forza della serie non risiede tanto nelle trovate originali, quanto in una vicenda raccontata con il ritmo e la precisione di un orologio svizzero, che riesce non solo a dare lustro a un cast di personaggi davvero ampio, ma anche a mettere in luce le differenze umane e operative dei due gruppi, senza lesinare scene d’azione spettacolari e un villain con diversi badass moments.

Justice League vs Suicide Squad ti regala le stesse soddisfazioni di quelle storie che sai già come andranno a finire, ma che sono talmente buone da non stancare mai. In fondo è proprio questo il grande merito di tutta la Suicide Squad di Rob WIlliams: dimostrare che non è necessario fare le cose strane, l’importante è farle bene.

 

Abbiamo parlato di: Suicide Squad Rebirth di Rob Williams e A.A.V.V.

Come posso recuperarla?

Per l’edizione italiana, bisogna recuperare gli spillati di SUICIDE SQUAD/HARLEY QUINN (RW/LION) dal numero #23 al numero #78 + Justice League America (RW) dal #39 al #41 per la miniserie Justice League vs Suicide Squad.

Mentre se siete più tipi da volume il consiglio è di optare per i TP americani: Suicide Squad Rebirth n. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 + Aquaman / Suicide Squad Sink Atlantis! + Justice League vs Suicide Squad.

 

#Recuperi – Suicide Squad di Rob Williams
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