La serialità è una forma di narrazione decisamente conservatrice.
Non lo dico io per primo e non sarò certo l’ultimo a farlo notare. I personaggi di un prodotto seriale si potranno sempre aggiornare, magari adattare e, spesso, rivisitare, ma, difficilmente, subiranno processi di cambiamento radicale o reali ribaltamenti dello status quo.
Snaturare una realtà vincente è un azzardo di difficile gestione, senza contare le meccaniche costitutive di un prodotto di questo stampo portano naturalmente a un certo tipo di immobilismo narrativo. Paradossalmente, però, il realizzato andrà, periodicamente, propugnato come qualcosa di completamente nuovo: per tenere sempre costante l’attenzione dei vecchi fidelizzati e per, tentare, di attirare, invece, quella di nuove leve, bisognerà mantenere costante l’illusione della perenne rivoluzione; una creazione tutta nuova ma sempre coerente con quello che era prima, pensata per un pubblico diverso ma adatta anche ai gusti del vecchio.
Il classico piede in due scarpe.
Concluso il preambolo dovuto si arriva, finalmente al nocciolo della questione: la bravura di un autore di narrativa seriale è proporzionale alla sua capacità di mantenere solida questa specifica illusione.
Alla luce di questo, il lavoro di Jeff Lemire (testi) e Andrea Sorrentino (disegni), sul primo numero della loro gestione del mensile americano di Green Arrow, è veramente encomiabile.
A lungo andare, una continuity troppo pressante è controproducente: hai una buona probabilità di mantenere i tuoi lettori storici ma annulli quella di conquistarne di nuovi. Le persone disposte a entrare in sala a film iniziato da ore sono poche. Per dare inizio alla rivoluzione fittizia bisogna liberarsi, il più possibile, di ogni zavorra, ed è proprio per questo che, nelle prime dieci tavole di GA #17, la vita di Oliver Queen (il volto dietro alla maschera della freccia di smeraldo) viene letteralmente fatta fuori: il suo mentore? Assassinato. La sua azienda? Rilevata. I suoi compagni? Rapiti.
Una nuova nemesi, Komodo, caratterizzata graficamente come una versione completamente in nero dell’eroe stesso, quasi ne fosse il riflesso oscuro, fa a brandelli, in breve tempo, i residui dei precedenti numeri, preparando il campo in vista di una realtà nuova da imbastire.
FASE DUE: L’AVVERSARIO
Un eroe non può avere successo se, prima di tutto, il suo nemico non lo ha. Non si parla di Sherlock Holmes senza parlare di Moriarty, non si accenna a Batman senza poi menzionare il Joker. L’avversario del protagonista va costruito tanto quanto il protagonista stesso e, da questo punto di vista, la raffigurazione di Komodo è studiata profondamente.
Entra in scena uccidendo immediatamente un personaggio di una certa rilevanza, con un costume nero quasi fosse l’incarnazione stessa della morte; al lettore si manda subito il messaggio di un pericolo reale, una minaccia in grado di ferire mortalmente l’eroe e quindi un possibile ostacolo il cui superamento sarà determinante per la vita dello stesso.
Komodo, inoltre, usa la stessa arma di Oliver, l’arco, e anche il costume è sinistramente simile a quello di Green Arrow. A livello inconscio si comincia a maturare l’idea di un collegamento tra i due personaggi. La parte grafica, ancora prima di quella narrativa, suggerisce un pregresso nascosto, un segreto da rivelare. Ci si domanda se fra i due possa esserci un legame, anche quando viene esplicitato chiaramente, nel testo, che questa è la prima volta che il nemico fa la sua comparsa nella serie ma la realtà è che, a questo punto, la trappola preparata dagli autori è già scattata.
L’eredità precedente è stata cancellata con un colpo di spugna, un nuovo nemico è salito alla ribalta e c’è anche stato un primo, provvisorio, scontro con il protagonista: cosa manca?
Semplice: il motivo per comprare il numero dopo. Serve il mistero.
Siamo alle battute conclusive dell’albo, Komodo sembra avere avuto definitivamente la meglio su il nostro Green Arrow; l’eroe è steso a terra inerme e mancano solo due pagine alla conclusione, quando un altro nuovo personaggio irrompe, letteralmente, nella penultima tavola, mettendo, momentaneamente, fuori gioco la nera macchina di morte che, fino a quel momento, era sembrata inarrestabile.
La caratterizzazione di questo nuovo individuo è ambigua: è cieco, ha due evidenti cicatrici che gli coprono entrambi gli occhi e un anonimo impermeabile scuro. La cecità è un tratto tipico dei personaggi legati al mondo della profezia e della conoscenza arcana, o anche solo di chi ha una storia da raccontare (Omero è, forse, il più famoso tra questi); il nuovo venuto quindi, che si identifica successivamente con il nome di Magus, viene subito legato alla sfera delle rivelazioni: non si sa chi sia ma questi pochi tratti ci fanno capire che la sa lunga.
Nonostante la sua apparizione sia fugace, la vignetta finale è tutta dedicata a lui e, in particolare, l’ultima parola, con cui si conclude il volume, ha un’importanza determinante:”You were never supposed to leave the Island!”
L’isola richiama le origini del personaggio: chi ha anche solo una minima infarinatura della storia di Green Arrow sa che l’evento decisivo della sua formazione è il naufragio su una fantomatica isola che ha costretto l’eroe a imparare i rudimenti fondamentali della sopravvivenza in un territorio ostile per mantenersi in vita (se siete interessati ad approfondire, vi consiglio: Green Arrow Year One)
I vecchi appassionati quindi, esorcizzati per tutte le trentadue pagine dell’albo, sono richiamati a raccolta proprio nella fase conclusiva e, allo stesso tempo, i nuovi lettori non vengono infastiditi dall’esclamazione finale grazie al suo carattere fumoso.
CONSIDERAZIONI FINALI
In sostanza: Green Arrow #17 si rivela un ottimo prodotto seriale per la manifesta conoscenza delle meccaniche narrative dimostrata dai suoi autori. Testi e disegni servono l’ideale dell’illusoria rivoluzione perpetua senza però dimenticarsi di buttare l’esca per i vecchi adepti proprio nell’apogeo della vicenda.
Un fumetto che dimostra quanto la completa padronanza del mezzo di riferimento possa elevare a livelli ottimi anche un classico e rodato canovaccio.