Dodici = Walking Dead + Plumcakes + Roma
Questa recensione non é imparziale. Sappiatelo. Se volete una recensione seria e imparziale passate oltre. Io adoro Zerocalcare, e aspettavo questo libro da mesi.
Appena rientrato da Lucca Comics (non mi é riuscito prendere l’autografo causa fila biblica, maremma cinghiale) mi sono mangiato il volume e sapete… Lo ho adorato.
Partendo dal presupposto che secondo me Zerocalcare dà il suo meglio nelle strisce quotidiane (se non avete comprato « ogni maledetto martedî su due » ordinatelo SUBITO. O datevi a Povia, inside joke) ho trovato Dodici un’opera che riflette la crescita professionale dell’autore. Due gli elementi tecnici peculiari: l’alternanza (favolosa) colorato – bianconerorosso e l’utilizzo di una struttura narrativa non lineare (qualcuno ha detto «the prestige»? Se non lo avete visto, annullate gli impegni della serata, se fate parte di quelli che non hanno neanche letto ogni maledetto lunedi su due, resettatevi che bisogna ricominciare dalle basi.)
La storia é semplice e stra-conosciuta: gli zombi hanno invaso Rebibbia, Zero sta morendo e il protagonista é Secco. Oddio, a essere onesti i protagonisti principali sono due: Secco e Rebibbia. Sì, il quartiere romano diventa mattatore, trattato con la stessa autoironia tipica di Zerocalcare, che descrive il rapporto di amore-odio con la sua terra facendoci quasi pensare ai primi 883. Che nel bene o nel male fanno parte del nostro retroterra culturale ma questa é un altra storia.
Gli elementi di Zerocalcare poi ci sono tutti: i riferimenti culturali-pop (in questo vulume le storie di Ken sono il riferimento centrale), l’autoironia e le riflessioni sui nostri tempi. Che meritano sempre una seconda rilettura. La trama non inizia e non finisce, e l’autore mostra grande coraggio nell’uscire dalle strisce, suo pane quotidiano, e nel sperimentare. PERSONALMENTE (non rompetemi le balle, gusto personale) trovo Dodici un libro più riuscito di Un polpo alla gola, e aspetto con ansia il prossimo lavoro…se continua così, chissà che ci combina.
Compratelo. Subito. E comprateveli tutti. E seguite i feed RSS del suo blog e della sua rubrica su Wired.
Ma io non sono imparziale.
Qui trovate un’anteprima di Dodici.
Io vado controcorrente: non mi è piaciuto. O meglio, mi è piaciuto meno del solito, di quanto mi aspettavo. Sarà l’abitudine al formato “striscia” (che poi strisce non sono, ma storie brevi di poche tavole – vabè il senso è lo stesso), sarà l’argomeno che esula dal “quotidiano”, dallo stile “ci siamo passati tuttti” che caratterizza il lavoro di Calcare ma proprio non mi ha coinvolto.
Si, qualche battutina divertente ogni tanto, il Cristo di Hokuto, l’autocitazione del “piccione dello ‘sticazzi” ma poi ci ho visto poco altro. Anche se forse il perchè è da ricercarsi nel mio radicato toscanocentrismo™ che mi ha impedito di immergermi a pieno nel quartiere Rebibbia, il vero protagonista della storia. È un posto in cui non sono mai stato, non ho mai visto nemmeno di sfuggita e di cui ho appreso tutto quello che so proprio dai fumetti di Zerocalcare (o da qualche tg che ne nomina il carcere). Insomma, credo che se non sei romano non lo puoi capire a fondo, ed è un peccato perchè c’è della profondità; mi è piaciuta moltissimo ad esempio la lotta per non trasformare Rebibbia in “terra di fuorisede e apericene”, ci ho rivisto un po’ la mia Pisa.
Insomma il volume è nel complesso carino, da leggere sicuramente: ma forse chi ha adorato i precedenti (e le strisce “quasi” quindicinali) si troverà un po’ spiazzato.
A me è piaciuto.
Diciamolo: non è il solito Zerocalcare, quello che fa le storie “con l’accollo generazionale”, come dice lui, ma mi è piaciuto comunque. La storia è strutturata bene, e la struttura su tre linee narrative (presente/passato/pensieri di Zero) rende la lettura molto dinamica. Interessante vedere come gli amici interagiscono tra di loro senza Calcare: l’amico cinghiale resta sempre un faro nel buio della mia vita.
Ecco, se devo trovargli un neo è che non essendo romano, mi rendo conto che apprezzo il volume al 60% delle sue potenzialità. Sono convinto che una persona che conosce quei luoghi, conosce le dinamiche tra i quartieri romani e riesce a cogliere tutte le citazioni all’interno del volume, potrà apprezzare pienamente questa storia molto più di me.
A me è piaciuto, quindi, ma meno degli altri tre volumi. Non perché sia meno bello, ma per il fatto che se gli “accolli generazionali” li vivo (purtroppo) anche io, Roma non è la mia città, e Rebibbia non è il mio quartiere. Detto questo, Rebibbia regna comunque.