Revolver è un fumetto di Matt Kindt pubblicato nel 2010 dalla Vertigo e portato in Italia da Bao Publishing.
Perché dovreste leggerlo? Semplice: perché è un bel fumetto.
Kindt è uno di quei fumettisti che piacciono a me: uno che prima pensa a cosa raccontare e, soprattutto, al modo in cui raccontarlo, e, solo successivamente, si occupa di adattare il tratto alle proprie esigenze. Revolver è, prima di ogni altra cosa, un storia raccontata nella maniera giusta, con il linguaggio e i ritmi appropriati.
Ma andiamo per gradi.
Sam è una persona delusa dalla vita, costretto in una routine oppressiva, con un lavoro privo di stimoli e un rapporto sentimentale che lo sta vedendo allontanarsi, giorno dopo giorno, in maniera sempre più preoccupante dalla propria partner.
Se non fosse che questa non è l’unica realtà vissuta da Sam.
Il nostro protagonista vive anche un’altra quotidianità in cui la sua città è stata bombardata, l’influenza ha decimato una buona fetta della popolazione, i luoghi a lui familiari sono diventati pericolosi e non esistono più appigli sicuri come in un perfetto scenario post-apocalittico.
Un giorno a testa. Una mattina si alza e si ritrova a dovere chiamare a raccolta le poche motivazioni che gli restano per andare a svolgere le sue mansioni, quella successiva è impegnato a scappare verso non si sa dove, in compagnia della sua stessa “capa“, odiata fino ad allora, sempre con la pistola in pugno e il terrore addosso.
Finché la periodicità non inizia a incrinarsi e i piani a confondersi, trascinando la mente dell’uomo in un intricato gioco di specchi.
Revolver è una storia che necessita delle immagini per essere raccontata. Kindt, per mostrare la progressiva frammentazione del reale a cui è soggetta la psiche del suo personaggio, lavora con la composizione della tavola e la costruzione della griglia. A un aggravarsi della condizione di Sam corrisponde una progressiva complicazione della lettura; i piani di realtà, inizialmente ben distinti e riconoscibili nella loro alternanza, si mescolano sempre più fino a diventare difficilmente distinguibili.
L’immagine anticipa sempre la storia, riuscendo a mostrare al lettore la situazione prima ancora che le didascalie la chiariscano.
Questo è possibile grazie al profondo lavoro operato dall’autore sul segno e sulla sintesi. Non esistono particolari insignificanti, orpelli inutili o futili ghirigori: tutto quello che è rappresentato è funzionale alla storia.
Presto spiegato quindi il motivo per cui, nonostante l’apparente complessità del plot, non ci si perda un attimo durante la lettura: si ha sempre tutto davanti.
La tavola sta lì, ha tutte le informazioni che ci servono: Basta leggerla. Volta, volta.
Si parte con una comprensione dei fatti che si muove su binari paralleli: realtà A e realtà B. Mondo corretto e mondo immaginato. Ma le cose si rivelano presto non è essere distinte in maniera tanto manichea. Lo scenario di pericolo obbliga Sam a tirare fuori la sua parte migliore, le sue energie sopite. Del resto la realtà più abitudinaria svela delle sfumature che non erano state prese, precedentemente, in considerazione.
Il continuo ping-pong grafico, e narrativo, costringe il lettore a porsi delle domande simili a quelle del protagonista; a interrogarsi su quale sia il piano fondante della storia, o se veramente ci sia un livello principale da cui partire nella lettura degli avvenimenti.
Non sono rare le volte in cui ho sentito dire: “bello questo fumetto, assomiglia a un film” o, anche “bello, pare quasi un libro”. Ecco, invece Revolver è un bel fumetto perché sembra un fumetto, si legge come un fumetto ed è pensato, magnificamente, come un fumetto.
Scusate se è poco.