Da qualche secolo ormai sono grande appassionato di fumetti.
Chiunque abbia perso ore della propria esistenza a leggere le mie recensioni, sottraendo quindi tempo prezioso a ben più nobili passatempi quali la pesca d’altura o la raccolta di asparagi fuori stagione, avrà vagamente intuito la mia passione per il fumetto Marvel e il genere supereroistico.
Fondamentalmente il concetto è che se devo ritrovare la realtà pure in ciò che leggo tanto vale mettere una GoPro sul terrazzo e fare i time-lapse delle nuvole nel cielo. Però questo Natale leggendo una storia di Devil (che è quella di cui vi parlerò) mi sono reso conto di un particolare: la presenza di un supereroe in una storia non è solo un abbellimento, è un plus che se saputo usare può sconvolgere tutto.

Leggo Devil da tanto tempo, ho letto quasi tutte le saghe che meritino di essere lette su questo supereroe, eppure solo questa mi ha fatto pizzicare il senso di Nerd, e devo rendere grazie a David Hine (e Michael Gaydos ovviamente).
In questa recensione dico tutto, in altre parole: gigantesco Spoiler-Alert. Purtroppo non posso fare altrimenti perché tutto il senso della storia è raccolto nella sequenza finale, una delle più potenti mai viste (opinione personale, ovviamente).

Un’immagine più significativa non poteva essere scelta: questa è una storia di giustizia.
Fin dal primo numero, scritto dal sorridente Stan, Devil ha incarnato gli ideali della giustizia: di giorno avvocato e di notte giustiziere, più evidente di così si muore.
Spesso la particolarità di Devil è proprio data dal fatto che dove non può arrivare Murdock, può arrivare Devil, ad esempio: in tribunale un malvivente non viene condannato proprio grazie a un cavillo o a un’insufficienza di prove (e quindi Matt Murdock fallisce nella sua professione)? Bene, Devil può violare privacy, pestare qualche faccia e ottenere una confessione o le prove necessarie a inchiodare il farabutto.
Tutto questo solitamente è molto bello, e il lettore si ritrova a pensare “meno male che c’è Devil”. Eppure tutto ciò è anche molto fascista.
Pensateci bene: noi sappiamo che Matt Murdock, grazie ai suoi poteri, riconosce quando un uomo mente, ma voi vorreste che nella realtà un uomo vestito da diavolo rosso entri in casa vostra spaccando finestre e aprendo cassetti alla ricerca di qualche prova, e che questo suo agire rimanga impunito?
Facendo un esempio più concreto: supponiamo che per un qualche motivo io sono entrato in contatto con un mafioso, ma non ero a conoscenza della sua reale “professione” e agivo in buona fede, non so quanto mi andrebbe di tornare a casa la sera e trovare tutto a soqquadro solo perché Devil cercava uno scontrino incriminante.
E questo è uno dei temi sollevati dalla storia, quel vecchio who watch the watchmen, mai passato di moda.
Il modo di fare giustizia di Devil è corretto? L’uomo si è evoluto creando una società e un ben preciso sistema di leggi, più o meno condivisibili, ma nel complesso utili e ponderate. Possiamo quindi infischiarcene ogni qual volta vogliamo solo perché ci sembra giusto?
Chi ci dà il potere di scegliere, chi ci autorizza?
Sono domande forti, scomode. Ma tanto affascinanti quanto importanti; proprio come le storie di Devil quando a scriverle è l’uomo adatto.

La storia comincia così: sette anni prima, in Alabama. Un poliziotto ha trovato il cadavere di un bambino di 8 anni. Il bambino è stato palesemente assassinato. E non è morto per un colpo di pistola o una coltellata. È stato brutalizzato.
Redemption Valley, la cittadina spersa nel nulla campestre dell’Alabama che dà il titolo alla storia, questo è un fatto indecente e intollerabile. A Redemption sono tutti timorati di Dio, tutti tranne tre ragazzi.
Ci sono in effetti questi tre ragazzotti adolescenti che pare ascoltino musica metal, portino i capelli lunghi e si dilettino in rituali satanici.
State gridando allo stereotipo vero? Pensate a un autore troppo pigro che crede ancora nelle vecchine con la scopa che picchiettano il soffitto urlando di fare meno rumore, o nei vicini che chiamano la polizia quando fai un festino o, nelle mamme che ti urlano che questa non è musica è rumore e questa è una casa e non un albergo, vero? Allora sappiate che tutto ciò è tratto da una storia vera, successa proprio in America.

Il caso non fa in tempo ad aprirsi che è già chiuso: uno dei tre sospettati ha confessato, a posto così per tutti.
Eppure la madre di uno dei tre ragazzi non ha dubbi: suo figlio è innocente, e per dimostrarlo è disposta a tutto, persino ad andare fino a New York per chiedere l’aiuto di Matt Murdock, l’avocato cieco di Hell’s Kitchen.
E allora ecco che il diavolo cammina nel “paradiso” di Redemption, e già dopo dieci minuti niente più è come sembrava.
C’è di mezzo un padre/predicatore adesso paralizzato in seguito a un infarto, che è il padre di uno dei satanisti sospettati, e il sospettato nel paese lo dicono tutti:«non è normale». E poi c’è il padre del ragazzino ucciso, che qualche cosa sembra proprio la nasconda, e poi c’è il bambino ucciso che a quanto dice il presunto killer:«Non ho mai visto nessuno cadere così spesso dalle scale».
E allora qual è la verità? Cosa nasconde l’anima candida di Redemption? Possibile che un paese così banco e solare celi invece uno spirito nero e oscuro?

– SPOILER –

Salto i convenevoli e parlo del finale, perché è quello di cui mi preme parlarvi. E se non volete rovinarvi la storia (e io vi consiglio CATEGORICAMENTE di leggerla) non andate oltre e tornate qui quando avrete fatto.

Il bello, anzi, il bellissimo, di questa storia è che Devil si vede proprio poco, e fa persino più danni che bene, eppure se non ci fosse Devil sarebbe soltanto un Legal-thriller à la John Grisham perché il finale, signori e signore, e un pugno nello stomaco di quelli da cui ci si rialza mal volentieri.
In sintesi i ragazzi sono innocenti, ovviamente, e il killer è nientepopòdimenoche il padre del figlio, che arriva addirirttura a strapparsi i denti con le pinse pur di non farsi scoprire.
Non c’è lieto fine, tutt’altro: i tre ragazzi verranno condannati e uno di loro, proprio il cliente di Matt, finirà sulla sedia elettrica.
Continueranno i ricorsi, per sette lunghi anni, ma l’unico cambiamento sarà che invece della sedia elettrica, al ragazzo toccherà l’iniezione letale.
Il giorno prima dell’esecuzione Matt andrà a trovare in cella il dead man walking, e questi gli aprirà il suo cuore dicendo di aver letto i giornali dove si dice che Matt e Devil potrebbero essere la stessa persona. Il ragazzo non lo sa se sia vero e non gli importa in fondo, ma ha fatto un sogno: lui è sul lettino pronto per l’iniezione, e proprio quando stanno per pungerlo irrompe Devil e lo salva.
E il giorno dopo è il giorno dell’esecuzione e allora tutta la storia è lì, tutta lì in una vignetta, dove Matt assiste alla barbarica messinscena e sembra che Devil possa entrare da un momento all’altro: da una parte l’avvocato, e l’umana giustizia, dall’altra Devil, e la possibilità di scavalcare quelle leggi che stanno portando alla morte un innocente.
E l’innocente muore.

È tutto qui. Tutto prepotentemente inserito in una vignetta dove il cuore salta in mano al lettore e ci si vergogna di essere umani.
E il bello è che solo Devil può farlo. Solo Devil può funzionare in questa storia. Spider-Man sarebbe entrato e avrebbe salvato il ragazzo; Batman avrebbe gonfiato di botte il padre e salvato in qualche modo il ragazzo, Superman non ci sarebbe andato perché lui sta solo a Metropolis o nello spazio, il Punitore avrebbe ammazzato tutti a mitragliate e basta.
Devil no. Devil è l’uomo giusto, anche se alla fine non serve a niente.
E questo è il motivo per cui i supereroi nelle storie servono: per farci porre queste domande.
Noi cosa avremmo fatto?

Ecco perché amo i supereroi.

Devil: Redenzione. Ovvero perché certe storie hanno bisogno di supereroi
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Un pensiero su “Devil: Redenzione. Ovvero perché certe storie hanno bisogno di supereroi

  • 3 Marzo 2015 alle 18:26
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    Complimenti per il bellissimo articolo. Ho letto anche io questo volume nel periodo natalizio, stupendo davvero.

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