Nella notte tra ieri (venerdì 19) ed oggi (sabato 20 febbraio) è venuto a mancare il famoso semiotico, filosofo e scrittore Umberto Eco.

Ritengo che questa sia una perdita per tutti, specialmente per noi italiani: romanzi come “Il pendolo di Foucault” ma soprattutto “Il nome della rosa” rimarranno dei must read per chiunque sia appassionato di letteratura.

Forse non tutti sanno, però, che Eco era anche un appassionato di cultura pop, ed un grande lettore di Fumetti, come testimonia il suo saggio del 1964 “Apocalittici e integrati“. In questo scritto si ha il primo passo per un’analisi più seria di tutto ciò che pop (o, come si dice oggi, nerd): non per forza fumetti, serie tv, manga, videogiochi, devono essere visti come opere “di serie b” o addirittura infantili, ma possono anche essere il veicolo di un messaggio più profondo e anche di non immediata comprensione.

Per non tirar fuori sempre i soliti noti come “Watchmen” e “V for Vendetta“, si può pensare al lungo ciclo di Grant Morrison su Batman, in cui l’autore ha imbastito una lunghissima storia piena di sottotesti, numerose chiavi di lettura, e richiami a storie del passato e meta-narrazioni. Ma gli esempi si perdono: Jamie Delano ha passato tutta la sua run su “Hellblazer” prima e su “Animal Man” poi a denunciare i controsensi della cultura occidentale degli anni 80-90, Jeff Lemire su “Trillium” ha mostrato come l’amore rimane la forza più potente sia nel tempo che nello spazio, e Zerocalcare ci mostra come vive un(quasi)trentenne in Italia nel 2016, con tutte le relative ansie e paure.

Nel corso degli anni il fumetto si è evoluto, dalle strisce sui quotidiani agli spillati da 28 pagine, e i suoi contenuti lo hanno seguito di pari passo: Eco è stato uno dei primi ad accorgersene ed a riconoscergli questa evoluzione. Se noi oggi siamo qua a scriverne, è un po’ anche merito suo.

E di questo lo ringraziamo.

 

Quando inizi a scrivere un pezzo di qualsiasi genere su Umberto Eco, ti ritrovi subito a fare i conti con un grosso problema: come definirlo?

Scrittore? Troppo vago. Indubbiamente il Prof. era un maestro della parola, ma la sua attività non si esauriva nel firmare dei libri con il proprio nome.
Filosofo e/o semiotico? Certo, anche. Ma si tratta di titoli troppo settoriali e, allo stesso tempo, troppo vaghi che di fatto limitano il raggio d’azione di un uomo che ha fatto del non porre barriere culturali alle proprie ricerche una bandiera.
Saggista? Indubbiamente i suoi saggi sono stati la chiave di volta nell’approccio alla comprensione dei diversi media (e non solo) per molti, ma del resto è anche vero che quel bel film con Sean Connery intitolato “Il nome della rosa” non è altro che la trasposizione di un romanzo che ha fatto la fortuna dei librai di mezzo mondo, il cui autore si chiama proprio Umberto Eco.

Bell’impiccio, quindi. Per niente facile da risolvere.
C’è però un aggettivo che all’improvviso, quasi fosse un pop-up, si manifesta nella mia testa ogni volta che penso all’eclettico piemontese: curioso.
Eco era un insaziabile curioso.

curióso agg. [dal lat. curiosus, propr. «che si cura di qualcosa», der. di cura «premura, sollecitudine»]. –

1. Desideroso di conoscere, di sapere, di vedere, di sentire, per istruzione e amore della verità o, più spesso, per indole leggera e pettegola: essere c. dei fatti altrui; sarei c. di sapere come andrà a finire; non devi essere tanto c.; era c. d’imparare sempre nuove cose; i miei componimenti ebbero voga a’ que’ dì, e tuttavia sono essi ricercati dalle persone c. (G. Gozzi). Anche come sost.: sei un c., una c.; spec. al plur.: i c. m’hanno sempre dato fastidio; un gruppetto di curiosi si fermò a guardare.

Fonte: http://www.treccani.it/vocabolario/curioso/

Desideroso di conoscere, di sapere, di vedere, di sentire“.
Le sue antenne erano sempre in fermento: inseguiva ogni stimolo, cercava di non lasciarsi sfuggire nessuna percezione. Non seguiva percorsi lineare, si può dire anzi che quello che ha costruito negli anni è simile a un enorme maniero, ricolmo di stanze lasciate dischiuse in attesa che qualcuno le scopra.
Da una vignetta dei Peanuts, la sua penna passava a riempire una pagina di semiotica della comunicazione, prima di completare magari quel capitolo del romanzo, incentrato su oscuri intrighi medievali, incominciato la sera prima; e ancora eccolo a proporre una possibile fenomenologia di Mike Bongiorno o una monografia ragionata sulla storia dell’agente Bond, al fianco dell’amico OdB, che poi c’era da prepararsi per uscire, altrimenti chi li sentiva quelli del ’63.

Ne ha fatte troppe questo curioso patologico. Ci vorrebbero più vite per provare a passare in rassegna tutti i lavori a cui si è dedicato, tutti gli ambiti che ha toccato (spesso con effetti pari a una possente scossa tellurica), tutte le storie che ha raccontato e tutte quello che ha dissepolto o aiutato a comprendere. Ci vorrebbero più vite per capire chi fosse davvero Umberto Eco e forse non basterebbero nemmeno.

A lui però per mettere insieme tutto questo ne è bastata una e quando ci penso posso solo ringraziarlo per avermi mostrato cosa può essere in grado di fare una persona curiosa.

Grazie di tutto, Prof.

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