Nello scorso articolo abbiamo parlato di Final Fantasy XV, attesissimo titolo, di cui ho cercato di fare una recensione no spoiler ed il più oggettiva possibile – purtroppo quest’ultima parte non mi è venuta benissimo, ma che ci si può fare: quando l’amore ti tradisce, anche se in buona fede, si diviene più freddi nel giudicare -.
Quest’oggi andremo a parlare di un altro titolo, altrettanto chiacchierato negli ultimi NOVE anni (anche in questo caso il fattore tempo di sviluppo fa capolino, ma stavolta non prendiamola troppo sul personale) ma di una lunghezza d’onda completamente diversa, The Last Guardian di Fumito Ueda.
Di Ueda ci sarebbe molto da dire: un’artista che attraverso il videogioco racconta delle vere fiabe che coinvolgono il giocatore, ad un livello emotivo tale da risultare miracoloso. Durante la scorsa generazione ( quella Ps3/360/Wii per intenderci) il progetto, allora chiamato Trico, proposto dallo stesso Ueda, risultò essere troppo ambizioso e difficoltoso, sia per la vecchia console Sony, su cui non sarebbe mai girato, sia per il team di sviluppo, la cui sola idea sembrava il preannunciarsi di un lavoro dalla portata colossale.
A causa di ciò e di problemi personali dello stesso autore, The Last Guardian finì nel dimenticatoio fino all’E3 del 2015, dove venne annunciato in pompa magna con tanto di data d’uscita, fissata a fine 2016.
Ma quest’attesa cosa ci ha portato? Un altro capolavoro degno dei due precedenti capitoli? Nì.
Il gioco mette in primo piano, tratto tipico di Ueda, i legami, e nello specifico il rapporto tra la creatura, Trico, ed il bambino senza nome, basandosi sull’amicizia e la fiducia che ripongono l’uno nell’altro. Questa premessa ed i primi minuti di gioco lasciano intendere grandi cose ma il tutto, purtroppo, inizia a scricchiolare troppo presto.
Per quanto il poter interagire con il nostro dolce animalone sia molto divertente, presto ci renderemo conto che sia la varietà della formula di gioco, che l’IA di Trico e dei vari nemici non sono poi cosi curate.
Come succedeva in ICO , ci troveremo a dover passare da un’area all’altra cercando di capire come procedere, venendo a capo di diversi enigmi ambientali; la novità sta nella presenza di Trico che non di rado dovrà partecipare alla risoluzione degli stessi. Se in ICO, pero’, il susseguirsi degli enigmi (forse anche più impegnativi) e la loro risoluzione è centrale ed appagante durante l’avventura, in The Last Guardian questo piacere non si ripete, proprio a causa della nostra cara bestiola. Infatti l’IA di quest’ultima, tentando di imitare il comportamento di un animale selvatico, andrà ad incespicarsi in azioni no sense (il bug è sempre dietro l’angolo) rendendo molto complicato il farsi ascoltare.
A lungo andare si proverà un senso di frustrazione, che minerà la fruibilità del titolo stesso (vi dico solo che alcune volte saremo costretti a far ripartire il gioco dall’ultimo checkpoint solo per poter proseguire e sbloccare Trico dal suo stato semi-catatonico). Davvero un peccato, perché al di là delle sue idiosincrasie, Trico è senza dubbio alcuno la creatura più bella e incredibile che io abbia mai visto muoversi in un videogioco. La qualità delle animazioni che ne caratterizzano ogni movimento è qualcosa che è credibile solo vedendola: gli conferisce un aspetto sorprendentemente credibile, nonostante le assurde fattezze e la mole mastodontica. Ha atteggiamenti che ricordano moltissimo quelli degli animali domestici come un gatto o un cane, pur con un corpo ricoperto prevalentemente di bellissime piume che si muovono al vento con una fisica da mozzare il fiato.
Poi c’è il bambino che rompe la magia, con il suo anomalo design da anime, le animazioni ragdoll vecchio stile ed i movimenti nevrotici, che, aspirando al realismo, finiscono per essere legnosi ed ingestibili.
Per quanto riguarda gli enigmi, voglio dire giusto due cosette: sono si più semplici rispetto ai capitoli precedenti, ma restano comunque gradevoli – soprattutto per merito della grazie bellissima ambientazione e della presenza di un narratore che oltre a sapere praticamente tutta la vicenda raccontata ci darà, qualora ci trovassimo in difficoltà, dei piccoli aiuti, in una meccanica quasi tenera e ben implementata -.
Un’ultima menzione negativa per la telecamera che affannosamente cerca di seguire i movimenti dei due protagonisti, finendo per non seguire nessuno.
The Last Guardian non riesce a raggiungere quella perfezione sognata da Ueda e pur essendo capace di darci momenti di vera e pura meraviglia non riesce a sopperire ad un gameplay lento e stantio lontanissimo dalle meravigliose sequenze di Shadow of the Colossus . E dire che a volte fa anche commuovere se non emozionare (sopratutto quando Trico restituisce l’illusione di essere un comune essere vivente) ma sono momenti rari in una sequenza snervante e priva di mordente di un gioco che sarebbe dovuto essere il capolavoro di Fumito Ueda.
P.S. : Il nostro Fumito ha dichiarato che vorrebbe tanto sviluppare un FPS… ok.