Suggestioni di estati
È possibile pensare all’estate del nord soltanto in termini di brevità e incertezza. I venti temperati circolano attraverso le finestre aperte, senza tende, portando gli odori – di pino, di acqua stagnante di lago, di ginestra spinosa, di erica, di spiaggia – per le verande dipinte di bianco. L’estate nordica è tanto prodiga di luce quanto l’inverno ne è a digiuno: molta della malinconia scandinava deriva dall’impossibilità di salvare anche solo un raggio della lunga luce quando l’oscurità incalza. In queste notti, minuscole falene piumate e animate lanugini di cardo selvatico, fluttuano tra canne e mirti alle pendici dei colli.
Pochi scrittori del nord trovano, quindi, l’estate noiosa: nessuno la ritiene troppo lunga, nessuno scrive di caldo, aridità o accidie. Quello del ritiro estivo è un rito caratteristico dell’identità nordica e, infatti, le linee costiere dei laghi e dei fiordi scandinavi sono punteggiate di questi cottage: case in legno color minio sulle rocce di granito, in riva a un lago, o la baita isolata in un’insenatura marina.
Immagini emblematiche dell’estate nordica che viene assaporata con sensibilità partecipata. Una tematica declinata sovente in ambito letterario, a cominciare dal poeta settecentesco gaelico-scozzese Alasdair MacMhaighstir – Oran an T-Samhraidh: dopo la stasi invernale ogni cosa sciama

al suo posto preparandosi all’estate – proseguendo con Samuel Taylor Coleridge, nella sua incompiuta storia di vampiri Christabel, e con il Peer Gynt di Ibsen in cui l’estate nordica è emblema del perduto e del lontano.
Un senso di persistente malinconia innerva anche il breve racconto dello scrittore Joel Lehtonen intitolato A Happy day – incluso nella sua raccolta del 1918 Kuollet Omenapuut/Alberi di melo morti – tralasciando il contributo della Jansson, su cui ci soffermeremo più tardi, è Jòn Kalman Stefànsson a fornire la riflessione estiva più recente, con Luce d’estate ed è subito notte.
Anche la narrativa per l’infanzia è prodiga di case estive: a cominciare dalle opere per cui Tove Jansson è maggiormente nota – che hanno spesso inizio su una veranda in legno dagli arredi dipinti di bianco e lampade a olio sospese – e di Astrid Lindgren.
In ambito cinematografico, invece, la stagione è trattata in maniera antitetica: temporalità benigna nei due capolavori di Ingmar Bergman, caratterizzati dal protrarsi infinito della luce, Sorrisi di una notte d’estate e Il posto delle fragole – struggente viaggio nella foresta della memoria in cui un’estate taumaturgica riconcilia Isak Borg con se stesso e con le sue nostalgie – e cupa accezione in Insonnia di Erik Skjoldbjærg in cui la piena estate nordica è invasiva, distruttiva, innaturale.
Il Libro dell’estate
Autore: Tove Jansson (traduzione italiana di C. Giorgetti Cima)
Editore: Iperborea
Prezzo di Copertina: 15,00 €
Anno di Pubblicazione: 2002
Pagine: 168
Gran parte della letteratura scandinava è, per compensazione, irrorata di luce: giardini assolati e incolti, steccati, erba pestata. Tranquilla, pallida felicità.
Il libro dell’estate – Sommerbokeen – di Tove Jansson immette il lettore proprio in quest’atmosfera cristallizzata e ariosa. La narrazione è episodica, lo stile contegnoso e lirico mai indulge a sentimentalismi: cerca di arrivare al senso del Nord. Una nonna e una nipote: due età antitetiche a confronto, in estate, sull’isola di Åland, nel golfo della Finlandia – la bambina spietata per salute e curiosità; la nonna sempre più lenta e limitata nei movimenti: la sua salute si aggrava con lo scorrere dei mesi. La casa è simile a ogni altra abitazione estiva scandinava; ogni contatto con la terra più grande comincia con un viaggio in barca; ogni giorno è un trionfo dell’ingegno e della fiducia in sé. Sofia e la nonna esplorano minuziosamente l’isola, conferendole il palpito di una cosa viva: l’Isola va, quindi, ad affiancarle come terza protagonista.

Gli insetti dilagano – Le lucertole non erano spaventate. Quando la luna sorgeva, i ragni rossi si accoppiavano su scogli disabitati e la roccia diventava un tappeto fitto di piccoli ragni estasiati. – il caldo è torrido e l’isola, ingigantita nella percezione speculatrice della bambina alle prese con uno dei rituali iniziatici afferenti al passaggio tra fanciullezza e adolescenza: dormire da sola fuori casa.
La tenda che doveva proteggerla aveva lasciato entrare la notte così vicina che a Sofia parve di aver dormito sulla nuda terra, a cielo aperto. Alti uccelli lanciarono gridi diversi e l’oscurità era piena di movimenti e rumori sconosciuti.
La storia quietamente termina col rito di chiusura della casa per l’inverno: l’ingrassaggio del legno, la posa in secca delle barche da diporto, la cavatura e lo stivaggio delle patate, la copertura delle aiuole con alghe marine; la carta ricopre le finestre per impedire agli uccelli migratori di lanciarsi contro i vetri. Niente si chiude a chiave: la casa dev’essere in condizione di accogliere viaggiatori sorpresi, d’inverno, da una tormenta – nessun uomo è un nemico più temibile del tempo – carburante e sale vengono lasciati in cucina: comportamenti sociali caratteristici del clima nordico.
Nessun avvenimento particolare – solo la tempesta di Sofia che sconvolge Åland – eppure ogni istante della vacanza è eternato: non è concesso abbandonare la lettura: l’opera resta impressa, nitidamente, come una macchia di sole.
Un gioiello della letteratura scandinava che celebra la bellezza delle cose umili; che dischiude, al lettore, una felicità radiosa da guardare.