Premessa: sarà un articolo tecnico, lungo e ricco di spoiler.
Partiamo!

In queste ultime settimane sono tornato a leggere alcuni archi narrativi di One Piece, in particolare la saga di Arlong e quella di Enies Lobby. Dopo tanto tempo, specialmente la saga di Arlong, quelle pagine ancora possiedono la stessa forza dirompente ed epica che contraddistingue il manga di Oda.
La simpatica scemenza di Monkey D. Luffy mi ha ricordato – oltre all’archetipico progenitore Son Goku – un altro demente da me molto amato: Naruto.
Il parallelismo fra due dei manga più venduti dell’epoca recente del fumetto mondiale mi ha spinto a chiedermi perché Naruto sia concluso mentre One Piece non solo lo abbia superato abbondantemente per numero di tankobon (Naruto in Italia si è concluso col volume 71; Ed. Planet Manga) ma sia ben lungi dal finire.

La ragione più semplice e in fondo vera è: perché One Piece vende e continua a vendere.
Può sembrare una banalità, ma l’industria degli Shonen non è la villa di Mecenate e nemmeno la corte di Lorenzo il Magnifico: su Shonen Jump, la rivista di riferimento per tutti gli autori di manga giapponesi, alla fine di ogni numero è allegata una cartolina dove i lettori devono indicare le tre storie che più hanno gradito quella settimana. Se un autore non è presente nelle votazioni per due settimane di fila viene invitato a concludere la propria storia se non addirittura fatto fuori senza troppe scuse.
Quindi la prima verità dietro la fine di Naruto è questa: non vendeva più come prima.
L’ascesa del nuovo fenomeno, L’Attacco dei Giganti, ha messo in difficoltà Masashi Kishimoto, il quale ha dovuto accorciare una storia che forse avrebbe necessitato di qualche volume in più per tirare al meglio le fila di una trama non eccessivamente intricata ma comunque complessa (evitando magari di far sembrare Sasuke uno schizofrenico da manuale con spruzzate di megalomania random).

Se le vendite sono la ragione di superficie, ciò che vorrei indagare è cosa si cela dietro questo calo di vendite.
L’idea che mi sono fatto risiede proprio nella natura dei due manga e nel loro protagonista.

Qui è necessario fare un po’ di teoria, voleranno parole come struttura, conflitti interni, e altre menate da corso di scrittura creativa che cercherò di rendere il meno noiose e hipster possibili.
Luffy e Naruto sono entrambi figli di Son Goku, l’amatissimo protagonista di Dragon Ball, forse il manga più popolare di sempre, e come lui condividono l’ingenuità, l’istinto e una forte ambizione. Nessuno dei 3 personaggi è uno stratega o un calcolatore, anzi, tutti e 3 si fidano principalmente delle proprie intuizioni e ignorano deliberatamente le conseguenze delle proprie azioni come quando spingono il corpo oltre i propri limiti mettendo in continuo rischio la propria vita: Goku con il Kaioken, Rufy col Gear Second, Naruto con il chakra della Volpe.
A guidarli è una volontà messianica e la bontà del proprio cuore, particolare in cui si differenzia Naruto che invece la purezza di spirito la deve conquistare.
Escludendo d’ora in poi dai ragionamenti il guerriero Sayan e lasciando solo ninja e pirati: in cosa si somigliano e in cosa si differenziano Luffy e Naruto?

Come abbiamo detto sia Luffy che Naruto sono due puri di cuore, animati da un desiderio fortissimo di protezione dei compagni, ma mentre Luffy nasce con questa bontà, in quanto il suo sogno è quello di essere il capo di una ciurma di pirati, Naruto evolve: dapprima un bambino egoista, smanioso unicamente di vedere riconosciuto il proprio talento – riconducibile al fatto di essere orfano – dopodiché adulto consapevole del motto Stanleeiano “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.
Ecco quindi la prima forte differenza: Naruto è un personaggio che evolve, cresce da bambino fino ad adulto, mentre Luffy rimane uguale a sé stesso dalla prima a, si presume, l’ultima pagina del manga.
Non parlo di poteri ma di carattere. il Naruto che batte Neji, perché questi gli ha dato del fallito, alla fine del manga non è più lo stesso che condivide il chakra di Kurama con tutto l’esercito dell’Alleanza; il Luffy che prende a pugni Arlong perché ha fatto piangere la sua navigatrice è lo stesso che logora assurdamente il suo corpo per annientare Doflamingo. E questo è uno dei motivi per cui One Piece tutt’ora va avanti.
Gli Shonen, così come le serie tv, seguono meccanismi narrativi pensati per durare potenzialmente in eterno. Spider-Man, Walter White e Son Goku sono tutti e 3 costruiti in modo tale da generare storie all’infinito; questo perché alla base del loro personaggio si trova un conflitto interno irrisolvibile: per Spider-Man è il senso di responsabilità dovuto alla morte dello zio Ben, ci sarà sempre qualcuno che minaccerà gli innocenti e Peter Parker si sentirà sempre responsabile qualora non riuscisse a proteggerli; Walter White è un megalomane convinto che la vita gli abbia tolto ingiustamente quanto gli spettasse, e probabilmente anche se diventasse il più grande boss della droga o gli venisse dato il nobel per la chimica continuerebbe a sentirsi insoddisfatto; Goku più semplicemente adora combattere e desidera confrontarsi coi più forti per migliorare sé stesso (in linea con la filosofia delle discipline marziali orientali) e ci sarà sempre un nuovo cattivo con cui menare le mani.
Per Luffy il desiderio che muove ogni sua azione è quello di diventare “Il Re dei Pirati”. Oda è sempre stato volutamente molto ambiguo su cosa significhi il titolo di re dei pirati lasciando che fossero i fan a decifrarlo: se dai primi numeri sembrava si trattasse di trovare il One Piece, il tesoro nascosto di Gol D. Roger, col prosieguo della trama sembra si tratti di essere il più forte pirata in circolazione. In realtà uno non esclude l’altro, ma tenendo come riferimento ciò che Oda dice nelle prime pagine del manga, trovare il tesoro è l’obiettivo finale della storia, per cui potenzialmente chiunque potrebbe essere il nuovo re dei pirati, imbattendosi magari per caso nel pezzo unico di Roger. Ergo l’autore ci suggerisce che One Piece è un manga di avventura pura, seguiremo Luffy in giro per i sette mari fin quando non ci verrà a noia, e solo quando ci saremo annoiati Luffy troverà il tesoro e ci ringrazierà per essere stai con lui tutto questo tempo.
Il conflitto interno di Luffy non è un motore che genera racconto vero e proprio ma una conseguenza del suo desiderio: Luffy vuole essere il re dei pirati, quindi deve avere una ciurma, quindi è il capo di una ciurma, quindi è responsabile dei suoi sottoposti. Chiunque minacci Zoro, Nami e gli altri deve fare i conti con lui.
Questo “dovere di capitano” è reso eccezionalmente nella saga di Arlong dove Cappello di paglia è l’unico a non sentire la storia di Nami e nonostante questo non si perita un attimo a gettarsi nella mischia per difenderla. Il conflitto di Luffy non è un’ostacolo alla sua ricerca del One Piece ma anzi uno sprone: «Non so navigare, non so cucinare, non so dire bugie, ma posso batterti» dice Luffy ad Arlong, confermando quale sia il suo ruolo all’interno di un manga che si farà via via sempre più corale, approfondendo specialmente i personaggi più amati dal pubblico come Zoro e Sanji.
Naruto d’altro canto è invece un personaggio guidato da un desiderio e un conflitto precisi che evolvono nel tempo generando quella staticità finale che ha poi decretato la morte narrativa del personaggio.
Il Ninja di Konoha è orfano, a differenza di Luffy del quale scopriamo i parenti – vivi e vegeti – molto più avanti, e questo genera in lui un profondo senso di abbandono da cui scaturisce il fortissimo desiderio di rivalsa. Naruto vive in un villaggio che lo odia, è cresciuto senza saperne il perché, solo alla fine del primo numero scoprirà la verità: in lui è racchiuso lo spirito della volpe a nove code, un demone che 12 anni prima aveva distrutto il villaggio e ucciso il suo Ninja più amato e prestigioso: il quarto Hokage.
L’Hokage è il capo del villaggio e il ninja più forte, per questo il primo desiderio di Naruto è proprio quello di ricoprirne la carica un giorno: nella sua visione infantile del mondo il leader è amato da tutti in quanto il più forte, ergo per il dodicenne Naruto forza=successo=riconoscimento. È un’equazione tipica degli antagonisti questa, in generale un pensiero non positivo, perché questo è Naruto all’inizio: un bambino solo, discolo, che nasconde dentro di sé un mostro di puro odio al quale basterebbe abbandonarsi per ottenere un potere smisurato, che nella testa di Naruto equivale al riconoscimento di valore che disperatamente cerca.
È palese quanto il personaggio di Naruto sia estremamente più complesso di quello di Luffy che è semplicemente un ragazzo in cerca di avventure, per questo One Piece può permettersi di essere corale al contrario di Naruto. Anche se il mondo dei Ninja ha una struttura affascinante, i paesi che lo compongono non sono poi così diversi; in One Piece invece ogni isola è un mondo speciale con regole tutte sue: isole nel cielo, mostri marini, prigioni il cui clima cambia di piano in piano come fossero gironi danteschi.
Se in One Piece lo stupore che proviamo è dato dai luoghi, o come si direbbe nei manuali, dall’arena, in Naruto l’emozione è chiedersi “e adesso come reagirà?”.
Fintanto che ci saranno nuovi luoghi da esplorare One Piece non finirà mai. Negare che ci sia una trama generale in One Piece è follia, ma è anche vero che a differenza di Naruto dove il nemico è sempre evidente (Orochimaru prima, Akatsuki poi) nel Grande Blu un po’ tutti sono nemici (ehi, sono pirati mica santi!) e quello che si prefigura essere il “Boss finale”, cioè Barbanera, è stato introdotto molto avanti nella storia e di lui si sa davvero poco tuttora che siamo a circa 88 volumi!
Tutto questo a mio modo di vedere porta a sostenere legittimamente che in Naruto conti più il protagonista di quanto conti in One Piece.
Esempio semplice: se invece di Luffy il protagonista fosse Zoro, sarebbe One Piece meno interessante? No, anzi, per quanto caratterialmente diversi entrambi hanno uno scopo molto simile, cioè essere i numeri uno, andrebbero riviste un bel po’ di cose ma sarebbe possibile – in linea astratta – continuare One Piece senza Luffy.
Sasuke potrebbe essere il protagonista di Naruto? O Sakura? Assolutamente no. Sasuke è il perfetto contraltare di Naruto, anche lui nasconde una forza incredibile (lo sharingan) e cammina in perenne equilibrio fra bene e male, ma vive unicamente per la vendetta, un cammino che non ammette redenzione o ripensamenti. Kishimoto prova a evolvere Sasuke una volta che finalmente ottiene la propria vendetta, ma il risultato è dargliene una nuova, più complessa, fino a perdere poi le redini del personaggio che diventa improvvisamente schizofrenico e megalomane.

Forse a questo punto ve ne state convincendo anche voi: la chiave della fine di Naruto è proprio in questa evoluzione dei personaggi.
Nonostante possa sembrare un controsenso, un personaggio statico il cui carattere cambia poco se non nulla nel tempo, è proprio questa immutabilità che ci tiene incollati alle pagine. Sappiamo quali sono i pattern di Luffy, che diventerà più forte tanto quanto è più importante la persona da difendere o la causa che ha sposato, che prima le prenderà e poi sottoporrà il suo corpo a qualche nuova forma di tortura scatenando un improvviso potere con cui batterà l’avversario. Eppure è esattamente questo il motivo per cui leggiamo ancora One Piece, gli stessi per cui sappiamo che alla fine di ogni puntata di Walker Texas Ranger Chuck Norris trionferà sul male con un bel calcio rotante.
Se Luffy trovasse il One Piece sarebbe davvero finita? No, Oda potrebbe trovare nuove difficoltà a cui sottoporre la nostra ciurma preferita e andare avanti finché non muore con la matita in mano sul suo tecnigrafo da mangaka.

Analizziamo invece la trama di Naruto e vediamo cosa è successo nel tempo al biondo ninja della Foglia.

Naruto è un orfano, odiato dal proprio villaggio che scopre di contenere nel proprio corpo un demone potentissimo che è però lo stesso mostro che ha ucciso il Ninja più forte del villaggio e moltissime altre persone. Naruto da sempre desidera solo di essere amato e riconosciuto come essere umano, in questo c’è un principio filosofico di stampo hegeliano: la nostra esistenza si certifica solo attraverso il riconoscimento degli altri. Hegel parlava di scontro, in questo caso lo scontro è puramente fisico: duelli all’ultimo sangue fra ninja di Paesi diversi.
Naruto quindi vuole da principio essere riconosciuto come il più forte, questo need si sposa perfettamente con l’interpretazione distorta del suo desire: diventare Hokage, il ninja più forte del villaggio nonché suo capo.
Attraverso una serie di scontri e l’amicizia-rivalità con Sasuke, Naruto comincia a capire il vero significato della parola Hokage e il suo desire cambia di interpretazione: “non diventa Hokage il ninja più forte ma colui che viene riconosciuto più forte dal villaggio”, solo chi conquista la fiducia, la stima e l’affetto delle persone un giorno sarà Hokage. Naruto smette di puntare alla forza bruta e diventa un vero “eroe” quando tenta l’impossibile per salvare Sasuke in quello che lui pensa essere un rapimento da parte dei ninja del suono. Il compimento di questo viaggio di maturazione per Naruto è proprio alla fine del ventottesimo volume, quando Naruto promette a Sakura che riporterà Sasuke alla Foglia, promessa che lo guiderà fino alla fine del manga. Qui Naruto ha scelto di caricarsi sulle spalle un fardello non più suo ma di qualcun altro, ha deciso di immolarsi come un vero eroe. Naruto non vuole più dimostrarsi forte ma dimostrarsi “all’altezza”, questo sottile cambio di prospettiva lo trasforma in un personaggio positivo al 100%, oltre che a farlo maturare.
La consacrazione di Naruto avviene nella saga di Pain, indiscutibile apice del Manga dove la natura messianica del protagonista si scontra con la controtematica di un formidabile antagonista, Pain/Nagato, la cui cupa e cinica visione del mondo si scontra con l’ottimistica e ingenua visione che il giovane Ninja aveva del mondo fino a quel momento.
Nel dialogo finale tra Pain e Naruto quest’ultimo ammette che il mondo è pieno di dolore ma la cieca accettazione di questo fatto non è un sintomo di saggezza ma di resa. Combattere il dolore con un sistema sofisticato per sfruttarne i suoi meccanismi (la macchina “genera guerre” di Pain) non è una soluzione utopistica e nemmeno realistica, ma solo il contorto capriccio di un adolescente. Naruto ci insegna che se una situazione è difficile o persino insuperabile la resa è da deficienti. Vivere pensandosi sconfitti in partenza non è dignitoso e soprattutto non ne vale la pena.
Sconfitto Pain, Naruto viene celebrato come eroe del villaggio e adesso tutti alla Foglia lo amano.
Come dite? Sì, è esattamente quello che Naruto aveva sempre sognato.
In gergo tecnico si dice che quando un personaggio ha ottenuto il suo need è un personaggio risolto. Naruto non ha più nulla di nuovo da insegnarci dopo Pain, tutto quello che vediamo nei 30 volumi successivi (non proprio pochino, eh?) sono solo le conseguenze della sua crescita. Naruto è già hokage nello spirito, solo formalmente non ne ricopre il ruolo, l’unico suo obiettivo rimasto è andare a catechizzare Sasuke e riconvertirlo al bene con un pistolotto dall’aria tremendamente paternalistica.
Da questo momento infatti il personaggio più interessante e dinamico diventa proprio Sasuke, lui è quello che arriva d’improvviso sul fronte ma solo dopo aver parlato con i grandi Hokage del passato: cosa vuole, qual è il suo reale obiettivo?
Ma facciamo un passo indietro.
Sasuke inizia il manga come rivale di Naruto: al contrario del biondo, pur essendo orfano ha ancora un parente in vita, è intelligente ed è riconosciuto da tutti come un vero prodigio, il più promettente ninja della sua generazione.
Sasuke ha un solo desiderio: vendicarsi di Itachi. Le storie di vendetta sono molto frequenti nella narrativa, dal conte di Montecristo a Kill Bill fino alla serie tv Revenge il cui titolo non potrebbe essere più esplicito.
Nel buio umido delle aule dei corsi serali di scrittura creativa si parla di ghost, un fantasma che appunto tormenta l’esistenza del protagonista e se ne andrà soltanto qualora la vendetta si sarà compiuta.
Sasuke è esattamente così: in un primo momento sembra dimenticarsi dei propri demoni, arrivando persino a immolarsi per i propri compagni nello scontro con Zabusa. Ma quando riconosce inconsciamente la rivalità con un Naruto che durante le selezioni dei Chunin si è dimostrato sempre più forte, la sete di vendetta torna a farsi sentire prepotentemente.
Sasuke avrà pace solo uccidendo Itachi, tutto ciò che non serve a prepararlo a quello scontro è una inutile distrazione.
Quando Sasuke ottiene la propria vendetta è un personaggio risolto, proprio come Bellatrix dopo aver ucciso Bill. Un personaggio vendicatore non può evolvere in altro. La sua personalità ruota tutta intorno alla propria missione, non esiste altro. Pensate a Frank Castle, il Punitore. Una volta uccisi gli assassini della famiglia ha potuto fare unicamente una cosa per non morire editorialmente: ingigantire la sua vendetta. Frank Castle esaurirà la sua ragione d’essere solo quando nel mondo non nascerà più un solo criminale. Obiettivo impossibile.
Allo stesso modo Sasuke trova nuova linfa vitale estendendo la sua vendetta a tutti coloro che hanno permesso il sacrificio del fratello in nome di Konhoa.
Ecco quindi che Naruto è un personaggio del tutto risolto mentre Sasuke ha ancora ragione d’essere, per quanto la sua bramosia sanguinaria cozzi con gli ideali pacifisti di un Naruto in formato Gesù Cristo.
Uniti da un nemico comune onestamente senza alcun appeal ma dotato di forza assurda (parlo di Kaguya) devono per forza unirsi in un momento onanistico atteso dai fan per circa 40 volumi.
Alla fine dello scontro però Sasuke è cambiato e scopriamo finalmente in cosa si è evoluta la sua smania di vendetta dopo aver parlato con i Kage.
Con mia somma delusione, il nuovo obiettivo di Sasuke è una riformulazione di quanto desiderava fare Pain, così come Obito è un Pain friendzonato mentre Madara perlomeno ha una variante più concreta e guidata da un sano delirio di onnipotenza (cosa che lo rende un classicissimo villain anni ’60, ma pur sempre un villain).
Considerando che Naruto ha già sconfitto Pain tutto quello che deve fare è imprimere a suon di cazzottoni nella testa di Sasuke la sua lezioncina. È tutto un film già visto e questo rende così deludente il finale di una saga che aveva portato in scena invece un protagonista complessissimo e geniale.

Se pensiamo agli scontri di Naruto e a quelli di One Piece la differenza è nettissima. In One Piece c’è un pattern ben preciso: Luffy è più debole ma più determinato, il suo desiderio di difendere i compagni gli dà forza e con quella forza riesce a battere l’avversario.
In Naruto i duelli sono uno scontro di abilità tecniche e logiche, dove chiunque può vincere se riesce ad essere più scaltro.
Shikamaru è l’esempio estremo: praticamente senza tecniche o abilità particolari, riesce a battere avversari tremendamente più forti di lui grazie alla sua intelligenza militare sviluppatissima.
Naruto, che come Luffy combatte sempre mosso da grandissima determinazione, non può ricorrere al potere della volpe senza perdere il controllo per cui non può unicamente fare appello alla forza di volontà per vincere gli scontri ma deve pure inventarsi qualcosa. Sconfiggere Kiba con un “peto” è un colpo di genio assoluto, perché sfrutta il carattere di Naruto, un teppistello sempre pronto a prendere in giro tutti, per disturbare il super olfatto di Kiba in versione animale. Nello scontro con Neji invece Naruto sfrutta la tecnica della moltiplicazione del corpo, il chakra della volpe e la supponenza dell’avversario per sconfiggerlo spuntando da una buca sottoterra ricordando a tutti il celebre goal di Aldo in Italia-Marocco.

Il primo scontro dove Naruto non vince di astuzia ma di potenza è contro Kakuzu, dove usa il rasengan di vento, ma la tecnica gli viene proibita perché rischia di fargli amputare un braccio. Come se Kishimoto punisse il proprio protagonista per aver violato le regole di quel mondo.
Questa bellissima intuizione viene rovesciata contro Pain dove invece lo scontro è di pura potenza e volontà, ma qui nessuna punizione perché il vero duello stavolta non è tecnico ma ideologico. Il limite che Naruto supera è nel duello verbale con Nagato nel suo nascondiglio, quando per la prima volta Naruto controlla completamente il proprio istinto, pur essendo stato dominato dalla volpe a nove code per un breve frangente.
Da quel momento Naruto combatterà solo di potenza, in quella sindrome dragonballiana dove ogni scontro si riconduce a “la mia onda energetica è più grossa della tua”, una versione spirituale giapponese della misurazione adolescenziale del membro fra i banchi di scuola.
Non è un caso che gli scontri di Naruto perdano la loro caratteristica principale in concomitanza alla soluzione conflittuale interna del proprio protagonista, è come se Kishimoto, probabilmente stanco dopo dieci anni di lavoro ininterrotto, fosse vittima del comune blocco dello scrittore e si fosse accontentato delle soluzioni più semplici per arrivare alla fine di un’opera dalla quale non aveva più niente da tirare fuori.
Proprio in questo frangente si fa spazio l’Attacco dei Giganti, nuovo manga sfolgorante della famiglia Jump, le cui vendite e gradimento superano quelle dei ninja della foglia portando l’autore a una ritirata strategica colmata in un finale frettoloso, spompo, ricco di fanservice, incongruenze e con pochissimi guizzi.

Il calo di vendite in corrispondenza al tradimento della propria natura non può essere un caso. È per questo motivo, in conclusione, che One Piece invece, eternamente fedele a sé stesso, ancora è in vita e non accenna a finire, pur con i suoi periodi di stanca e la ripetizione assidua degli schemi narrativi.
La serialità richiede meccanismi precisi, tradire la struttura di una storia significa condannarla a morte certa, ma ancor più risolvere il conflitto del protagonista non lascia alcuno spazio alla reinvenzione.
Possiamo stare tranquilli quindi che Oda ne avrà ancora per molto (è un bene? Non credo proprio visto che ho trent’anni e vorrei concludere questa benedetta collezione una volta per tutte!) la ciurma di Cappello di paglia ha ancora molti orizzonti di fronte a sé, e finché nessuno dichiarerà Luffy re dei pirati possiamo stare certi che la Thousand Sunny continuerà a solcare i mari.

Perché One Piece non è finito e Naruto sì
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9 pensieri su “Perché One Piece non è finito e Naruto sì

  • 23 Settembre 2019 alle 1:14
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    Ed è proprio per questo che Naruto mi piace più si One Piece. Ok che i gusti sono gusti, ma io lo reputo superiore a livello oggettivo, il personaggio evolve matura, e super i cliché deglia altri manga, appunto di One Piece. Anche se alla fine varia, nella quarta guerra, comunque è un opera che mantiene quelle sue caratteristiche che lo differenziavano. Comunque la guerra mantiene i meccanismi almeno fino a quando Madara sconfigge i kage. Dopo quel punto diventa più in stile DB, ma se pensiamo che quello è lo scontro finale non è una cosa poi così insensata. Infatti ormai i valori in campo sono esagerati, e ricordiamoci che anche il villain finale ha lo stile DB, quindi è una cosa anche cercata da kishimoto, che però non riesce a sfruttarla al meglio. One Piece invece è al 100% un DB bis, ma con i pirati. Anche se ha una storia di fondo, i misteri, vengono dati in pasto al lettore col contagocce, tanto da renderlo un manga godibile anche a saghe come i comics americani (e come anche DB). I misteri poi penso si noti abbastanza siano stati inventati a metà storia per rendere più complessa la storia e meno DB-bis. Prima i poigne Griff, poi le armi ancestrale, poi vegapunk, poi gli 800 anni di buio, direi che quando sono venute in mente ad oda le ha aggiunte. In ogni caso davvero non capisco come alcune persone possano osannarlo come il manga migliore al mondo, in quanto non aggiunge niente o quasi a quello che già c’era, è praticamente una reinterpretazione dei classici canoni del battle shonen

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  • 23 Settembre 2019 alle 2:10
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    Altra cosa che voglio dire è che con Pain Naruto è risolto, allora cosa resta da fare? La saga finale che conclude il manga ed è quello che è stato fatto. Poi dura molti volumi, si però secondo me è proprio così che mi dà quel sapore di guerra che Marineford non mi ha dato, è una guerra dopotutto. Qui infine kishimoto aggiunge quello che fino ad ora non c’era stato, ovvero i combattimenti ignoranti, e i villain cattivi, solo nella seconda parte (è scritto meglio nel mio commento di sopra). Poi il combattimento finale tra Naruto e Sasuke, non è neanche mostrato, anche qui ritorna lo scontro di idee a suon di pugni, ma ormai i personaggi sono diventati talmente forti, che il combattimento non ci viene neanche mostrato, e in fondo non ce ne bisogno, ci viene mostrata, invece, ancora per una volta, il dialogo a seguito dello scontro, a dimostrazione che la diplomazia, in questo manga ha superato i pugni. La fase finale in stile Dragon Ball non è riuscita al meglio, ma diciamo che le saghe di questo manga direi si attestano almeno ad una media di 8 e mezzo con delle punte di 10 (inseguimento di Sasuke, Sasuke e Itachi, Naruto e Pain) ad un minimo di 7 e mezzo ( gli allenamenti, che anche se interessanti, sono pur sempre allenamenti e appunto la parte conto Kaguya), quindi Enzo si può definire un capolavoro, contando che è composto da 72 volumi e che con una lunghezza del genere saghe solo da 9 e 10 è impossibile aspettarsele

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  • 23 Settembre 2019 alle 2:16
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    Altra cosa, alla fine entrano in scena i protagonisti del passato, che hanno dato vita al mondo dei ninja e ci spiegano la loro filosofia, ma li vediamoa nche combattere, leggende come Madara, Hashirama e l’eremita delle sei vie di cui pensavamo ne avremmo sentito solo parlare e invece ora sono lì a scrivere la storia che stiamo vivendo. La scena in cui Sasuke evoca il primo hokage e si rende conto di avere a che fare con un persona fuori dal comune anche rispetto agli altri tre che aveva di fronte, come se bella saga finale di One Piece, ci fosse anche gold Roger. Riusciamo a vedere tutta la storia del mondo ninja raccontata dai protagonisti che l’hanno vissuta, appunto Madara Hashirama, l’eremita… Tutte cose di un certo spessore

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    • 14 Febbraio 2020 alle 18:53
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      Rispondo all’ultimo dei tuoi tre commenti ma è una risposta per tutti. Grazie intanto per aver letto e apprezzato l’articolo. Mi fa piacere che Naruto ti sia piaciuto, molti trovano lo Shippuden inferiore e, devo essere onesto, anch’io ritengo la prima parte superiore. È anche vero che Naruto cambia completamente genere dopo il time-skip. Da romazo di formazione a Battle Shonen purissimo. I segreti diventano sempre meno e non ne vengono aggiunti sostanzialmente di nuovi. Dopo Pain non resta appunto che la Grande Guerra dei Ninja e anche a me soprattutto nella prima parte è piaciuta molto poiché mi restituiva proprio il senso di battaglia. Quello che trovo sprecato è l’uso delle morti. Non muore praticamente nessuno dei “Big”, escluso Neji, i Kage sopravvivono tutti laddove la morte di Tsunade in sacrificio per rigenerare tutti i Kage dopo lo scontro con Edo-Madara avrebbe dato un pathos utleriore alla vicenda. Ho avvertito un po’ troppa paura in alcune scelte di Kishimoto e sul finale un po’ troppa fretta, ma è anche vero come hai detto tu che una volta messo in chiaro che solo Sasuke e Naruto possono salvare il mondo non c’è molto altro da aggiungere.
      Quello che è importante comunque è la coerenza del messaggio: Kishimoto ci dice di non arrendersi, di avere speranza e che uniti si può fare la differenza e porta a compimento il suo messaggio in modo onesto. È un messaggio positivo e in un’epoca dove sono tutti antieroi e tormentati questo mi dà un po’ di serenità.

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  • 3 Dicembre 2019 alle 13:15
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    io lo reputo superiore a livello oggettivo è di per se un affermazione soggettiva. Comunque Naruto è bello per me (soggettivo) fino al pre time-skip/allenamento. Naruto shippuden apparte qualche picco (saga di pain e basta ma nemmeno tutta, lo scontro finale non mi piace) non l’ho trovato di mio gradimento, lasciando perdere il finale che è la cosa più ridicola che abbia mai letto. Il primo Naruto è bello proprio per quello a cui accennava l’autore, la strategia dei combattimenti , l’intelligenza e l’intuito dei combattimenti di tutti i personaggi fatti vedere, i combattimenti di neji, shikamaru rock lee sono tutti fantastici introspettivi ,emozionanti e strategici. Dopo tutto ciò viene perso e tutti questi personaggi che io ho apprezzato tantissimo non vengono più utilizzati e la storia diventa narutocentrica come è giusto che sia ma poteva continuare ad utilizzare gli altri personaggi e a svilupparli, cosa in cui Oda è molto più bravo a fare. La gestione del personaggio Sasuke è ridicola le sue azioni e le sue motivazioni post-Itachi sono assurde e senza senso, il continuo utilizzo di personaggi come Kakashi (ehm inutile dal time skip praticamente) sono solo fanservice. Naruto che continua a inseguire Sasuke dall’altra parte del mondo mentre Sasuke pensa solo alla sua vendetta. Non mi è piaciuta la resurrezione di tutti gli hokage (fanservice), Naruto che reincontra prima il padre e poi la madre Wtf. Sarebbe stato bello approfondire i vecchi hokage tramite Flashback e farli vedere al loro top non in forma mummificata indistruddibili e schiavi del protagonista nella battaglia finale. Poi la piega teistica che prende il finale è ripeto per me la cosa più brutta che si possa vedere. Ma queste sono solo il 10% delle cose che ora mi vengono in mente su Naruto Shippuden. Ah si un’altra parte bella è il combattimento di shikamaru contro hidan, che mi ricorda molto appunto la prima parte (aldià del fatto che è il personaggio di Shikamaru e i suoi poteri ad essere belli) e la morte di Jiraya per come è avvenuta l’ho trovata bella, emozionante, sensata; poichè era un personaggio che non aveva più da dare alla storyline, come kakashi (sì sempre lui) e tanti altri che ha fatto morire con Pain per poi essere resuscitati dopo pochi capitoli a seguito di una chiacchierata che può sembrare interessante ma che è nosense perchè hanno visioni diversi ma alla fine Pain si “fida” di Naruto. Preferivo che non li facesse morire in primo luogo perchè poi le morti perdono ti pathos (stile dragon ball) ed è questo una cosa che non mi è mai piaciuta. E ci sarebbero altre decine di cose che ora non mi vengono in mente, chiedo scusa se il commento è confuso ma davvero ho letto certe assurdità nei commenti che cercavano di accettare e dare un senso in primis a lui stesso su cose che nemmeno a lui sono piaciute ma che non ha il coraggio di dire.

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    • 14 Febbraio 2020 alle 19:09
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      Dici bene, Oda è molto più bravo a gestire la coralità ma è anche vero che One Piece è un manga corale fin dal titolo. Noi seguiamo la storia dal punto di vista della ciurma di cappello di paglia ma la trama del manga è il racconto dell’epoca dei pirati e di chi riuscirà ad esserne il nuovo re. Naruto invece fin dal titolo ci racconta la storia di un personaggio, la sua storia e le sue difficoltà, non vuole essere corale anche se dà molto spazio – in particolare a Shikamaru e Sasuke – ad altri personaggi. Sono d’accordo sulla gestione delle morti “sminuita” da Kishimoto soprattutto sul gran finale, dove alla fine di rilevante muore solo Neji. La guerra è guerra e si muore male, spesso a caso senza poterci fare niente, ma perché io ne percepisca la gravita deve morire anche qualcuno che mi hai rappresentato come importante. Non muore nessuno della nuvola, per dire, non muoiono i “genin” ormai “jonin” che abbiamo conosciuto all’inizio del manga. Addirittura Gai apre le otto porte ma Naruto lo resuscita col tocco magico(!). Ci sono molte scelte criticabili nell’arco finale di Naruto e anche io la prima volta percepii l’ingresso di Kaguya in scena come una cagata spaziale. No, il finale non è il punto più alto, io credo che l’esame di selezione dei chunin sia il massimo in assoluto, però trovo che Naruto abbia avuto una sua coerenza dall’inizio alla fine, un messaggio che voleva dare e che alla fine riesce a dare: c’è un ragazzino solo che odia tutti, impara a fidarsi di chi gli vuol bene, poi di sé stesso, e infine capisce che la vera forza deriva dalla combinazione di entrambi gli elementi: credere in sé stessi e lasciare che gli altri ci aiutino (o usare questa forza per aiutare gli altri). Ci sono diversi inciampi in questo racconto ma il messaggio non si perde mai. Anche il dialogo con Pain va letto così: non c’è una risposta unica alla domanda di Pain, la guerra è ingiusta e causa dolore, ci si può arrendere al dolore oppure farsi forza e continuare a cercare il bene sapendo che esiste e lo si può trovare. Per questo Nagato sceglie di fidarsi di Naruto, perché in lui vede una persona disposta a resistere fino a che non avrà portato alla luce il bene del mondo, e questo è l’unico antidoto possibile al male. Forse una risposta ingenua – Naruto ha comunque 16 anni in quel momento – ma pur sempre una risposta valida.

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  • 31 Maggio 2020 alle 19:56
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    Nono sono assolutamente d’accordo, sembra che non capiate la profondità di ogni personaggio che ha introdotto kishimoto, sembra che sparate sentezze alla caxxo naruto è sempre naruto.
    Lui ti spiega tutto dall’inizio alla fine, e su kaguya avrei da ridire molto perché non avete capito secondo me la filosofia di kishimoto perché se non introducevi kaguya non capivi certe cose eccetra come da dove è nato il decacoda, che cos’è l’albero divino ma non mi dilungo.
    I power up eccetra sono cose da un arco narattivo finale, hagaromo dai i poteri a naruto e sasuke per poter sigillare il decacoda e la stessa kaguya(decacoda stesso).
    One piece lo ricordo e continuerò a dirlo è un opera che va avanti perché in giappone è molto amata.
    Perché se andiamo in fatto di famosita naruto a venduto di più fuori dal Giappone.
    One piece secondo me sta diventando noiosa è ripetitiva, con l’aggiunta di personaggi che sono veramente utili quanto a mr. Satan e ricordiamoci un’altra cosa che gli imperatori sono quasi dei
    E chiudo.

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    • 28 Giugno 2021 alle 9:13
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      Hai fatto molte osservazioni interessanti, la mancanza di morti nella ciurma di cappello di paglia non è cosa da poco. Ti dirò però quel che penso, che non è assolutamente la verità ma una mia opinione, si fa per avere uno scambio legittimo. Dunque, ho l’impressione che l’arco finale di naruto, in particolare gli ultimi 3 volumi, siano stati veramente affrettati. Dopo più di cento numeri a far botte con Madara, proprio quando lui ottiene il secondo occhio e ci si aspetta il super scontro finale, sparisce e al suo posto appare Kaguya, il vero boss finale, che dura però un numero risicato di episodi, tipo 15 (vado un po’ a memoria, perdona le inesattezze). In un colpo solo viene introdotta la dinastia degli Ootsutsuki che non ha nulla a che vedere con le regole del mondo terreno e si scoprirà meglio solo in Boruto essere una razza aliena trapiantatasi sulla terra. È l’equivalente dell’asteroide che sterminò i dinosauri: un nemico imprevedibile, al di fuori della comune logica, che in un colpo solo spazza via tutto. Non mi è piaciuto ritrovarmelo lì all’improvviso, avrei voluto trovare delle tracce fin dai primi capitoli, piccoli indizi che alla fine di tutto ti avrebbero fatto dire “Ahhhh, allora stanno così le cose!”.
      Il senso dell’opera rimane comunque invariato, Naruto è coerente dall’inizio alla fine e questa è la cosa più importante, solo che – complice la crescita improvvisa dell’attacco dei giganti – Kishimoto ha dovuto sbrigarsi a chiudere le trame finché l’attenzione era ancora su di lui.

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  • 31 Maggio 2020 alle 20:00
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    A un’altra cosa sulle morti, allora one piece è mai morto uno della ciurma ??

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