Lo sanno anche i muri ormai: dopo 15 lunghi anni è finito uno dei manga più famosi di sempre: Naruto.
Ma veniamo a noi: cosa ci lascia il manga di Masashi Kishimoto ora che tutto è finito? Si è trattato veramente di uno dei manga più importanti di sempre? Oppure la sua fama e i suoi meriti sono più legati a un’ottima gestione del brand anziché alla cura di trama e contenuti?
Scopriamolo insieme: 3 autori, 3 opinioni.
Silwe37
Cosa ci resta di Naruto? Un ottimo Shonen, ma che non si merita il posto fra “i migliori”. Uno di quei manga del quale consigli di leggere solo un arco narrativo.
Naruto è finito. Tragedia. Ho iniziato a leggerlo più o meno in concomitanza con il mio esame di maturità, non ricordo se prima o dopo, ma mi ha fatto compagnia in tutti questi anni, in cui la mia vita è cambiata totalmente e, proprio ora che sono a una svolta decisiva finisce. Dubito sia un caso.Scusate se i miei toni sono un po’ smielati ma questo manga ha davvero significato tanto per me, è il primo e unico manga di cui ho comprato tutti i numeri e che ho rincorso per avere tutti gli arretrati.
Naruto è un manga per ragazzi, e questo va tenuto a mente. In Giappone c’è questa forte distinzione fra manga per ragazzi e per adolescenti/giovani adulti, e le tematiche affrontate sono totalmente differenti. Per farvi capire meglio con un esempio: Dragon Ball è un manga per ragazzi; Death Note è un manga per adolescenti con qualche anno in più sulle spalle.
La differenza fra i due citati è netta, e non ho scelto Dragon Ball a caso in quanto il grande manga di Akira Toryama è molto amato da Kishimoto e presenta tantissime analogie con Naruto. Entrambi raccontano il percorso di crescita e maturazione del protagonista, dall’infanzia all’età adulta e ci mostrano come la sua positività e il suo desiderio di non arrendersi mai trionfino su tutto. È moto semplice il messaggio di Naruto (come quello di Dragon Ball, del resto) e non devono arrabbiarsi i milioni di fan nel mondo quando dico questo, semplicità non significa scarsità. Anzi.
Naruto ha avuto alti e bassi durante il suo percorso editoriale di 700 numeri, un inizio sfolgorante, un apice toccato durante la saga di Pain, e un finale a tratti confuso e in certi frangenti tirato un po’ per le lunghe.
Beh è vero, il finale di Naruto era telefonato praticamente dal primo numero, e sapevamo tutti che il biondo ninja sarebbe diventato Hokage, eppure nel finale – nonostante alcune cappellate clamorose – ho trovato una grande coerenza e la prova di come Kishimoto avesse pianificato quasi ogni mossa riuscendo a portare al giusto compimento un’opera durata qundici anni mantenendo una forte coerenza interna.
Il messaggio di Naruto è più di tutti uno: non arrendersi mai. Portare il proprio credo (ninja) fino in fondo, anche a costo della vita, è ciò che caratterizza uno shinobi e ciò che lo rende meritevole di onore. Una delle storie più belle e dove si vede l’altro lato di questo ragionamento è «Come muore uno shinobi», numero in cui il cattivo Kisame preferisce darsi in pasto ai propri squali piuttosto che rivelare i segreti di Akatsuki/Alba, non arrendendosi quindi alla tortura e rimanendo fedele al proprio credo ninja. Non arrendersi è quindi la chiave con cui va letto tutto il manga, ed è l’unico modo per cui il finale con lo scontro con Sasuke assume un altro gusto: Naruto ha promesso di redimere Sasuke e di riportarlo con il cervello dalla parte sana del cancello, se si arrende uccidendo Sasuke o morendo egli stesso il manga perde di significato. Naruto serve a farci capire che la forza di volontà è tutto e se decidiamo di non mollare tutto è possibile.
In tutto questo però ci sono alcuni particolari che non ho digerito, in particolare 2: il primo, perché resuscitare Orochimaru? La scusa del Deus ex Machina necessario per resuscitare i vecchi Hokage non regge molto, mi vieni quindi da pensare che sarà utilizzato per la fase due di Naruto (sì, Naruto non è davvero finito, cari miei); mentre il secondo punto ha un carattere più narrativo. All’inizio del manga il giovane Naruto era indubbiamente il protagonista, però il fascino e l’originalità delle sue storie era molto più legato al cast di comprimari che al carisma del biondino. Neji, Shikamaru, Rock Lee, ma anche nemici come Zabuza… In Naruto ciò che davvero era forte, ciò che davvero teneva incollati a leggere una pagina dietro l’altra erano i punti di vista contrastanti fra i “buoni” e i “cattivi”, cosicché il margine fra i due fosse davvero sottile come la stessa pagina su cui erano disegnati. Pensiamo a Neji: è uno stronzo, e un arrogante, ma ha una storia personale tremenda alle spalle e in fronte porta un marchio maledetto che, se attivato – indipendentemente dalla sua volontà – può bruciargli i neuroni fino a ucciderlo. Con un affare così in testa voi come vi sentireste? E questo è solo un esempio. In Naruto i cattivi non erano degli stronzi da uccidere ma figure da compatire, spesso vittime di un destino pesante e credule che li aveva trascinati irresistibilmente all’oblio. E la forza dello scontro era la contrapposizione eterna con Naruto, che, nonostante dentro portasse il peggiore dei flagelli (il più terribile dei bijuu sigillato contro la sua volontà all’interno del proprio corpo e, simbolo e causa della morte dei propri genitori) non si è mai arreso, continuando a portare avanti il suo credo ninja di pace e amore.
Probabilmente il disappunto di molti fan (compresi i miei colleghi) sta proprio in questa parola: amore.
Al giorno d’oggi leggere una storia che parla di pace, amore e volemosebbene ci fa storcere il naso e gridare al powerrengerismo. Ma un manga istruttivo, pedagogico e, destinato a dei bambini come target principale trovo sinceramente rincuorante, in tempi di vuoto nichilismo come questi, che parli di temi profondi (anche se per qualcuno scontati) e per niente facili come la pace, l’amore e la voglia di non arrendersi mai.
Per cui un applauso a Naruto: sono fiero di aver comprato tutti i numeri finora e, non vedo l’ora finisca anche in Italia così da rileggere la storia per intero, finalmente.
Krathos