Visto il recente annuncio dell’uscita di una nuova serie di Lupin III, il brillante ladro (stavolta in giacca blu) creato da Monkey Punch, ambientata proprio nel nostro ridente stivale, mi sembra un buon momento per spendere due parole sull’ultima apparizione animata del ladro (diversamente)gentiluomo, anche se nelle inedite vesti di comprimario e non di protagonista.
Rupan Sansei Mine Fujiko to Iu Onna – Lupin the Third: The Woman Called Fujiko Mine del 2012 segna il ritorno di Lupin III e della sua banda sul piccolo schermo dopo ventisette anni di silenzio, e si tratta inoltre della prima serie del personaggio interamente diretta da una donna: Sayo Yamamoto.
Composta da tredici episodi della durata di 20 minuti ciascuno, la serie, come facilmente intuibile dal titolo, è incentrata sulla figura di Fujiko Mine, perpetuo oggetto del desiderio del nostro ladro, ed è collocata cronologicamente prima dell’inizio della serie originale.
Le novità però non si esauriscono qui: prodotta da un gruppo di professionisti di tutto rispetto fra cui Dai Satō (già autore di alcuni episodi di Wolf’s Rain, Samurai Champloo o Ergo Proxy) ai testi, Takeshi Koike (Afro Samurai Pilot, Redline) alla direzione delle animazioni e al design dei personaggi e il jazzista Naruyoshi Kikuchi alla composizione delle musiche, Lupin the Third: The Woman Called Fujiko Mine brilla per carattere e originalità riuscendo a ritagliarsi una posizione privilegiata all’interno del franchise.
Cercando in rete è facile trovare scritto che la volontà del regista fosse quella di rifarsi maggiormente al manga originale, rispetto alle precedenti produzioni animate; incuriosito dalla cosa, dopo essermi scolato in poche sedute tutti e tredici gli episodi, sono andato a ripescare in libreria il mio unico (sigh!) volume a fumetti di Lupin III: il settimo volume (di tredici) pubblicato, in Italia, dalla Star Comics, sotto l’etichetta Orion, del marzo 2003.
BREVE DIGRESSIONE:
Come può facilmente suggerirvi Wikipedia, l’edizione italiana dell’opera di Monkey Punch è incompleta: della prima serie sono stati tradotti, nel nostro paese, 120 episodi su 130, della seconda invece 178 su 190, sempre da Star Comics.
In compenso però si segnala una serie inedita sul personaggio, pubblicata solo in Italia da Kappa edizioni, Lupin III Millennium, scritta e disegnata da un parco autori abbastanza variegato ma autorizzata e supervisionata dallo stesso Monkey Punch.
FINE DIGRESSIONE
Leggendo l’albo, un episodio in particolare ha colpito la mia attenzione, il numero 68, intitolato “In prima persona“: la storia si apre con un indice teso che indica fuori dalla pagina e la didascalia che dichiara “il protagonista di questo fumetto non è Lupin III… e non lo è nemmeno Fujiko Mine! Naturalmente non sono né Jigen, né l’ispettore Zenigata… sì, il vero protagonista sei proprio tu!”
L’intera narrazione si compie in prima persona: del protagonista vediamo solo le mani, come in un moderno FPS e il plot ruota attorno alla cattura di Lupin III. Questa figura, che l’autore dichiara essere lo stesso lettore, cerca di mettere in scacco Lupin per riscuoterne la taglia e alla fine riesce addirittura ad attirare polizia in un luogo isolato; se non fosse che, proprio nel momento in cui il caro vecchio Zazà fa irruzione nell’edificio insieme ad un pugno di agenti, il furfante trova, come sempre, un espediente per fuggire, non prima però di rivelare al protagonista/lettore di avere approfittato di una passeggera perdita dei sensi per effettuare una simpatica operazioncina.
Nell’ultima vignetta vediamo le proprie mani afferrare uno specchio, con sullo sfondo Zenigata che sfonda con un calcio la porta d’ingresso; l’immagine riflessa nello specchio è proprio quella di Lupin III.
Questa sintesi dovrebbe aiutarvi a comprendere lo stile adottato in La donna chiamata Fujiko Mine; Yamamoto e co. ripescano esattamente questo aspetto delle storie di Punch: il taglio lisergico, il respiro surreale e allucinato.
La prima puntata si apre su una fantomatica isola in cui una folla di adepti viene stordita da uno stereotipato santone, all’interno di specifiche cerimonie, grazie all’utilizzo di una droga capace di indurre stati di alterazione della percezione.
Con il procedere della vicenda si vedrà che l’incapacità di riuscire ad avere una visione chiara di se stessi e della realtà circostante si imporrà come tema dominante.
Le carte in tavola verranno soventemente sconquassate: la reale identità di Fujiko sarà messa in dubbio e Lupin si divertirà a dedicarsi alla ricostruzione di un elaborato puzzle che lo porterà ad incrociare la strada con i suoi futuri compagni di scorribande: il pistolero Jigen e lo spadaccino Goemon.
A questa vena allucinatoria si accompagnerà un altro elemento tipico del manga: la lubricità sfrenata o, per meglio dire, la perversione sessuale acuta.
« Fujiko Mine… questa donna incredibilmente bella è la cura per la mia noia. »
Fujiko è l’incarnazione stessa del desiderio, declinato in tutte le sue diverse forme. Non si tratta solo di ammettere che le scene di sesso non sono risparmiate (fatto comunque vero) ma di rilevare che la pulsione erotica diventa uno dei veri e propri motori dell’azione.
Lo stesso Lupin fa del possedere Fujiko la sua sfida infinita, la sua ossessione principale, ma solo perché la figura dell’agognata donna si instaura subito come mutevole, sfuggente oltre che pericolosa.
La sessualità è quindi caratteristica fondante della serie e non mero elemento accessorio.
Tutto questo è possibile anche grazie all’ottimo lavoro grafico svolto da Takeshi Koike che riesce a ibridare bene il suo stile a quello dello stesso Monkey Punch durante la (ri)creazione grafica dei personaggi: ne escono fuori figure maschili esili e dagli arti allungati in maniera quasi parossistica, accompagnate da figure femminili, sempre procaci, dalle forme volutamente accentuate.
Il colpo d’occhio complessivo finisce così per essere sempre convincente e addirittura elegante anche nella sua assoluta mancanza di sobrietà. La coerenza grafica della serie, quello che potrebbe essere definito come il suo “stile”, salva qualche magagna nell’animazione, non propriamente dinamica, che in altri casi si sarebbe potuta rivelare discretamente fastidiosa.
In particolare, mentre cercavo di capire a quali altre influenze poteva avere tratto ispirazione Koike, il pensiero non è potuto fare a meno di volare dalle parti di Guido Crepax e della sua Valentina.
Pur non possedendo alcun elemento utile a fungere da prova in questo parallelismo, è vero che entrambe le serie fumettistiche sorgono più o meno contemporaneamente (nel ’67 Lupin III, nel ’68 Valentina) anche se in parti del globo decisamente differenti, ed entrambe elevano erotismo e psichedelia a elementi ricorrenti.
Ma, pur essendo forse entrambe figlie di una stessa epoca, devo dire che quello che è stato determinante nel farmi ricollegare le due figure è stato un certo gusto per il glamour: il corpo di Fujiko, come quello della giornalista nostrana, è un’opera d’arte in movimento, capace di risultare magnetico in ogni sua esagerazione.
Lo stesso Koike si è poi occupato della direzione di LUPIN THE IIIRD Jigen Daisuke no Bohyō – Lupin the IIIrd: Daisuke Jigen’s Gravestone (Lupin III – La lapide di Daisuke Jigen), un lungometraggio animato, che segue gli eventi della serie e che è stato proiettato nei cinema giapponesi diviso in due parti, il 21 e il 27 giugno 2014 (e successivamente raccolto in edizione Home Video).
Più simile stilisticamente a una puntata classica della serie animata, la pellicola si presenta, in ogni caso, come piacevole e ben congegnata e mostra lo scontro fra Jigen, supportato come sempre dall’astuzia di Lupin, e il misterioso killer professionista Yael Okuzaki che ha l’abitudine di occuparsi personalmente delle lapidi per le sue vittime… prima di portare a termine l’incarico.
PICCOLO SPOILER:
Tirando le somme, mi sento di poter affermare che “La donna chiamata Fujiko Mine” è una serie inaspettata e abbastanza spiazzante, che propone una propria personale reinterpretazione del mito di Lupin III, che forse potrà fare storcere il naso agli appassionati più conservatori per qualche scelta ardita ma che ha indubbiamente dimostrato quante cose da dire ci siano ancora sul ladro dalla giacca cangiante e sulla sua singolare cricca.
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