Da bimbetto avevo una passione sconfinata per la cultura egizia. Ma roba che avevo il librone con tutte le leggende degli Dei, e ovviamente pure il mio preferito: Horus, il figlio di Iside e Osiride (o quanta saggezza detengo?)

Horus, ovvero il dio con la testa d’uccello. È la rappresentazione mitologica del pensiero del maschio medio.

Gli egiziani sono senza dubbio una delle culture più affascinanti insieme a quella Greca e Romana, oltre ad essere stati uno dei più vasti imperi del passato.
Ok, finito il momento Super Quark.

Il 31 ottobre 1999 Sierra Entertainment, casa produttrice già nota per la serie di videogiochi Cesar (dedicati a chissà quale civiltà delle sopracitate) pubblica Faraon, videogioco gestionale incentrato sull’Antico Egitto.

Bada lì che fierezza.

Nel videogioco vestiamo i panni di un funzionario egiziano che, su delega del Faraone, deve gestire una serie di città facendole prosperare.
Ogni città rappresenta un nuovo livello, si parte da quattro capanne nel fango fino alla capitale dell’impero

Un villaggio di Faraon

Ogni città ha le sue particolarità e le sue difficoltà, all’inizio dovremo giusto preoccuparci di sfamare gli abitanti e costruire qualche vaso per i turisti, via via dovremo organizzare eserciti, corpi di polizia e di sicurezza, medici e dentisti, scriba e artigiani… senza dimenticarci di adorare i nostri Dei.
In Faraon le divinità egiziane hanno un peso specifico decisamente rilevante, e possono determinare carestie o la vittoria/sconfitta in battaglia. Ogni città – un po’ come capita in Italia – ha il suo Patrono, e quello va adorato un po’ di più degli altri, altrimenti si incazza e ci manda catastrofi a ruota. Insomma, a differenza della vita vera qui pregare ha un senso.

Diapositiva di me che vengo mandato al rogo dalla Santa Inquisizione

Il gioco è piuttosto competitivo, i livelli ben strutturati e via via sempre più difficili. Bisogna ammettere che, pur essendo un amante dei gestionali, già da ragazzo trovavo il gioco un po’ ripetitivo una volta capito il sistema. Probabilmente questa sua limitatezza (un limite però di tutti i gestionali) è dovuta al fatto di occuparsi di un’unica arena specifica – quella egizia – che esaurisce la curiosità e l’interesse per forza di cose già dopo pochi livelli.
Insomma, non si tratta di un capolavoro. Pare anzi evidente la vera natura del gioco: uno spin-off di Cesar, fatto forse più per mungere la vacca dagli sviluppatori che per la passione e la voglia di ricreare il misticismo e il fascino degli antichi egizi.
Questo non significa che l gioco sia mal riuscito o che non sia godibile, anzi: Faraon, come molti gestionali, è invecchiato molto bene e a tutt’oggi ci si può giocare con gusto riscoprendo il fascino dei Faraoni, delle piramidi e dei kamikaze. Ah no, quelli non c’erano ancora. Be’, dopotutto che ci si aspettava da gente che credeva i gatti fossero divinità solo perché mangiavano i topi?

Però oh, quando costruivi la sfinge ti sentivi davvero un Faraone.

Per completezza di informazioni: uscì pure un’espansione, sviluppata da BreakAway Games chiamata Cleopatra: Regina del Nilo. Non ci ho mai giocato e non credo abbia avuto molto successo. Se qualcuno di voi l’ha fatto può parlarne nei commenti qui sotto e avviare un’interessante e proficua conversazione che migliorerà la sensibilità civica e morale di tutta la comunità nerd.
Oppure possiamo vederci il 12 al cinema per vedere Sherlock e gasarci tutti insieme come scimmie ubriache.

Venerdì retro: Faraon
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3 pensieri su “Venerdì retro: Faraon

  • 9 Gennaio 2016 alle 17:17
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    Avevo 9 anni, uno dei miei videogiochi preferiti dopo ovviamente Populous: The beginning (che rimane al primo posto)

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  • 29 Gennaio 2016 alle 11:47
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    I gestionali sono uno stile di vita!

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