Cime tempestose

E questa è forse la più bella, la più profondamente rapinosa storia d’amore…

Il destino, a quanto pare, volle che Emily  Brontë, pur bella, ignorasse in modo assoluto l’amore, ma volle tuttavia che ella avesse della passione una conoscenza angosciosa: quella conoscenza che connette l’amore non soltanto alla chiarezza, ma anche alla violenza e alla morte – perché palesemente la morte è la verità dell’amore. Come l’amore è la verità della morte.
George Bataille, La letteratura e il male

Furore mortale

Un romanzo- roccia, parafrasando le parole di Charlotte Brontë, “da cui è stato tratto un busto fosco, selvaggio e sinistro”. Le prime recensioni di Wuthering Heigts apparvero nel gennaio 1848: il romanzo non fu capito: i critici vacillarono sotto l’impeto della sua visione allucinatoria – la storia era spiacevole, i personaggi perversi, i particolari tetri.

L’intero romanzo è una serie di sogni, visioni, allucinazioni, attese e venute di fantasmi: risvolti di una realtà allucinatoria che attraversa personaggi, narratori e lettori.

Nessuno avrebbe mai potuto individuarvi la mano di una donna – di una vergine.
La storia si apre nel 1801: Nelly Dean porta immediatamente il lettore indietro di trent’anni, nel 1771, soddisfacendo la sete di pettegolezzo del secondo narratore, Lockwood il visitatore e neofita dell’anacoresi, il cui volgare amoretto – e la passioncina puramente platonica per “Catherine seconda” – non ha che funzione preparatoria alla passione sfrenata che impregna e corrode l’opera intera, a cui meglio si addice il nome di “ira”. Alla religiosità distorta di Joseph Catherine e Heathcliff bambini oppongono quella della loro affinità appassionata: un amore che ha connotazioni bestiali, furoreggianti, persecutorie – ciò non deve meravigliare, se si pensa ai modelli che servirono da stampo per lo zingaro dalla pelle scura.

Ecco la mia preghiera e la ripeterò fino a che non mi si paralizzi la lingua: Catherine Earnshaw, possa tu non avere riposo mai finché sarò vivo! Hai detto che ti ho uccisa – e dunque il tuo fantasma mi perseguiti! Le vittime devono perseguitare i loro carnefici.

Per esporre quest’amore assoluto, Emily Brontë lo poneva in una triplice cornice complessa: due narratori che non lo comprendono, un ambiente naturale ostico – da cui l’autrice, che delle cose d’amore era quasi del tutto all’oscuro, trasse il tumulto – e un’anima violenta a contenerlo. Un legame ferino che è patto tra due esseri indivisibili – un patto siglato dai germi della passione quando Catherine e Heathcliff erano ancora innocenti e oppressi – perché uno la propagazione dell’altro: l’intera opera è un incantevole gioco di specchi del sé nell’essere amato, e una straziante dimostrazione di come sia impossibile separarsi dalla propria origine.

Tempesta e calma


cime tempestose
Due sono i principi spirituali in tenzone: il principio della tempesta – l’aspro, lo spietato, il selvaggio, il dinamico – e quello della calma – il dolce, il clemente, il passivo e il mansueto.
Principi contrastanti e complementari simboleggiati rispettivamente dagli abitanti di Wuthering Heigts e di Thruscoss Grange: una concezione vitale che, come osservò David Cecil (Early Victorian Novelists, Londra 1934), appare straordinariamente vicina a quella di William Blake. La tigre, l’agnello: contrasto tra simile e dissimile. Da un lato Cime Tempestose, la terra del tumulto, nuda all’assalto degli elementi, dimora dell’antica famiglia Earnshaw, dall’altro, protetta dalla fertile vallata, la Grange che appartiene ai figli della calma, i Linton dai volti gelidi e impastati di latte che soffrono e soccombono esposti al sole ustionante delle passioni altrui. L’antitesi paesaggistica non viene mai esplicitata, ma emerge magistralmente dalle parole e dalle allusioni dei personaggi – Emily ha ottenuto il massimo risultato descrittivo con il minimo dei mezzi. Ciascun rappresentante del suo gruppo, fedele alla propria natura, si scontra tentando di comporre un’armonia cosmica. L’interpretazione del Praz, fedele all’indagine del Cecil, individua il tema cardine dell’opera in una danza tra distruzione – a opera di Heathcliff – e restaurazione armonica: ciò giustificherebbe l’esistenza della seconda generazione in cui l’ossimoro tra figli della tempesta e figli della calma si sfuma. Hareton e Cathy combinano le qualità positive dei genitori – la gentilezza e la costanza della calma, la forza e il coraggio della tempesta – almeno quanto il povero Linton riassume in sé le caratteristiche peggiori delle due razze. Tale lo schema del romanzo, logico come il profilo d’una fuga musicale (…) uno schema da poema epico e da tragedia.

Il paradiso perduto

Cime tempestose 7

Per quei due la gioia più grande era fuggire nella brughiera fin dal mattino e restarci tutto il giorno: dopo, l’immancabile punizione era per loro una cosa da nulla. Il curato poteva assegnare a Catherine quanti versetti voleva da imparare a memoria, e Joseph poteva frustare Heathcliff fino a consumarsi il braccio; scordavano tutto appena si trovavano di nuovo assieme, o almeno appena avevano messo a punto un piano per vendicarsi.

Nella proibizione di Hindley, che scaccia Heathcliff dal suo paradiso – il mondo meraviglioso delle scorribande insieme a Catherine, prescindente le feste religiose e i doveri famigliari – si riassume tutta la tragedia di un personaggio che sempre fu abbandonato – dapprima a Liverpool, poi dal suo idolo – e rappresenta la rinuncia forzata di Heathcliff, almeno quanto Catherine rinnega e rimpiange la selvatichezza della sua infanzia. Se, per loro buona sorte, i ragazzi hanno i poteri di dimenticare momentaneamente il mondo degli adulti, a questo mondo essi sono tuttavia destinati. Georges Bataille nel poderoso saggio La letteratura e il male, suggerisce che l’amore tumultuoso di Catherine e Heathcliff non è se non sovversivismo: la decisione, cui fa seguito una ribellione, di non rinunciare alla libertà di un’infanzia selvaggia e non corretta dalle norme della socievolezza e dell’educazione convenzionale. La società non potrebbe sussistere se questi impulsi primordiali dell’infanzia potessero imporsi. La costrizione sociale avrebbe richiesto a quei giovani liberi di perdere la loro innocente sovranità, di piegarsi alle convenzioni ragionate degli adulti. Heathcliff, ritornato ricco da un misterioso viaggio, ha dunque ragione di credere che Catherine, la sua compagna, abbia tradito il regno perfettamente sovrano dell’infanzia al quale essa apparteneva, corpo e anima, insieme a lui. Il tema del libro, suggerisce Bataille, è la rivolta dell’uomo maledetto che il destino caccia dal suo regno e che niente può ostacolare nel suo desiderio bruciante di ritrovarlo. La vita adulta è alienante – condanna le impetuosità infantili come antisociali – quanto oppressiva e, in tal senso, la parte prima del romanzo è un belluino canto di ribellione.

L’infanzia è il paradiso perduto. Heathcliff incarna, quindi, il bambino in rivolta contro il mondo del Bene, contro il mondo degli adulti e, con la sua rivolta si consacra al Male: la mancanza di passato – il nome che gli viene attribuito dal Signor Earnshaw è il nome di un suo figlio morto bambino – lo sottrae al tempo. Catherine è il suo primordio: lui è Catherine prima che diventasse adulta, le sue fondamenta – The eternal rocks beneath – la libertà, l’amante demone. Uscendo dal paradiso qualcosa nel rapporto con Cathrine, che non è fedele al patto stretto nella fanciullezza, va a smarrirsi nel dedalo delle sue frustrazioni e nell’amaro percorso della sua degradazione: quando il suo idolo – incomparabilmente al di sopra di chiunque sulla terra – torna dalla Grange, Heathcliff la ritrova agghindata come una piccola dama; lui, trascurato nei modi, pensa di averla perduta e da questo ha origine il dramma. Quel patto che Catherine ha sciolto, acquistando doppiezza nel destreggiarsi tra l’amore indissolubile ed eterno per Heathcliff – di cui dice: È me più di quanto sia io stessa! – e l’affetto per un uomo mansueto che, benché possa amare solo pallidamente, le garantisce una posizione sociale, “tragedizza” le vite di tutti.

C’è in Wuthering Heights, in accordo con l’interpretazione del Cecil un’andatura paragonabile a quella della tragedia greca: se il dramma si genera dalla cacciata del Paradiso, il tema del romanzo è la trasgressione tragica della legge e la figura di Catherine l’eroina muore a causa dell’incapacità di distaccarsi da colui che ha amato fin da bambina, ma violando, nello spirito e nella carne, la legge della fedeltà – muore da rinnegatrice di Agrapta?

Catherine: un’eroina liminale

Catherine Earnshaw è un personaggio enigmatico che sembra esser stato destinato dalla sua artefice, Emily Brontë, a una doppiezza inquietante. La critica la vuole rassegnata al corso degli eventi: fraintesa da Heathcliff che comunque è il suo tutto e da cui è impossibile scioglierla – Abbandonato! Separazione! (…) E chi potrà separarci? Incontrerebbe il destino di Milone! – sposa Edgar Linton costretta dalle circostanze e dalle convenzioni sociali.
Se una delle scene più note del romanzo la vuole incerta e bisognosa di rassicurazione la sparizione di Hetahcliff, per cui quasi muore, la forza nella decisione socialmente più giusta – Oh, Nelly, ora mi giudichi una terribile egoista, ma non hai mai pensato che se Heathcliff e io ci sposassimo, saremmo due mendicanti? – rinnegando la più bella, ruggente, espressione letteraria d’amore , linguisticamente ai limiti dell’inesprimibile.

Non so come spiegarlo,; ma certo anche tu sai che c’è, o dovrebbe esserci, una vita al di là di noi stessi. A che servirebbe l’avermi creata se fossi tutta qui? I miei più grandi dolori sono stati i dolori di Heathcliff, e tutti li ho conosciuti e provati sin dal principio; è lui la ma ragione di vita.

E il ritorno di Heathcliff segna la tragedia di Catherine che tenterà di tornare fedele al patto della loro infanzia, ormai nell’età adulta, condannandosi all’infelicità, alla morte e, soprattutto, alla liminalità. Con la stessa contrazione della tragedia, Catherine Earnshaw è sospesa tra il regno della quiete, la domata Grange con il suo ordine senza vita, e la selvaggia Wuthering Heights, tra i due uomini che a suo modo ama. La sua morte non avviene anche a causa di un incessante moto?
E la morte la trova ancora bambina e prigioniera di un limbo in cui passato e presente si confondono, con allucinatorio trionfo del primo: crede di essere a casa, a Cime Tempestose, nel suo vecchio letto e, poco prima di lasciare per sempre la sua spoglia terrena, “la sua prigione di luce”, in una shakespeariana follia presunta, riabbraccia l’amore e il patto che aveva rotto. Muore con un grido d’amore.

Cime Tempestose – L’infanzia come paradiso perduto

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