L’ultimo manga, o come direbbero i professionisti l’ultimo Shonen, che ho seguito con ogni fibra del mio essere è stato Naruto.

L’ho conosciuto più o meno intorno allo scontro fra Sasuke e Deidara e, complice un amico che aveva tutti i volumi arretrati, ho subito approfondito l’argomento.

A colpirmi fu un mondo originale ma pop dove, nonostante i suoi abitanti avessero la pessima abitudine di andarsene con le dita dei piedi al vento anche in pieno inverno, avrei voluto passare almeno un weekend (perlomeno a Konhoa, il villaggio della sabbia o della nebbia non è che fossero poi così invitanti). Ovviamente il protagonista era la chiave di tutto, un ragazzino che nascondeva una forza mostruosa e oscura, in grado di sprigionarsi solo quando Naruto perdeva il controllo, almeno all’inizio. Ho sempre adorato questi personaggi dalla forza sopita che si manifesta in condizioni di estrema rabbia, non a caso il mio personaggio preferito di Dragon Ball è Gohan.

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A Gohan nun je devi cacà er cazzo.

In questi ultimi mesi mi sono ritrovato a leggere Naruto un numero ridicolo di volte, tant’è che ho rispolverato l’intera saga almeno 3 volte. Mi sono reso così conto di come il mondo e i personaggi inventati da Kishimoto siano di una qualità elevata, di come restino coerenti con sé stessi fino alla fine, di come l’intreccio sia molto meglio organizzato di quanto i vari forum dicano (No, Naruto-manga non smette di essere bello dopo lo scontro con Pain, anche se la saga di Pain è inconfutabilmente il climax della crescita di Naruto-personaggio). Ok ci sono un paio di vaccate madornali, tipo Madara appena resuscitato che può usare i poteri del Rinnegan e dello Sharingan anche senza occhi, e in generale la parte con Kaguya è una pisciata fuori dal vaso gigantesca anche se necessaria.

Quel che però più mi ha colpito nelle varie riletture è come nonostante tutto di questi personaggi ne volessi ancora di più. Non tanto di Naruto, che alla fine è diventato un insopportabile messia il cui jutsu più grande non è la Biju-Dama ma il “Talk-no jutsu” cioè la ramanzina con cui converte tutti i cattivoni da Pain in poi, ma i vari Shikamaru, Sasuke, Gaara, Lee, Kakashi… Dopo settanta numeri focalizzati sul protagonista il vuoto da riempire nei confronti degli altri personaggi è profondissimo e non sono mai riuscito ad accontentarmi delle sole vignette finali del numero 700 dove, col buon vecchio espediente del balzo temporale, sbirciamo sul futuro dei nostri prediletti immaginando quindi cosa sia successo tra la fine dell’ultima grande guerra e i giorni di rinnovata pace nel mondo ninja.

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Con questa malinconia mi sono approcciato irrequieto a Boruto: the next generation. Complice lo scaltro feed di youtube che mi proponeva ogni tanto degli spezzoni dell’anime, ho cominciato a sfogliare il manga nella speranza di trovare qualche gag o qualche cosa in più sugli altri compagni di viaggio di Naruto. Con mia grande sorpresa mista a delusione nel manga non ci sono tanti momenti coi vecchi personaggi, anzi, si percepisce fin da subito il desiderio di non ritornare sul passato e voler raccontare una nuova storia, che poi è quella di Boruto, appunto.

Più chiaro di così…

Il manga comincia esattamente riprendendo il film che ha lanciato la nuova generazione di Shinobi di Konoha, con la selezione dei chunin interrotta da Momoshiki Ootsotsuki e socio intenzionati a succhiare tutto il chakra di Naruto (che novità).

La velocità con cui viene riassunta la vicenda (4 vignette per raccontare gli scontri, laddove l’anime invece impiega episodi interi) esplicita fin da subito come per gli autori la storia vecchia sia solo un peso di cui non vedono l’ora di liberarsi e le uniche pagine a cui viene dato più rilievo sono solo quelle dove Momoshiki dona il Karma a Boruto preannunciandogli un grave e oscuro destino.

Da questo momento il manga prosegue per la propria strada smarcandosi sempre più dalle vecchie dinamiche e persino dall’anime, che prosegue per una strada propria pur mantenendo molti elementi fondamentali in comune, provando persino a riscrivere il mondo dove i protagonisti vivono.

In Boruto, ad esempio, la tecnologia è vicinissima a quella dei nostri giorni: ci sono i telegiornali, i game boy(!) e la tecnologia in generale non è solo evoluta enormemente rispetto al mondo pseudo medievale di Naruto ma è anche utilizzata in battaglia attravero la tecnologia ninja (come il bracciale spara-jutsu delle selezioni chunin) fino ai nemici del gruppo Kara, la cui maggior parte sono ibridi androidi dotati di stivali-razzo e guantoni assorbi-chakra.

Laddove credevo di trovare una pseudo fan-fiction, con tonnellate di gag padre/madre-figlio/a, momenti nostalgia e dio solo sa quali altri contentini per aficionados come me smaniosi di sapere come si sono innamorati Shikamaru e Temari, ho invece scoperto una creatura che ce la mette tutta per alzarsi sulle proprie gambe e scappare in tempo dal leone dell’oblio in cui solitamente finiscono questi spin-off dettati più dal marketing che dal desiderio degli autori.

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Sasuke riesce a essere figo pure da collezionabile

Boruto non sta facendo i numeri del padre e i motivi sono un po’ gli stessi che ci portano a odiare i boomer in questi giorni: Naruto ha vissuto un’epoca troppo più interessante, dove il mondo era da scoprire, dove c’erano degli ideali collettivi per il quale combattere e forti individualità capaci di irretire col loro carisma.

Le cose che non funzionano di Boruto aiutano a capire perché invece Naruto abbia spopolato. Innanzitutto il mondo: il medioevo fantasy colpiva molto più l’occhio rispetto ai grattacieli della nuova Konoha e ai ninja-robot. Proprio come il più classico dei “si stava meglio quando si stava peggio”, vedere gli shinobi comunicare con le ricetrasmittenti (espediente per il vero usato due volte anche nel vecchio ciclo di storie ma sempre limitato e presto abbandonato) appare fuori luogo e anacronistico. Boruto che gioca al game boy o che sbusta pacchetti su pacchetti di carte collezionabili ninja per quanto serva sia a fare product-placement che ad avvicinare Boruto alle nuove generazioni – oltre a far capire che di tempo ne è passato – restituisce una sensazione sbagliata. Come può una società fondata sul chakra aver sviluppato in una decina di anni stivali razzo e guanti spara-jutsu? Il progresso tecnologico è stato talmente rapido da spingere troppo oltre la sospensione dell’incredulità, ma soprattutto cambia drasticamente le carte in tavola, al punto che sembra più di essere finiti dalle parti del genere mecha (le storie giappe coi robottoni) che in uno Shonen.

Lo stesso protagonista non è ben posizionato rispetto ai temi del racconto,

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Forse è sfuggita un po’ di mano…

Boruto non vuole diventare un Hokage come il padre ma semplicemente trovare la propria strada, che poi si rivelerà essere il desiderio di diventare il nuovo Sasuke, mentre ironicamente Sarada, la figlia di Sasuke, vorrà diventare il nuovo Naruto.


Boruto è un generico romanzo di formazione, dove il protagonista attraverso le esperienze e le difficoltà definisce se stesso e trova appunto il suo posto nel mondo. Il tirante non è forte come in Naruto poiché il protagonista parte in una posizione di estremo vantaggio e benessere (ha una famiglia, è il figlio della persona più importante del villaggio, il villaggio vive un momento di pace e benessere come mai prima) e il suo disagio è più figlio di un lamento adolescenziale che un vero e proprio dolore. Boruto si lamenta perché il padre non sta a casa a giocare con lui e anziché trovare qualcosa di meglio da fare tipo allenarsi e migliorare le sue tecniche ninja, tiene il broncio e fa le marachelle dispettose, esattamente come i millenials e gli zoomer accusano la boomer generation di aver rovinato il pianeta anziché provare a rimediare all’errore dei padri collettivamente.

Ok boomer.

Un protagonista lamentoso, un mondo meno interessante del precedente, dei comprimari troppo sodali e poco approfonditi rendono il manga piuttosto piatto e in definitiva poco interessante.

I nuovi nemici, il gruppo Kara, non sono che un gruppo Akatsuki con le mantelle soltanto nere anziché quel colpo di genio stilistico che erano le divise di Pain e soci.

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Chi non ha mai sognato un cosplay dell’Akatsuki?

Il manga però raggiunge finalmente una nuova luce quando viene introdotto finalmente un personaggio ostile, con un passato doloroso e che effettivamente – anche e soprattutto al flashforward con cui si apre il primo numero – pare dover affrontare un conflitto interessante, sto parlando di Kawaki.

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Kawaki

Non sì sanno del tutto i poteri di Kawaki, è dotato dello stesso simbolo di Boruto ma sul palmo della mano sinistra anziché destra. Jigen, leader di Kara, si riferisce a lui come “The Vessel”, il contenitore, e sembra dovrà ospitare il chakra dell’ennesimo Ootsutsuki venuto a rompere le palle ai terrestri.

Kawaki porta vivacità nel racconto poiché ha tutte le qualità del vecchio Naruto miste a quelle di Sasuke: è un outsider, non ha conosciuto una forma di amore finora nella sua vita ed è bellissimo, o perlomeno è il classico teppistello che tutte le vostre compagne del liceo avrebbero voluto limonare fortissimo.

Il cammino di Kawaki somiglia molto di più a quello di Sasuke che a quello di Naruto in quanto alla fine sembra che si scaglierà contro il mondo dei ninja per distruggerlo e farne qualcosa di completamente nuovo.

Il vero significato delle parole “ok boomer”.

Kawaki è utile anche a creare una nuova tensione sessuale con Sarada, laddove sembrava scontata (più per mancanza di concorrenza che per meriti agonistici) una futura relazione con Boruto. In questo caso spero la romance venga costruita di più di albo in albo e non dovermela immaginare desumendola dalle vignette finali dell’ultimo capitolo come successo fra Naruto e Hinata (non voglio considerare quell’orrore di Naruto: The Last come qualcosa di accaduto veramente).

Boruto-manga ha una sfida quasi impossibile e quasi certamente fallirà proprio perché i presupposti su cui si fonda non sono chiari e quei pochi chiari non sono interessanti. Dopotutto è come se facessero un film sulla vita di Piersilvio Berlusconi anziché sul padre: sicuramente Piersilvio ha affrontato delle difficoltà personali, momenti di crescita più o meno probanti, come chiunque a questo mondo, ma il suo racconto non potrà mai essere spettacolare come quello del padre.

Kawaki e il rapporto di amicizia/scontro che si sta formando con Boruto rappresenta la novità e l’unica possibilità di originalità per gli autori, e in questo assomiglia alla nuova generazione di questo squilibrato millennio: forte, probabilmente migliore, ma non ha idea di cosa fare e rischia di disperdere il suo talento in una serie di stage mal retribuiti che termineranno in una carriera da amministratore dei profili social di qualcuno troppo vecchio per saper comunicare ai giovani ma con una storia troppo più interessante della propria per starsene zitto.

Boruto: The “ok boomer” Generation
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