La Marvel Comics ha deciso di affidare a Jonathan Hickman,

Copertina di House of X #1, di Pepe Larraz

sceneggiatore americano noto per il suo lavoro su Fantastic Four, Avengers e altri progetti per l’Image Comics come The Manhattan Projects e East of West, il rilancio editoriale di uno dei suoi brand più famosi, gli X-Men.

I mutanti versavano da parecchi anni in una condizione considerata poco soddisfacente dal colosso americano, sia dal punto di vista delle vendite che da quello della qualità.

Il progetto si è concretizzato il 24 luglio scorso con l’uscita americana di House of X #1, primo numero di una miniserie di dodici, pubblicata nel corso di quattro mesi su due testate, con più uscite mensili – sei con il titolo di House of X e sei come Powers of X – che ha ridefinito lo status quo dei mutanti, proponendosi come un nuovo punto d’inizio per la lettura.

Questo articolo si concentrerà prevalentemente sulle metodologie narrative impiegate da Hickman, per cercare di definirne le caratteristiche. 
Quindi, inevitabilmente, conterrà spoiler.* 

Worldbuilding of X

PW Comics Week: Much has been said about the style and design methods you brought toThe Nightly News. What is your artistic background?

Jonathan Hickman: I have an architecture degree; that’s what my college degree is in. And that sucked. I started doing Web and CD-ROM development really early on, and then that grew into being an art director and doing advertising work.

Estratto intervista rilasciata a publishersweekly

Gli studi in architettura sostenuti da Hickman potrebbero avere avuto su di lui un’influenza più determinante del previsto, visto che gran parte dell’impegno profuso dall’autore nelle sue storie si concentra nel worldbuilding – la creazione cioè di un’arena narrativa dalla struttura chiara e dalle regole definite entro cui sviluppare il tessuto narrativo.

Una buona metà di House of X/Powers of X è dedicata infatti a fare ordine nella complessa continuity dei mutanti: muovendosi con l’acribia dell’archivista e l’animo del filologo, Hickman cerca di individuare dei punti fermi da usare come pilastri narrativi su cui erigere una timeline ufficiale di riferimento. Questi pilastri non si identificano solo in eventi cruciali per la definizione dell’identità mutanti (l’avvento di Apocalisse, il genocidio di Genosha, la nascita di Hope, ecc.), ma anche in personaggi usati come chiave di volta: il più importante tra questi, nel disegno di Hickman, è certamente Moira MacTaggert, aKa Moira X

Quella che è stata definita, nel lancio pubblicitario della serie, la scena più importante della storia degli X-Men

Moira MacTaggert è un personaggio creato da Chris Claremont e Dave Cockrum, genetista ed esperta di mutanti, che ha condiviso una storia d’amore con Charles Xavier, leader e ideologo degli uomini X.

Moira non aveva manifestato poteri mutanti fino all’arrivo di Hickman, che non solo svela la natura del personaggio ma la dota di una particolare mutazione: quella di rivivere più e più volte la sua esistenza.

Quando Moira muore “riavvia” la sua vita rinascendo ogni volta nella stessa maniera (stesso anno, da stessi genitori, nello stesso modo), conservando però le memorie delle vite precedenti.

La mutazione dà modo non solo di tentare soluzioni diverse nel corso della/e vita/e ma anche di fare tesoro delle esperienze passate per cercare di influenzare il futuro di ciò che più le sta a cuore: i mutanti.

La timeline delle vite di Moira, proposta all’interno degli stessi albi

Hickman in questo passaggio si è probabilmente ispirato al romanzo “Le prime quindici vite di Harry August” di Claire North, il cui protagonista è dotato proprio della medesima abilità e si ritrova a sfruttarla per fronteggiare la fine del mondo. 

Le vite di Moira non sono quindici come quelli di Harry August ma dieci e a complicare il tutto ci pensa una narrazione non lineare: House of X/Powers of X si dipana lungo quattro binari narrativi posti su diversi momenti temporali di “reincarnazioni” diverse.

Osserviamo un momento 0 con Moira che decide di lasciare il telepate Xavier libero di sondarle la mente e acquisire così le memorie di tutte le sue vite, un momento 1 traslato in avanti di dieci anni, con uno Xavier che, sulla base delle esperienze di Moira, ha deciso di allearsi con il rivale storico Magneto e fondare, insieme a lui, una nazione mutante sull’isola vivente di Krakoa, reclamando l’indipendenza davanti a tutte le altre nazioni del mondo.

La condizione postumana“, a cura di Giovanni Leghissa

Il momento 2 e il momento 3 sono spostati rispettivamente di 100 e 1000 anni nel futuro (relativi però a reincarnazioni diverse di Moira) e vedono i (pochi) mutanti superstiti confrontarsi prima con le “sentinelle” – macchine omicide create dagli uomini per sterminare i mutanti, che hanno progressivamente raggiunto autonomia decisionale e di pensiero – di Nimrod e poi fronteggiare le scelte sventurate di una razza successiva e superiore sia agli umani che ai mutanti, destinata, sembrerebbe, ad ereditare la terra: gli Homo novissima, o postumani.

L’introduzione della categoria dei postumani e, di conseguenza, delle tematiche ultra contemporanee del postumanesimo, combinata con un’attenzione particolare nella descrizione degli aspetti politico-sociali del mondo immaginato, sposta il baricentro narrativo della serie dal campo del supereroistico a quello della hard science fiction (o “fantascienza hard”).

 I quattro “momenti” narrativi, disegni di R.B. Silva

Asimov of X

La condizione del momento 1, che sarà il binario narrativo principale e quello maggiormente indagato nelle testate mutante di prossima uscita, vede i mutanti più uniti che mai in nome della rinnovata “visione” di Xavier.

Krakoa è sia una nazione sovrana che un’isola vivente dotata di pensiero. Situata in buona parte nell’oceano pacifico, con delle “appendici” nell’oceano Atlantico, nella zona blu della luna e, addirittura, nello spazio.

Sulla sua superficie cresce una flora peculiare con abilità straordinarie: dai “fiori di Krakoa” possono nascere ulteriori appendici dell’isola stessa, dei veri e propri “habitat” sostenibili; tutti gli habitat sono interconnessi tramite dei portali che collegano le diverse parti dell’isola.

In aggiunta a questo, gli X-Men sono riusciti a lavorare i fiori in modo da ricavarne dei farmaci specifici molto potenti, capaci di curare diverse patologie e aumentare l’aspettativa di vita di anni, tramite i quali hanno conquistato il predominio del mercato farmaceutico.

La nazione mutante di Krakoa
La nazione mutante di Krakoa

 

L’ideazione di una nazione mutante non è una novità nella storia editoriale degli uomini X – basti pensare, per esempio, al periodo di Utopia -, quello che invece è abbastanza inedito è la modalità narrativa con cui la vicenda viene raccontata: l’attenzione di Hickman è rivolta a descrivere gli aspetti morfologici, politici, sociali ed economici dell’isola, quasi come se il lettore si trovasse di fronte a una pagina di approfondimento di un manuale di geografia

Un “fiore di Krakoa”, disegni di Pepe Larraz

Le vicende personali dei personaggi passano in secondo piano, la lente narrativa utilizzata è un grandangolo la narrazione si  concentra sul raggiungimento dell’indipendenza economica della nazione, sulla morfologia di Krakoa, sulla descrizione dei centri di potere mutante, sull’individuazione dei luoghi di ritrovo principali, sulle modalità con cui vengono effettuati gli spostamenti – l’espediente dei portali permetterà, probabilmente, all’autore di isolare, in futuro, gruppi più esigui di mutanti in posti specifici in modo da dedicarsi, volta per volta, a situazioni diversi, come, del resto, si è già potuto osservare nel recentissimo X-Men #1 – e sugli altri aspetti politici, relativi al governo del paese.

I ricordi di Moira X hanno fatto maturare in Xavier un disegno ad ampissimo raggio per i mutanti: l’idea è quella di dare vita a una nazione forte, in grado di contenere e affrontare le problematicità del mondo mutante.

In quest’ottica, una delle prime mosse del leader è quella di incaricare il mutante Cypher, capace di comprendere ogni linguaggio possibile, di creare, insieme a Krakoa, una vera e propria nuova lingua per i mutanti, da imprimere poi nella mente di ogni abitante grazie ai telepati dell’isola.

Una popolazione non può aspirare a costruire un’identità propria senza una lingua di riferimento, per questo è necessario che i mutanti si dotino del proprio idioma, come è necessario impostare un assetto di governo chiaro.

L’alfabeto di Krakoa

Al comando della nazione viene posto il “Quiet Council of Krakoa“, un consiglio di pari formato da dodici membri divisi in quattro sezioni:

Autumn – Professor-X, Magneto, Apocalypse

Winter – Mister Sinister, Exodus, Mystique

Spring – Sebastian Shaw, Emma Frost, Red King

Summer – Storm, Jean Grey, Nightcrawler

È sufficiente una conoscenza minima degli X-Men per notare che il consiglio comprende alcuni dei nemici storici – nonché pluriomicidi come Mister Sinister, Apocalypse o la stessa Mystique – del gruppo.

Questa scelta apparentemente folle manifesta il tentativo di Xavier di affrontare di petto le controversie più grosse del mondo mutante, affiancando agli alleati di sempre gli esponenti più “pericolosi” del suo popolo, secondo il principio del Keep your friends close, but your enemies closer.

Prima riunione del “Quiet Council of Krakoa”, disegni di Pepe Larraz

Nella sua prima riunione, il consiglio si trova a deliberare riguardo al crimine di Sabretooth (Victor Creed), che durante una missione affidatagli dallo stesso Xavier, si è macchiato dell’uccisione di alcuni agenti umani.

Durante il verdetto, che vedrà l’imputato considerato colpevole e condannato a uno stato di prigionia/stasi nelle profondità di Krakoa, i dodici stabiliranno tre principi fondamentali dello stato mutante:

Produrre più mutanti. Non uccidere gli uomini. Rispettare la terra sacra (Krakoa).”

Non semplici norme giuridiche, quindi, ma linee guida. Princìpi nel nome dei quali dovranno essere prese le decisioni del consiglio.

L’attenzione di Hickman per la ricostruzione degli aspetti di una società d’invenzione, la scelta di dedicare pagine e pagine – arricchite di infografiche, annotazioni e diagrammi, opera dello stesso Hickman in collaborazione con il grafico Tom Muller, autore anche del nuovo logo – a descrivere un mondo, più che a raccontare una storia o ad approfondire le psicologie dei personaggi, ricorda uno dei pilastri della fantascienza hard: il Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov, dove il matematico Seldon, dedito alla scienza della psicostoria (disciplina in grado di prevedere l’evoluzione di una società tramite metodi statistici) dà vita a una fondazione composta da scienziati e ingegneri, nel tentativo di preservare la civiltà. 

L’intenzione di Hickman sembra essere quella di portare gli X-Men – un brand che ha spesso implementato al suo interno istanze fantascientifiche, pur rimanendo stanziato nell’alveo del genere supereroistico – a confrontarsi direttamente con i capisaldi della fantascienza.

Ulteriore dimostrazione di questo proposito è la scelta delle due minacce principali per la sopravvivenza mutante, mostrate nei momenti narrativi 2 e 3: le macchine senzienti/intelligenze artificiali e i postumani.

Sci-Fi of X

In un recente saggio pubblicato dal MIT Press (l’editore di riferimento del Massachusetts Institute of Technology), lo scienziato inglese James Lovelock discute della possibilità che quello attuale possa rivelarsi il “secolo finale” dell’umanità e dell’attuale era geologica, il cosiddetto Antropocene.

L’era seguente, definita da Lovelock come Novacene, potrebbe essere caratterizzata da uno sviluppo tecnologico al di là della comprensione umana e dall’assunzione di un ruolo di centralità e di controllo (almeno sugli esseri umani) da parte delle intelligenze artificiali.

L’originalità del pensiero di Lovelock risiede nel fatto che questo possibile sviluppo non è visto in ottica negativa, anzi lo scienziato sostiene che le intelligenze artificiali possano aprire prospettive migliori di quelle attuali per il pianeta, dato che potranno comprendere prima le sue necessità e prendere, di conseguenza, scelte migliori.

Lo scenario in cui esseri superintelligenti diventeranno capaci di riprodursi e autoprogrammarsi senza l’intervento degli uomini è mostrato da Hickman – in ottica decisamente distopica – nel momento 2 della narrazione: Nimrod ha il controllo della terra e i pochi mutanti superstiti, compresi i più potenti come Apocalisse, sembrano non potere niente di fronte a lui; la morte e il conseguente “riavvio” del processo di reincarnazione di Moira X diventano determinanti per cercare di fermare l’IA prima della sua effettiva messa in funzione (un’idea, del resto, già esplorata da serie blasonate come Terminator).

Il postumanesimo ha un testo programmatico, “The Posthuman Manifesto”, tratto da questo saggio del ricercatore Robert Pepperell

Nel momento 3 invece, Hickman ipotizza l’idea che i mutanti si siano sbagliati nel credere di essere il vertice del processo evoluzionistico e che una nuova categoria di esseri – postumani artificialmente potenziati per trascendere la loro condizione tanto da diventare una vera e propria nuova razza (Homo novissima) – ne abbia approfittato per prendere il controllo della terra, con conseguenze spaventose.

Gli Homo novissima si ispirano a una corrente di pensiero realmente esistente e discussa, quella del postumanesimo, tesa a trattare le possibilità concrete dell’uomo di ibridare la propria natura per migliorare le proprie capacità di adattamento al mondo, oltre che la propria condizione.**

Non è la prima volta che gli X-Men si confrontano con una nuova “razza” simile ai mutanti e agli umani ma a loro superiore.

Mike Carey e Chris Bachalo, per esempio, nell’arco narrativo intitolato Supernovas, misero gli X-Men di fronte ai Children of the Vault: esseri evoluti a partire dal genoma umano in un arco di 6000 anni, fatti crescere in una navicella (The Conquistador) dotata di tecnologia di accelerazione temporale – uno di loro è stato ripescato proprio in occasione di X-Men #1.

I Children of The Vault, tavola di X-Men Vol 2 #189, disegni di Chris Bachalo

La descrizione dei postumani proposta da Hickman sottolinea però  il fatto che la nuova razza sia il frutto di un superamento della condizione umana operato grazie all’ingegnerizzazione, quindi una vittoria della tecnica sulla biologia, mentre nell’esempio dei Children of the Vault il caso è quello di un’evoluzione genetica a cui è stata applicata un’accelerazione

Entrambe le situazioni ipotizzate dallo sceneggiatore americano allora non si distinguono tanto per originalità quanto per l’intenzione di inserire gli X-Men all’interno di un dibattito vivo e (ultra)contemporaneo che accomuna scienziati e appassionati di fantascienza.

Apocalypse saluta Xavier a Krakoa in House of X #5, disegni di Pepe Larraz

Sembra quasi che l’autore abbia approfittato dell’occasione concessagli da Marvel per affrontare frontalmente tematiche a lui care, sacrificando di conseguenza parte della natura supereroistica della serie.

Ed è proprio in questo contrasto tra l’ambizione di scrivere una grande serie di fantascienza e il ritrovarsi però a fare i conti con la storia e la caratterizzazione canonica degli uomini X che si palesano i problemi della narrazione.

Problems of X

Il setting di fantascienza hard imbastito da Hickman richiede, per le sue dinamiche costitutive, delle scelte pesanti che mal si conciliano con la caratterizzazione dei personaggi.

La nazione creata da Xavier ha ben poco di “eroico”: il leader fa suoi principi della ragion di stato in nome dei quali si giustificano scelte e comportamenti abbastanza machiavellici, senza che questo abbia ripercussioni – almeno per adesso – sui comportamenti e le psicologie dei personaggi.

Ancora oggi uno dei capisaldi della narrativa mutante.

Si fa fatica ad accettare Jean Grey seduta pacificamente allo stesso tavolo di Apocalypse; come si fa fatica a credere che il processo di clonazione dei mutanti architettato da Xavier per permettere ai suoi uomini di sopravvivere alle missioni più pericolose – per quanto ingegnoso e ben descritto, con più di un punto in comune con produzioni come Il sesto giorno o Altered Carbonnon faccia sorgere qualche perplessità o dilemma etico in nessuno degli altri personaggi – gli stessi personaggi che si erano ritrovati a porsi molteplici domande davanti a questioni similari, si pensi a God loves, Man Kills.

Spesso accomunati per la loro tendenza a costruire storie a lunga gittata, gli approcci di due sceneggiatori quali Hickman e Chris Claremont – il più famoso sceneggiatore degli X-Men, responsabile della caratterizzazione di molti dei personaggi impiegati tutt’oggi – non potrebbero essere più differente: se Claremont predilige un approccio alla narrazione psicologico e character-driven , dove si impiegano anche soluzioni da soap opera al servizio delle logiche della serialità, Hickman tralascia l’approfondimento dei personaggi in nome della coerenza del mondo narrativo.

Le problematiche di una simile scelta si palesano in maniera ancora più evidente quando si è messi di fronte non a personaggi inediti, o creati ad hoc per essere inseriti nell’architettura immaginata, ma bensì a personaggi con una caratterizzazione ben precisa e anni di storie alle spalle.

Copertina di Powers of X #1, di R. B. Silva

Durante la lettura si ha allora l’impressione di trovarci davanti a uno scacchiere colmo di pedine mosse secondo una strategia articolata: se riuscire a comprendere il disegno complessivo risulta indubbiamente appagante (come del resto è appagante anche solo scoprire le diverse sfumature di Krakoa), quello che viene a mancare è la consistenza della narrazione: la sua “carne”.

Il worldbuilding insieme alle necessità del plot prendono il sopravvento sui personaggi dialoghi che risultano, di conseguenza, anonimi, non caratterizzanti, spesso usati in maniera didascalica o proprio in ottica informativa: per assicurarsi, cioè, che il lettore abbia acquisito le informazioni necessarie alla comprensione della storia. 

Privati delle reazioni e dello spessore dei loro protagonisti, i dodici numeri di House of X/Powers of X finiscono per non sembrare più una storia degli X-Men ma assomigliano piuttosto a un costrutto ibrido ricoperto di pelle sintetica, incapace di sanguinare.

Future(s) of X

Il testo ha sempre una dimensione sacrificale. Ha bisogno di tragedia e sacrificio. Un testo è una messa a morte, deve sanguinare. Per questo tutta la letteratura nasce dalla tragedia. Come diceva Borges, alle persone capitano alcune disgrazie affinché le generazioni future possano parlare di loro. E se spesso la letteratura parte dal dolore collettivo per esprimere il dolore individuale di singoli personaggi, è vero anche il contrario: la tragedia individuale serve a evocare una tragedia collettiva. Così in Vite minuscole, le disgrazie di ciascuno rimandano a una disgrazia collettiva.

Estratto dell’intervista allo scrittore Pierre Michon di Repubblica.it

A House of X/Powers of X, seguirà Dawn of X: un vasto rilancio editoriale delle testate mutanti dove diversi autori si preoccuperanno di sviluppare i presupposti narrativi contenuti nella serie, sotto la supervisione generale di Hickman – le testate annunciate, per adesso, sono otto (X-Men, New Mutants, Marauders, Excalibur, Fallen Angels, X-Force, Wolverine, Giant Size X-Men), tre di queste (X-Men, New Mutants e Giant Sixe X-Men) saranno sceneggiate personalmente da Hickman.

Cover di X-Men #1, di Leinil Francis Yu

La speranza è che, nonostante la frammentarietà dovuta al gran numero di titoli proposti – in sicura espansione, dato che Hickman ha già accennato a una futura testata dedicata a Moira X -, almeno sulle serie portanti scritti dall’autore si riesca a superare la “distanza” imposta da una premessa narrativa forse troppo grande e stratificata per essere racchiusa “solo” in 12 albi, in favore di un approccio più “a misura d’uomo” (o di mutante): ora che i semi narrativi sono stati piantati e “l’arena” imbastita è arrivato il momento di abbandonare il grandangolo per riconquistare il microscopio, in modo da mettere i personaggi di fronte alle conseguenze del – nuovo – mondo di cui sono i protagonisti.

Le ambizioni di questa nuova epopea mutante sono grandi: lo scopo dello sceneggiatore americano sembra essere quello di usare gli X-Men come tramite per trattare tematiche sfaccettate e di grande attualitàla definizione dell’identità culturale di una comunità, cosa è lecito e cosa non è lecito fare in nome della sopravvivenza, il diritto all’autodeterminazione dei popoli – ma l’affresco complessivo si rivelerà vincente solo se Hickman riuscirà, per usare le parole di Pierre Michon, a partire dal dolore collettivo per esprimere il dolore individuale di singoli personaggi, e viceversa. 

Tavola di Powers of X #6, disegni di R.B. Silva

 

Nota:

* L’articolo è focalizzato sulle scelte compiute in fase di sceneggiatura, per tentare di isolarne le strutture portanti e, di conseguenza, “aprire” la storia, in modo da comprendere in maniera più chiara le intenzioni e gli espedienti utilizzati per perseguirli.

Un’analisi esauriente a riguardo avrebbe però dovuto comprendere l’operato degli altri due fumettisti che hanno collaborato con Hickman nella lavorazione di House of X/Powers of X: R.B. Silva e Pepe Larraz.

Ritengo che un discorso corretto sul fumetto dovrebbe guardare a testi e disegni come un unicum e non muoversi a compartimenti stagni, nell’ottica di un segno che si faccia tramite delle intenzioni e della volontà di ciò che si vuole raccontare.

L’analisi proposta da questo articolo è invece – colpevolmente e consapevolmente – limitata e non rende giustizia al lavoro dei disegnatori.

Hickman of X – Luci e ombre del rilancio degli X-Men
Tag:                                                                                                                                                     

Rispondi