Flame Princess in Love – Silvia Vanni

Ne abbiamo parlato, prima che io scrivessi questo post: si sta affermando una nuova generazione di autori, in questo momento. Per anni ha cercato una voce, una forma. L’Homo Barbuccicus è evoluto in Homo Pedrosicus e ora sta diventando… Steven Universe.
Non fate quella faccia, è vero. La generazione che sta prendendo d’assalto il mercato, stilisticamente e narrativamente, è quella influenzata da Adventure Time, da Steven Universe. Lo zeitgeist del Fumetto moderno ha le sopracciglia folte e grandi occhi tondi. E in Italia l’artista che al momento rappresenta, secondo noi, la summa artistica della sensibilità narrativa moderna, è Gio Pota.
Gio è il prossimo caposcuola, the next big thing, l’apice delle tendenze di segno, storytelling, mood emotivo cromatico.

A scriverlo non è un elzevirista improvvisato ma Michele Foschini, aka il capoccia di Bao Publishing, direttamente sul blog della casa editrice, in un post datato 3 gennaio 2017 (che vi consiglio di leggere per intero, visto che già il paragrafo dopo di questo riserva un bel twist).

Bao è, a oggi, una delle realtà editoriali più rilevanti nel panorama fumettistico del Bel paese; credo quindi che le parole dell’editore meritino un certo credito o che, in ogni caso, siano una buona base di partenza per iniziare un discorso su… Salomè?

Gustave Moreau (1826-1898) – L’Apparizione © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay)
“Parbleu!”

Tra il 1892 e il 1893, Oscar Wilde è solito passeggiare per le rues parigine, trascorrendo le sue giornate in compagnia di una manica di artisti che si riconoscevano nella corrente del simbolismo decadente.*
Fra questi, Paul Alexandre Martin Duval, noto come Jean Lorrain, dotto “scandalizzatore” seriale che si divertiva a provocare la società benpensante con un’omosessualità chiassosa e un guardaroba che non rinunciava, tra le altre cose, a brache di pelle di pantera.

Proprio durante una visita allo studio di Lorrain, l’aforista più “copiaincollato” del globo – se la batte forse, giusto, con Neruda – resta folgorato da un cartone preparatorio di L’apparizione, di Gustave Moreau.

Nel dipinto è raffigurata la principessa giudaica Salomè, figlia di Erodiade e di Erode Filippo I, che, come si racconta nel Vangelo di Marco, ebbe a chiedere allo zietto – nonché secondo compagno della madre -, Erode Antipa, la testa del profeta Giovanni Battista, come ricompensa per una conturbante danza, eseguita dalla giovane a un banchetto.

Aneddotica vuole che Wilde, stregato dall’opera di Moreau e roso dall’ispirazione, completò la tragedia in atto unico Salomè in una giornata, scrivendone una buona parte nella sua camera di albergo a Rue des Capucines, e firmando la conclusione in tarda notte, dopo aver udito le note di un violinista zigano:

Sto scrivendo un dramma su una donna che danza a piedi nudi nel sangue di un uomo che ha amato e che ha fatto uccidere. Ma non riesco ad afferrare bene lo spirito della situazione. Suonami qualcosa che mi metta in sintonia…**

Il testo firmato dall’artista di Dublino è un dispiegarsi cristallino di simbologie ed eruditi rimandi estetizzanti. Nei suoi dialoghi, giocati su una corrispondenza fra la corporeità effettiva dei personaggi e il loro portato metafisico, amore e morte si corteggiano senza riuscire mai ad arrivare a una pacifica comprensione, se non passando attraverso la sublimazione della bellezza.

La bellezza è, al contempo, il comune denominatore tra l’amore – che si manifesta attraverso l’attrazione tra corpi perfetti e immacolati – e la morte e la consacrazione ultima della loro relazione. Un destino ineluttabile a cui non può sottrarsi nemmeno la stessa protagonista.

Garante stellare, la luna eburnea – refrain più volte declamato nell’opera – è il nume tutelare che vigila, delimitandone confini e caratura, sugli appetiti dei personaggi.

Salomè: Come fa bene vedere la luna! Assomiglia a una monetina; la si direbbe un piccolo fiore d’argento. La luna è fredda e casta. E sono certa che è intatta, ha la beltà di una vergine. Sì, è vergine. Mai si è corrotta. Mai si abbandonò agli uomini, come le altre Dee.***

Salomè, scritta originariamente in francese, viene pubblicata nel 1893, con le illustrazioni di  Aubrey Beardsley, che, in una fulgida prova di Art Nouveau, tratteggia figure affusolate, leggere – quasi senza peso -, dai tratti delicati e allungati, che non nascondono l’influenza delle stampe giapponesi.

L’opposto speculare delle bambole aliene di Silvia Vanni.

Un’illustrazione di Aubrey Beardsley per Salomè

Nella collana Teatro fra le nuvole, dell’editore Kleiner Flug, sono ospitate delle rivisitazioni fumettistiche di classiche opere teatrali, fra cui, per esempio, Enrico IV di Pirandello, adattato da Lorenzo Bianchi e Angelica Regni – per una recensione accurata vi rimando qui – o Nabucco di Verdi nella versione di Ascari e Riccadonna.

L’uscita più recente è dedicata proprio a Salomè e a firmare questa nuova incarnazione sono Emilia Cinzia Perri (testi) e Silvia Vanni (disegni).

Da un punto di vista testuale, la trasposizione di Perri è fedele all’originale: i dialoghi di Wilde sono stati rispettati quando possibile e i tagli – la foliazione conta solo 48 pagine – sono stati operati con raziocinio e mestiere, custodendo il fascino nativo.

Salomè: Com’è bella la luna! Assomiglia a un piccolo fiore d’argento. È fredda e casta, la luna… Sono sicura che è vergine. Ha la bellezza di una vergine. Sì, è vergine. Non si è mai lordata. Non si è mai data agli uomini come le altre Dee.

Decisamente più ardita invece è rielaborazione estetica di Vanni che, da un lato si inserisce pienamente in quello scenario contemporaneo descritto da Michele Foschini nel suo articolo, dall’altro riesce a fornire un’interpretazione non solo carismatica ma anche coerente con l’originale.

Un processo arrivato al culmine nel 2010 con l’arrivo su Cartoon Network della serie animata di cui più si è parlato nello scorso lustro: Adventure Time. Una creazione che pare essere figlia diretta di tutte le influenze grafiche portate al successo da Kid Robot applicate a una sghemba ambientazione fantasy da Fort Thunder. Così abbiamo i colori da urban vinyl, mostruosità bitorzolute, la musica chiptune, la collaborazione con artisti di primissimo livello (da Brandon Graham a Masaaki Yuasa). Da lì in avanti il resto è storia, con l’arrivo di una serie di titoli sempre più meritevoli sugli schermi di mezzo mondo – come lo strepitoso Steven Universe di Rebecca Sugar – e delle rispettive, e vendutissime, serie a fumetti. Un fenomeno che è andato a influenzare anche le grandi major, vedi l’arrivo sugli scaffali di una serie targata Marvel come Squirrel Girl. Perfino in un graphic novel minimale e quotidiano come La vita con Mr. Dangerous di Paul Hornschemeier troviamo tracce di questa tendenza. E non dimentichiamo tutte le nuove derive del videogioco indie alla Super T.I.M.E. Force.

In un pezzo su Fumettologica, l’articolista Evil Monkey cerca di tirare le somme e di elencare una serie di fonti prossime al cosiddetto attuale zeitgeist del fumetto pop.
Nella Salomè di Vanni, i bambolotti gommosi alla Adventure Time si fanno espressione di perfezione robotica: il pallore è quello del lucido platino e la purezza casta afferisce a neutri circuiti sterili, avulsi dalle imperfezione della carne. Le gesta della selenica principessa giudaica sono allora calate in un’ambientazione cibernetica, in cui sì riecheggiano evidenti gli echi animati dei prodotti griffati Cartoon Network Studios o il design meccanico alla Futurama ma che non può non far venire in mente, almeno per assonanza, l’utopia imperfetta della Metropolis di Fritz Lang: un universo di purezza asettica, dove nemmeno il sangue insozza e la bellezza equivale all’assenza di vita.

Brigitte Helm – Maria/La donna robot

 

Nelle scelte operate da Vanni allora, seppure apparentemente distanti anni luce dalla sensibilità e dal gusto accomunabili all’epoca di Wilde, si riscontra una sostanziale identificazione tra significante e significato, oltre che un fecondo lavoro di penetrazione dell’opera di riferimento.

Il risultato è un fumetto che non sfigura né come prodotto a sé stante né come rivisitazione; che ha l’indubbio pregio di fare dialogare un classico senza tempo con la contemporaneità.
Del resto, fu Italo Calvino a dire che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”****, e di solito quel che diceva Calvino era, semplicemente, il necessario.

 

Note:

* Vedi premessa a Salomè – Tragedia in un atto di Lucio Chiavarelli, in Oscar Wilde, Tutte le opere, A cura di Masolino d’Amico, Newton Compton, Roma 2014.

** Vi consiglio caldamente la lettura di questo articolo (da cui è tratta la citazione): https://statomentale.wordpress.com/2012/01/04/la-bellezza-che-sublima-amore-e-morte-salome/

*** Vale la stessa fonte della prima nota.

**** Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1995.

 

Salomè – GumWilde
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