Il castello di ghiaccio - Iperborea

Autore: Tarjei Vesaas (traduzione italiana di I. Peroni)
Editore: Iperborea
Prezzo di Copertina: 12,50 €
Anno di Pubblicazione: 2001
Pagine: 188

La trama

Un’opera che è bestia insolita e bellissima: resta attaccata a occhi e cuore.

Inverno in Norvegia: il ghiaccio ruggisce come una cosa viva, solidificandosi, rigenerandosi continuamente: due bambine si danzano attorno custodendo l’amicizia che, preziosa, sta per annodarle. Si avvicinano e l’incontro avviene a casa di Unn, appena trasferitasi dopo aver perduto la madre, a casa della zia. Il lago è diventato uno specchio nero, non ancora coperto dalla neve, gli alberi frusciano e stridono: la notte fa paura, ma Siss deve incontrare l’amica prima che avvenga una sparizione…

Disibernazione e Abbandono del solipsismo

È una cosa troppo delicata perché io possa spiegarla , finirei col rovinare tutto. Forse tu, che sei una bambina, lo puoi capire meglio di me.

Così Tarjei Vesaas lascia inappagata la curiosità di una giovane lettrice che gli aveva chiesto per lettera di svelarle il significato profondo del suo romanzo. Certamente è una metamorfica foresta di simboli: impossibile non sconfinare nei territori mesmerici della metafora, malgrado l’intima

Tarjei Vesaas
Tarjei Vesaas

lucidità stilistica del Vesaas, che ha meravigliosamente ritratto la fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza in un’ottica femminile, induca a credere che il tutto sia scevro da astrazioni.

Se una prima visione semplicistica può indurre a credere, anche alla luce della toccante promessa di Siss a Unn – Promessa dal più profondo della neve da Siss a Unn: Prometto di non voler pensare a nient’altro che a te… – che si stiano indagando i complessi processi di elaborazione del lutto, una lettura più approfondita riesce a svelare scenari inattesi.

Dipanando il groviglio di simboli si può tracciare una rassomiglianza, addirittura una complementarietà, tra la figura di Siss e quella di Unn che, nella scena iniziale allo specchio, arrivano a fondersi in un Sé unico.

Non so: raggi e bagliori, da te a me, da me a te, e da me a te sola – dentro e fuori dallo specchio, e mai una risposta su cosa significhi, mai una spiegazione. Le tue labbra rosse e piene, non sono le mie così simili! I capelli con lo stesso taglio, raggi, bagliori!

Il giorno seguente al primo incontro rivelatorio, Unn marina la scuola e distesa sulla superficie ghiacciata del lago ne contempla l’abisso: la discesa vertiginosa che dalle sponde fangose porta, repentinamente, dove l’acqua è profonda. Contempla la morte, da cui la lastra spessa di ghiaccio la separa, per incontrarla più tardi nelle sale fatate – fiori di ghiaccio, foresta cristallizzata e luce in arabeschi – della cascata gelata la cui acqua, congelandosi, ha plasmato il mostruoso castello, concretizzazione dell’inverno che non lascia scampo. Unn – una delle due entità psichiche – cade preda del sonno e dell’ibernazione in una rielaborazione topica della fiaba di Rosaspina.

Un archetipo che ha origini antiche, basti pensare al mito di Demetra: ogni inverno sua figlia Persefone scompare sotto terra per raggiungere Plutone, lo sposo, e poi ricompare a primavera; come ha mostrato Kàroly Kerényi, si tratta di un motivo diffuso nel mondo intero, di cui La Bella Addormentata non è che una variante particolare. Unn non può essere ritrovata, forse perché non c’è niente da ritrovare: persino il castello di ghiaccio, prossimo alla fine e al disgelo, ne conserva soltanto un riflesso effimero. Ma Siss, la metà rimanente, riflettendo ciò che accade all’altra, si congela e si separa dalla comunità prima estromettendosi dalla dinamica familiare, poi da quella sociale in ambito scolastico.

Come l’anatroccolo che si congela nel ghiaccio dello stagno, le donne si congelano, ed è la cosa peggiore che una persona possa fare. Alcune pensano sia una conquista: in realtà è un atto di collera difensiva. Per un essere umano essere congelato significa essere volutamente senza sentimenti, specie verso se stessi, ma anche e talvolta ancor più verso gli altri: è un meccanismo autoprotettivo, ma difficile per la psiche-anima, perché l’anima non reagisce al gelo, quanto piuttosto al calore; è un grave problema e la storia ce ne dà un’idea. Il ghiaccio dev’essere rotto e l’anima tolta dal gelo.

Un’ibernazione che è metafora del solipsismo, del ritiro dalla comunità che all’estremo Nord è fatale. I dialoghi tra Siss e i compagni di classe sembrano esplicitarlo.

«È difficile per noi essere subito sicuri che sei di nuovo dei nostri.»
(…)
«Guarda che può tornare tutto come prima.» insistette lui
«Lo sai per certo?»
«No, ma può tornare tutto come prima lo stesso.»

Ma Siss, dopo un complesso processo di interiorizzazione e di crescita, sceglie di destarsi dal sonno gelato e, assieme al ciclo di morte e rinascita delle stagioni, tornare alla vita assieme al consorzio umano; il lettore, emblematicamente assiste al disgregarsi della mostruosa fortezza di ghiaccio.

hiaccio, un tempo di morte e di stanze chiuse – e poi di colpo Siss si ritrovava sull’altra sponda, con gli occhi appannati dalla felicità.

Disgelo fiori

Era stato un tempo di neve – Il castello di ghiaccio di Tarjei Vesaas

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