Egregi nerdozzi, come ve la passate?
Piccolo avvertimento per voi prima di leggere questo ultimo roboante articolo: Spider-Man Family Business, di Mark Waid, James Robinson e Gabriele Dell’Otto non è ancora uscito in Italia ma solo in Afroamerica (prima di darmi del razzista sappiate che la popolazione di colore – orrore lessicale voluto dal politically correctismo – ha recentemente superato la parte «bianca» della popolazione statunitense), per cui se volete leggerlo… c’è Amazon!

Che pensavate, scusa?

Bene, seguiranno un po’ di spoiler e altre amenità necessarie a parlarvi di quello che sembrava essere un buon numero e invece… lo è? non lo è? Scopriamolo insieme.

Ho saputo su Comic Book Resources dell’uscita di questa storia per la serie Marvel Graphic Novels, ovvero storie fighe in attesa di essere spedite in continuity. Solitamente su quel sito sono piuttosto obiettivi e difficilmente si fanno prendere dall’entusiasmo se una cosa bella non lo è. Così, quando ho visto come veniva descritto questo volume sul loro sito mi sono un pochetto emozionato (sono un grande spidey-fan dalla nascita, ed è dalla dipartita – dalla testata, non da questo mondo – di Stracchino che aspetto un autore in grado di capire davvero l’anima di questo personaggio, ma, ahimé, ancora mi sa che dovrò aspettare).
Una volta appropriatomi del volume però è arrivata la delusione.
Ma procediamo per ordine.

Mark Waid è un nome importante in casa Marvel, attualmente gestisce magnificamente un personaggio bellissimo ma per niente facile come Daredevil (fra l’altro sarebbe carino la gente si ricordasse ogni tanto di quel Dare davanti a Devil, autori compresi) per cui l’idea di uno come lui dietro a una storia del ragno poteva solo promettere bene. In più mi viene tirato in ballo quel pezzo da novanta di Gabriele Dell’Otto che è tipo il Mister Wolf della Marvel:

«Ehi Joe, abbiamo una bella storia, da mettere in continuity, ma che per il momento resta una graphic novel a sé stante fino a che non troviamo il momento giusto di pubblicarla, rischiamo quindi di non venderla, che si fa?»
«Tranquillo Bobby, chiamo un amico mio che ci fa dei disegni lui che ce lo vendiamo anche ai ciechi»
«Bella zi’»

Ciao, sono Gabriele Dell’Otto, risolvo problemi.

Effettivamente la scelta è azzeccata: il volume vale la pena di essere acquistato a priori solo per i disegni.

Ne siete convinti ora?

La storia viene presenta da Waid stesso come il tentativo di «fare qualcosa che nessuno avesse mai fatto prima con il ragno», o almeno questo è quello che mi è sembrato di capire traducendo un po’ alla cazzo il suo inglese, e devo dire che questa premessa Waid la rispetta.
Il nostro scrittore si è tuffato nel passato del ragno alla ricerca di un particolare che fosse passato inosservato, o che fosse stato poco lavorato da altri sceneggiatori, ed è così che riesuma un capitolo polverosissimo di Peter Parker: i suoi genitori.
All’inizio di tutto il Sorridente Stan e l’infaticabile Ditko ci dissero semplicemente che i genitori del protagonista erano morti e lui era stato cresciuto dai suoi zii che erano per lui dei veri e propri genitori. Solo dopo un po’ si cominciò a gettare qualche luce di approfondimento in quella direzione, prima specificando che si trattava di un incidente aereo, e poi in un breve ciclo di storie si svelava il vero lavoro dei coniugi Parker: spie per conto del governo statunitense.
Quella fu a memoria di Nerd la prima spy-story del Ragno e da quel dì poche altre volte Spidey si è trovato a vestire i panni da Bond di turno.
Purtroppo Waid non ha pensato che se su un aspetto di un personaggio c’è così tanta polvere sopra non significa sempre che qualcuno se lo è dimenticato. È più probabile che qualcuno voglia averlo dimenticato.
Parliamoci chiaro: Peter è un eroe urbano, un newyorkese doc che ha nostalgia di casa già quando esce in giardino per ritirare la posta dalla cassetta, non è tagliato per gli intrighi, le pallottole e le macchine decappottabili. E poi l’Uomo Ragno non uccide, che razza di spia non uccide?
Insomma, questo resta il grosso fallimento alla base della storia.

ta-dan

Quello che avete appena visto dovrebbe essere il colpo di scena principe della storia. Mmm.
Devo dire che Waid gestisce abbastanza bene questo twist, nonostante gli eventi precipitino ad una velocità pazzesca: in appena tre vignette Peter scappa rocambolescamente dai suoi assalitori e conosce sua sorella(?). Purtroppo, per rimanere in tema, il senso di ragno nel lettore scatta abbastanza forte fin da subito.
Peter una sorella?! Non è credibile.

Sto per spoilerare di brutto.

Lo scrittore gioca la carta succedersi degli eventi a catena = non c’è tempo per pensare per evitare di farci fare due più due e questa, devo dire, funziona abbastanza fino a poco più di metà storia, ovvero dopo gli eventi ambientati nel casinò.

L’umorismo di Waid è molto valido per il ragno: punto a favore per lui.

Una volta che nella baita ci verrà svelato il perché certe persone diano alla caccia a Peter in quanto Parker e non in quanto Ragno i lettori più scaltri intuiranno tutto il giochino di Waid: Teresa non è la sorella di Peter ma è solo Mentallo (il classico nome che ti fa chiedere:«quali poteri avrà mai?», come del resto anche «Uomo Ragno», se vogliamo dirla tutta…) che sta trollando pesantemente il cervello di Peter costretto da quel panzone in camicia hawaiiana di Kinping (‘nuff said!). Tutto questo per ritrovare una specie di tesoro inca sepolto nel deserto di chissenefrega e contenuto in una cella apribile soltanto da Richard Parker (con la tecnologia odierna però, ci spiega la spia della baita, si può imbrogliare quei sistemi di sicurezza vecchi più di vent’anni utilizzando il Dna di Peter, il più simile al mondo a quello di Richard. Perché non Teresa? questione di cromosoma “Y”, direbbero i piselli di Mendel).
E qui, proprio sul finale, la storia passa da carina a fiasco.
Comincia la sagra delle forzature, una su tutte far indossare a Peter il costume nero di McFarlaniana memoria una volta che quello rosso e blu si è ridotto a brandelli durante gli sconti al casino.

Però se lo disegna Dell’Otto a Peter gli possono pure fare indossare il costume da Fantastic- Four con la busta in testa.

Altra grande forzatura è il finale: dopo tutto il patatrac, ci sarà la classica battle-royal da battue conclusive di Spy Story con Nicolas Cage dove tutti i pretendenti al tesoro si ritrovano in una sola stanza a scannarsi. In questo frangente Mentallo recupererà la propria dignità e sparerà un po’ di granate telepatiche nelle menti di tutti cancellando la memoria a Kingpin, Terersa e tutti gli altri presenti (che oltretutto avevano pure scoperto l’identità segreta di Spidey).

Come vedete il vero aspetto di "Teresa" è questo: bionda con gli occhi azzuri. È più probabile sia l'ennesimo clone di Gwen Stacy che la sorella di Peter Parker.
Come vedete il vero aspetto di “Teresa” è questo: bionda con gli occhi azzuri. È più probabile sia l’ennesimo clone di Gwen Stacy che la sorella di Peter Parker.

Dunque tutto il casino è cancellato con un colpo di spugna troppo banale persino per un film degli X-Men. Bella merda.

Waid, secondo me conscio di questa cagata che gli deve essere stata obbligata dal Quesada di turno affinché la storia venisse usata in continuity, prova a recuperare infilando il colpo di scena finale: un flashback dove ci viene mostrata Mary Parker in dolce attesa di una pupina e, tornando ai nostri giorni, la spia della baita che attraverso un controllo incrociato del dna contenuto nella saliva di Teresa rimasto sul bordo della tazza da cui aveva bevuto un tè durante la sua permanenza in Francia scopre un grado di parentela elevatissimo fra Teresa e i Parker, lasciandoci supporre di essere quindi veramente la figlia o perlomeno la cugina.
Ma tanto tutto questo non verrà mai sviluppato in trame ulteriori, perché le Spy Story con il Ragno non funzionano e questa Family Business ne è, ahimè, la riprova.

Kingpin legnato dal costume nero resta, comunque, un piacere da vedere.
Kingpin legnato dal costume nero resta, comunque, un piacere da vedere.

 

Pro: I disegni di Gabriele Dell’Otto valgono veramente l’acquisto a priori del volume. In più Waid, benché scriva una storia abbastanza scontata, si dimostra capace nel curare aspetti fondamentali dell’Uomo Ragno: l’umorismo, la “sfortuna dei Parker” e, cosa che avevo già apprezzato tantissimo in Daredevil, la cura nel descrivere e farci capire il funzionamento dei poteri ragneschi mostrandoci per esempio come può essere sfruttato il senso di ragno (il combattimento nel casinò con Cyclone ne è un esempio formidabile).

Contro: Spider-Man e le Spy Story non funzionano. non lo hanno mai fatto e non lo fanno stavolta. Certo, è sicuramente qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima, come tiene a dirci lo stesso Waid nell’introduzione, ma forse un motivo c’era.
L’utilizzo di Mentallo rovina completamente il resto della storia, facendo sgamare a qualsiasi lettore, con un poco di dimestichezza con il mondo supereroistico, il finale con largo anticipo.
Infine, ma questo è solo un mio vezzo e non un vero “contro”, Se da un lato lo Spider-Man Dell’Ottiano è da contemplazione perpetua, Peter Parker è disegnato troppo bello. Lo so, è un parere personalissimo, ma per me Peter dovrebbe essere non un bellone ma un ragazzo carino, non un playboy ma uno che può piacere alle ragazze più per la sua simpatia e la sua intelligenza che per i suoi begli occhioni e la messa in piega del ciuffo.

Dai, sembra Cristiano Ronaldo.

 

 

Amazing Spider-Man: Family Business
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