Beast of No Nation è il terzo lungometraggio di Cary Fukunaga, regista americano noto per aver girato tutti gli episodi della prima e ormai leggendaria serie di True Detective; rilasciato in contemporanea su Netflix e nelle sale cinematografiche il 16 ottobre 2015, il film, tratto dal libro omonimo di Uzodinma Iweala, segue da vicino le vicende di Agu, bambino soldato nella guerra civile ghanese.
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Che il progetto di Fukunaga sia ambizioso lo si capisce sin dalle prime scene: Agu e i suoi amici girano per il loro villaggio portandosi dietro i resti di un televisore e offrendo ai passanti, invitati a vedere oltre un immaginario schermo, degli spettacoli di intrattenimento improvvisati sul momento, in cambio di qualche spicciolo o qualcosa da mangiare.
L’efficace espediente non solo dà corpo alla spensieratezza ludica di cui il ragazzo sarà privato quando verrà arruolato nell’esercito guidato dal Commandant ma propone da subito una chiave di lettura utile a leggere gli sviluppi successivi della storia.
Beast of No Nation non è solo un film incentrato sulle drammatiche conseguenze della guerra, ma è anche una potente riflessione sulla de-personalizzazione dell’individuo attraverso un indottrinamento che è prima di tutto a carattere narrativo.
Le vicende raccontate sono tanto tristemente verosimili quanto conseguenza di una visione distorta della realtà attraverso la quale i bambini vengono progressivamente privati della loro identità e plasmati in soldati.
Una discesa negli abissi che si presenta prima con la maschera del gioco, poi con quella del riscatto e infine come vero e proprio ideale escatologico: l’umano si trasforma in arma in un contesto nel quale lo stato di guerra permanente è l’unica realtà riconosciuta e accettata.
Agu sfugge alla devastazione del suo villaggio da parte delle forze governative, impegnate in una guerra intestina con le milizie ribelli; dopo aver assistito all’uccisione del padre e del fratello, il ragazzo vagabonda senza meta nella giungla, fino a quando non viene trovato dal plotone di ribelli guidato dal Commandant (semplicemente una delle migliori performance attoriali di Idris Elba, fino a oggi).
Da questo momento comincia l’iniziazione del ragazzo, chiamato a “morire” come uomo e “rinascere” soldato.
La catechizzazione si sviluppa attraverso un’autentica mitopoiesi: alle reclute è richiesto di sottoporsi a delle prove di purificazione; riti di passaggio che sembrano fuoriuscire direttamente dalla cernita fatta dall’antropologo Van Gennep, compiuti in un contesto ieratico, con armi e pratiche belliche trasformati in strumenti di culto. Le sofferenze vissute da Agu vengono ricondotte a un fantomatico nemico, un’entità contro cui lottare con ogni mezzo a disposizione; un male talmente profondo da giustificare ogni azione atta a debellarlo. Il Commandant si definisce contemporaneamente come autorità incontestabile e saggia figura paterna.
Il battaglione si trasforma così nella nuova famiglia del ragazzo; fucili e pistole sono i relativi giochi e l’uccidere il mezzo necessario per riconquistare la capitale, trasfigurata in una terra in cui ogni sacrificio sarà ripagato.
Fukunaga è attento a bilanciare passaggi crudi, diretti e chiari a momenti più
introspettivi, senza però sconfinare nel metafisico alla Iñárritu di Revenant o raggiungere il simbolismo delle battute conclusive di True Detective.
Il suo cinema è sicuramente caratterizzato da un filtro costante: uno sguardo pervasivo che condiziona la lettura delle immagini; non pratica la sottrazione ma anzi lavora sulla creazione di un’estetica coesa che si costruisce scena dopo scena.
A impressionare in Beast of No Nation è proprio la compattezza della struttura narrativa: intreccio (semplice), fotografia (raffinata e a tratti struggente) e colonna sonora (un Dan Romer perfettamente a suo agio con il compito) sembrano il frutto di un unico movimento, composto al solo scopo di servire un messaggio; un meccanismo narrativo delegato a proporre una specifica lettura degli eventi.
Duro, impegnativo e incapace per sua stessa natura di scendere a compromessi, Beast of No Nation è un film che potrebbe non piacervi ma che difficilmente vi lascerà indifferenti, che ha inoltre il pregio di non limitarsi a una sterile retorica sulla bestialità della guerra, ma di spingersi più a fondo, con l’obiettivo di mostrare le terrificanti dinamiche mediante le quali una persona abdica alla propria umanità.
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