Ho incontrato per la prima volta Luca Tarenzi esattamente il giorno prima della nostra intervista, durante il Workshop tenuto a Lucca C&G da Francesco Dimitri, sabato due novembre. La prima cosa che Luca ha fatto quando mi sono presentato è stata abbracciarmi.
Penso che questo descriva bene la persona con cui mi sono ritrovato, piacevolmente, a conversare il giorno successivo. Sorriso inamovibile dal volto, risata contagiosa, vitalità quasi pericolosa, disponibilità, pressoché, totale.
Intervistarlo è stato, prima che un privilegio, un vero piacere e poco importa se le mie capacità di intervistatore, o di giornalista d’assalto se più vi aggrada, si sono rivelate fantozziane (leggi: smascellamento degno di un dromedario indiano, registratore modello anteguerra alimentato a vapore, incapacità di offrire una colazione causa vergognosa mancanza di pecunia), ho trascorso comunque una bella mattina, fra miti, corse disperate in mezzo alla folla per cercare di non arrivare in ritardo alla conferenza a cui Luca doveva presenziare, cosplayer e Lucca. Sì, perché, durante la fiera, Lucca risplende di una luce particolare; che ci sia il sole o la pioggia, sembra sempre essere lì, ad assicurarsi che tutto vada per il meglio, magari osservando la situazione dall’alto di uno dei suoi palazzi. Sarà che sono sempre stato propenso a farmi i viaggi mentali, ma un ringraziamento alla città, dopo ogni edizione di Comics & Games, mi sembra doveroso.
Ma ora bando alle ciancie, a voi l’intervista:
*Insieme a Luca ho avuto il piacere di conoscere Aislinn, giovane autrice che ha presentato il suo primo romanzo, Angelize, proprio a Lucca e che ha partecipato alla nostra chiacchierata.
– Partiamo da Godbreaker: una delle caratteristiche del titolo è quella di miscelare insieme miti e mitologie dalla provenienza più disparata. Oltre a questo, però, non sfugge una tendenza ludica, una voglia di giocare e divertirsi, non comune. Visti anche i tuoi studi – Tarenzi è laureato in storia delle religioni – , come si sono legati questi due aspetti durante la stesura del romanzo?
Io sono un giocatore di ruolo. Feroce, accanito. Ho cominciato quando avevo tredici anni, adesso ne ho trentasette e se fai la sottrazione viene fuori un bel numero. Ventiquattro anni di gioco ininterrotto, tutti i sabato pomeriggio. La voglia di giocare, quindi, non mi manca mai. A cosa è servito lo studio effettivo dei miti? A trovare gli spunti, a farmi venire le idee. Io sono un fan della serie di Percy Jackson e apprezzo molto il modo in cui Rick Riordan ha reinterpretato la mitologia classica ma, con Godbreaker, non volevo fare quello. Mi sono detto: se scrivo uno storia sulle divinità mi voglio andare a cercare quelle che non conosce nessuno!
L’aspetto delle studioso è quindi stato utile per scoprire delle cose poco note, i miti strani, le divinità particolari. La nozione ricavata però, visto che si parla di un romanzo e non un saggio, serve solo a ricercare, appunto, lo spunto. Non mi sono mai sentito in dovere di rispettare rigorosamente il mito. Anzi, credo sia molto più interessante scompigliare le carte. Fare in modo che un personaggio neghi, magari, la versione di Omero, proponendo una storia alternativa. Chiaramente questo procedimento presuppone la conoscenza del mito di partenza. Del resto facevano così anche i narratori classici quando raccoglievano tutto il materiale a loro disposizione cercando di ordinarlo coerentemente. Chi ci assicura che non ci mettessero del loro?
– La cosa interessante è che, così facendo, si vanno a sovrapporre due tipi di archetipi: quello narrativo, incarnato da una certa tipologia ricorrente di personaggio, e quello mitico. Legare infatti una divinità a un preciso ambito la porta ad avere determinate caratteristiche.
Assolutamente. Quando pensavo a come caratterizzare Liàthan – uno dei protagonisti del romanzo – ne parlai con mia moglie.
Come potrebbe essere questa persona? Le chiesi.
Scusa, ma: come nasce? chi è? Rispose giustamente.
Un guerriero indoeuropeo, nato in epoca preistorica, più o meno nel II millennio a.C.
Perfetto, incalzò lei, quindi è un maschilista violento e privo completamente di tatto o eleganza.In effetti, che altro poteva essere?
Con questa idea in testa mi sono mosso per costruire il personaggio.
Un aspetto che che non sempre viene sottolineato è la differenza tra Zeus nell’Iliade e nell’Odissea. Lo Zeus dell’Odissea sembra il padre di quello dell’Iliade. Nel primo testo infatti non abbiamo tanto il saggio padre degli Dei quanto una giovane, potente e arrogante divinità. Ecco, il mio Liàthan doveva essere così.
Qualcuno mi ha fatto notare che Liàthan non si dimostra molto intelligente ed era proprio quello che volevo. Come è possibile che una persona stupida sopravviva per quattromila anni? Penso che non sia necessario essere i più furbi per sopravvivere nei millenni, basta essere, come suggerisce lo stesso Liàthan parlando con Molly – altro protagonista – i più forti, i più cattivi e i più spietati.
Ecco Liàthan è potente, perché la divinità che incarna è potente, bastardo e molto fortunato.
– Hai nominato Molly. Leggendo qualche altra tua intervista (fra cui quella molto bella rilasciata a Fralerighe – Fantastico) ho notato che Molly è il tuo protagonista, solitamente, meno analizzato e questo penso sia un vero peccato. Personalmente una delle cose che ho amato di Molly è la sua entrata in scena. Nel libro infatti presenti il personaggio partendo dalla sua gestualità, offrendo al lettore prima il corpo di Molly e, successivamente, Molly stessa.
Capisco che questa scelta sia dovuta anche al suo lavoro – Molly lavora come ragazza in vetrina in un famoso quartiere di Amsterdam – ma, è possibile, che anche il fatto che sia l’unico rilevante personaggio completamente umano in una storia popolata da divinità abbia imposto quest’approccio? Non credo sia semplice dare sostanza a “una persona normale” quando tutti i suoi compagni possono vantare una grande varietà di poteri.
Domanda complicata, cercherò di riassumere la risposta anche perché sono contento di avere l’occasione di parlare di Molly. Gli altri due protagonisti sono figure gigantesche, titaniche. Liàthan proprio fisicamente, Edwin per la sua crociata impossibile. Molly appare inizialmente come un nanetto in mezzo a due giganti. Se Edwin è stato il personaggio che ho avuto più difficoltà a scrivere, perché è stato quello che più ho faticato a comprendere, Molly è stata, sempre, il mio punto di vista preferito.
Neil Gaiman una volta disse che preferiva scrivere le donne rispetto agli uomini, perché. secondo lui. erano più complesse e meno lineari. Ecco, lo capisco, a me piace veramente tanto confrontarmi con un personaggio femminile, anche se spesso mi dicono che la mia donna interiore è simile a una ragazzina di quattordici anni.Molly è l’unica persona che sin dalle battute iniziali ha compreso la situazione. L’unica che ha visto e sentito la storia fino in fondo. Liàthan non la conosce. Edwin non la capisce. Lei la conosce e la capisce. Cerca di fermare questo meccanismo perché ha pietà di tutti. Pietà per Edwin ma pietà pure per Liàthan. Pur essendo l’unica comune mortale, è la sola che possiede la visione d’insieme. Si tratta del personaggio più eroico della storia, quello che si confronta realmente con forze abissalmente più forti. Alla fine risulta facile parteggiare per lei.
Per quanto riguarda il discorso della fisicità: il punto è che Molly è una ragazza in vetrina. La prima cosa che la gente nota di lei, passando, è il suo corpo in bikini.
Per raccontare Molly quindi, io che passo ad Amsterdam ogni volta che posso perché la considero la mia patria spirituale, sono andato a parlare con le ragazze in vetrina. Le ragazze in vetrina fanno un lavoro simile a quello dell’astronauta: 90% pura noia, 10% puro panico. Il mercoledì pomeriggio di un giorno di pioggia non è che ci siano tutti questi clienti, e loro hanno voglia di chiacchierare anche solo per ammazzare il tempo. I dettagli, lo scenario e i gesti descritti nel libro sono frutto di queste conversazioni.
– Molly viene anche descritta nella sua quotidianità o durante rituali comuni come quello del jogging. Non si tratta certo della comune bomba sexy.
Sì, volevo creare una ragazza credibile. L’idea della corsa mi è venuta perché una delle ragazza con cui ho parlato (una gran bella donna tra l’altro) si vedeva troppo in carne e ripeteva che avrebbe dovuto fare esercizio o andare a correre. Per Molly quindi andare a correre è un modo per tenersi in forma. Si tratta di un lavoro dove non ti puoi permettere di non essere curata, la concorrenza è feroce. Come per tutti gli altri i lavori, ci sono motivi per sentirsi sotto pressione anche per le ragazze in vetrina e ho cercato di ricreare tutte queste sfaccettature durante i momenti dedicati a Molly.
– Mi piacerebbe coinvolgere entrambi per una domanda. In un’intervista, Luca ha dichiarato che, secondo lui, una delle peculiarità proprie del genere urban fantasy è l’ironia. Ripensando anche a Saint Vicious – racconto scritto da Luca Tarenzi pubblicato nella raccolta Sanctuary edita da Asengard – in cui la figura di un angelo viene impiegata in un contesto essenzialmente comico, vorrei chiedervi: come mai vi sentite così liberi quando fate uso di certi personaggi? Credete che sia una loro qualità intrinseca quella di permettere l’uso di registri diversi o è. invece, un vostro attributo?
Aislinn: Per me utilizzare un angelo o un demone è come impiegare un vampiro o un licantropo. Sono figure del mito o del fantastico e mi diverto a utilizzarle. Il mio registro è sempre in qualche modo legato all’ironia, quindi mi viene assolutamente naturale. Penso che angeli e demoni offrano tantissime variabili e tantissimo materiale per una storia. Non inizio mai dicendomi “adesso scrivo urban fantasy”, a me vengono in mente personaggi e storie, solo che questi sono gli strumenti con cui mi trovo più a mio agio.
Luca Tarenzi: Io ho un approccio diverso, invece. Ho iniziato a scrivere urban fantasy perché volevo cimentarmi con il genere, perché lo leggevo e mi piaceva. Per quanto riguarda l’uso dell’ironia, c’è una ragione generale e una ragione specifica: In Italia l’urban fantasy è stato sdoganato tramite il paranormal romance, che altro non è se non una provincia dell’urban fantasy stesso. Una delle radici effettive del fantasy metropolitano degli albori invece è il noir. Pensate a strade buie, personaggi misteriosi, trench (uno dei pochi abiti moderni in grado di nascondere una spada, come insegna Highlander), tutti elementi tipici del noir che vengono saccheggiati. Un’altra particolarità del noir, a partire da Chandler, è l’ironia. L’urban fantasy quindi prende da qui la sua natura ironica.
Perché la uso io, nello specifico? Uno dei miei autori prediletti dell’urban fantasy è un autore che in Italia, praticamente, non è mai stato tradotto, Jim Butcher.
Jim Butcher scrive, da anni, una serie chiamata The Dresden Files che mi ha folgorato sin dal primo volume. C’è questa scena del primo volume, Storm Front, che cito sempre, in cui il protagonista e una giornalista intenta a intervistarlo sono attaccati da un demone all’interno della casa del primo. Lui intima a lei di correre in un cerchio magico, in cantina, per proteggerla; dopo essere riuscito a fare perdere un po’ di tempo al demone anche lui trova rifugio all’interno del cerchio…peccato che la giornalista, poco prima, si era bevuta, senza saperlo, un filtro d’amore preparato dal protagonista stesso. Il demone, una volta ripreso, scende in cantina e si trova davanti un cerchio magico, largo un metro e mezzo, con dentro la giornalista che cerca in tutti i modi di spogliare e farsi il protagonista. Ecco, teoricamente questa dovrebbe essere una scena di estrema tensione, di fatto si rivela in grado di fare morire dal ridere.
Io ci risi fino alle lacrime e capii che il tipo di fantasy che volevo fare era esattamente quello lì.
Se pensassimo di fare solo cose serie sarebbe una roba veramente terribile. In generale prendersi troppo sul serio è sempre una roba veramente terribile.
– Concordo. Ultima domanda (abbastanza interessata, a dire il vero): Oltre che Sanctuary, Asengard ha proposto di suo anche “Il sentiero di Legno e Sangue”, rilettura new weird di Pinocchio e seconda, e purtroppo ultima, per adesso, uscita della collana Wyrd. Perché una collana dedicata a pubblicazioni autoconclusive, economiche e molto curate dal punto di vista editoriale (copertina inclusa) è stata chiusa in maniera così repentina? Costasse 18€ me lo sarei spiegato, ma a 8.90€ questi romanzi sono, veramente, regalati.
Credici o no ma, in Italia, queste cose non si leggono (e quindi non si comprano). Questi sono già prodotti più di nicchia e devi pensare che il bacino di lettori globale, nel nostro paese, non è poi così vasto. Questo è il punto. Per quale ragione gli scrittori americani che fanno le stesse cose che facciamo noi vivono di scrittura e invece a noi non riesce? Semplicemente perché gli americani sono di più. Il profitto annuale di un autore americano che fa le stesse cose che faccio io quindi è cinque volte il mio. Peccato che i prezzi delle cose, come un panini, siano, invece, gli stessi.
Concordo pienamente sulle tue considerazioni sulla cura editoriale riposta da Asengard nel prodotto e, nel loro piccolo, i numeri li hanno fatti questi libri. Purtroppo però non bastava in senso assoluto.
Il lettore fantasy medio in Italia, senza fare nessun tipo di lamentela ma semplicemente constatando una situazione, è una ragazza di meno di vent’anni interessata a leggere storie romantiche. Sono il primo estimatore delle belle storie romantiche, ma resta il fatto che il pubblico è quello e viene a mancare la varietà proprio nella figura del compratore.
Siamo pochi. Sembriamo tanti quando intasiamo le strade di Lucca, ma in libreria non siamo abbastanza. Questo è il problema.
– La distribuzione digitale potrebbe essere la risposta?
Avrebbe potuto se le cose fossero andate in maniera diversa. Allo stato attuale il muro eretto è decisamente troppo alto per essere scavalcato con gli strumenti a nostra disposizione. Il nostro paese è un po’ restio alle forme di digitalizzazione, ma, per non scadere in discorsi provinciali, bisogna sottolineare un dato, riscontrabile tranquillamente online e riportato anche alla fiera di Francoforte: il digitale è fermo ovunque. Anche in America. Anche nel resto d’Europa.
Un po’ di boicottaggio? Un po’ di problemi di natura disparata? Non saprei. Però il dato al momento è questo, e te lo dice uno che di ebook se ne compra parecchi, regolarmente.
Pingback:Acheron Books
Pingback:Edizioni Hypnos - Intervista ad Andrea Vaccaro