Nier: Automata è l’ultima fatica di Yoko Taro, folle creatore di NieR e dell’universo di Drakengard.
NieR: Automata è ambientato 100 anni dopo il primo NieR: nel 5012 la terra ha subito un’invasione aliena e delle biomacchine hanno sterminato quasi del tutto la popolazione umana. I pochi superstiti hanno trovato rifugio sulla luna, nella speranza di riuscire un giorno a sconfiggere la minaccia aliena. Il contrattacco umano non tarda ad arrivare ed è condotto da una serie di androidi. Nonostante gli sforzi,sembra non esserci però modo di debellare definitivamente le biomacchine aliene e per questo viene costituita la squadra di androidi YoRHa. L’obiettivo è quello di risolvere la situazione di stallo e porre fine all’estenuante conflitto.
Il nostro ruolo? Vestirete i panni di 2B, unità da combattimento della squadra YoRHa che verrà spedita con i suoi compagni sulla Terra per vincere le biomacchine. Ma Nier è soltanto questo: robot scosciati VS Biomacchine tra le più quadrate? No
Yoko Taro indaga i più intimi e meschini meandri della natura umana attraverso le due figure: gli androidi 9S e 2B. Eviterò di parlarvi, nel dettaglio della trama poiché tutti gli eventi e gli elementi raccontati nelle 30-40 ore necessarie a raggiungere i cinque i finali sono semplicemente funzionali ad un discorso ben più alto della semplice guerra; il punto di vista nichilista di Yoko Taro è chiaro e assume ancora più senso quando ci si lancia alla scoperta delle decine e decine di sotto-trame raccontate in altrettante missioni secondarie.
Nel titolo Square Enix non c’è spazio per i topoi tipici della narrativa ruolistica nipponica, ma solo una continua scoperta di elementi che vanno a minare la figura – assurta, nel frattempo, quasi a divinità – dell’uomo. Il tutto in un equilibrio misurato tra fasi narrative e porzioni action che sembra quasi non voler arrendersi al sempre più popolare trend, in ambito J-RPG, di dialoghi prolissi ma vuoti: in Nier Automata si parla relativamente poco ma lo si fa bene.
Fra una fase action di quelle tipicamente bullet hell e schermaglie a colpi di schivate alla velocità della luce, si scava nel profondo delle contraddizioni di cui noi stessi siamo protagonisti, senza fare sconti di alcun tipo. Quella di Nier Automata è una storia ad ambientazione post-apocalittica di cui i due androidi eroi sono i protagonisti e, al contempo, una narrazione che si presta a più chiavi di lettura, pur allontanandosi dal concetto di “emersione dal malessere adolescenziale” di opere giapponesi dalla tipologia similare, come Neon Genesis Evangelion, avvicinandosi più al tono maturo e alle idee esistenzialiste maturate da Mamoru Oshii, nel 1995, nel celebre Ghost in the Shell. L’importanza di Nier Automata, dal punto di vista prettamente narrativo, nel contesto contemporaneo, è tale da rendere tutti gli altri elementi che compongono la produzione praticamente irrilevanti.
Eppure sotto la scorza dura di una scrittura fra le più intelligenti mai vantate da un titolo Square Enix, giace un cuore di un Action RPG, fatto pulsare da Platinum Games.
La realtà è che, seppur esteticamente appagante nel suo scoppiettio continuo di effetti particellari e giochi di luce, il sistema di battaglia scelto non incarna a dovere il tecnicismo tipico di classici come il grande Bayonetta o Metal Gear Rising, altra opera Platinum. La scelta di Square Enix è stata quella di adornare l’esplorazione delle desolanti ambientazioni con combattimenti serrati e dominati dalle logiche tipiche degli scontri in tempo reale, ma al contempo estremamente semplificati, per venire incontro ai fruitori dell’opera originale.
L’approccio ludico scelto è di quelli quasi button mashing, in cui il tempismo richiesto per eseguire le tipiche schivate “alla Bayonetta” si dimostra fin troppo accomodante, lasciando ai giocatori più smaliziati la possibilità di alzare livello di sfida con due livelli di difficoltà maggiorati, di cui uno sconsigliato dal titolo stesso in cui un solo colpo a segno dei nemici equivale a morte certa.
La presenza di diverse tipologie di armi, unite alla grande quantità delle stesse, non riesce mai a diversificare a dovere le schermaglie e una volta individuate quelle più potenti è possibile giungere ai titoli di coda senza particolari problemi. Se non altro la presenza di diversi personaggi giocabili, ognuno dei quali dotato di abilità uniche, permette di affrontare le diverse situazioni che il titolo riserva (per lo più legate a giochi prospettici) in modo sempre diverso.
I pod, ovvero le armi a distanza che svolazzano attorno ai due protagonisti, si sono dimostrati abbastanza inutili durante la mia partita, fatta eccezione per una sola loro funzione tra le tante disponibili. Duole ammettere che la loro incidenza è ben inferiore rispetto a quella di Grimoire Weiss (presente in Nier )– di cui fanno le veci –, soprattutto alla luce dell’estrema potenza già vantata dai protagonisti fin dal principio, per non parlare di quando li si potenzia con i chip ritrovati sul campo di battaglia o acquistati presso i venditori negli accampamenti della resistenza androide.
Inutile poi spendere parole sul meticoloso lavoro artistico portato avanti dall’accoppiata Keiichi Okabe (ccompositore storico della serie, che si è appena occupato del DLC Episode Gladiolus di Final Fantasy XV) e Akihiko Yoshida (Vagrant Story) che sarebbero capaci di farci struggere anche di fronte ad un pixel nero su schermo bianco (e guardando alle fasi di hacking, l’esempio calza a pennello). L’adattamento per il mercato Occidentale vanta una qualità ben al di sopra degli standard attuali, con una doppia traccia sonora giapponese/inglese di pari valore e in una traduzione italiana di buon livello.
Infine un commento su come Square Enix ha cercato di mitigare gli aspetti più controversi legati alle precedenti produzioni di Yoko Taro, come la necessità di rigiocare più volte porzioni completate in precedenza per ottenere un finale diverso (che poi è una consuetudine del genere visual novel).
Alla fine della prima run viene spiegato, in un messaggio firmato da “PR Square Enix”, che è necessario rivestire nuovamente i panni di 2B e 9S per scoprire maggiori dettagli riguardo la trama e le meccaniche di gioco, e in tal senso non si può che essere contenti nel vedere come un’azienda come la Square cerchi di avvicinare il pubblico più mainstream ad un’opera autoriale e di nicchia. In ogni caso, ogni volta che si ricomincia il gioco l’esperienza è arricchita da missioni specifiche per ogni personaggio, eventi addizionali e la possibilità di saltare le cinematiche.
Nier Automata è il migliore titolo mai realizzato da Yoko Taro, per la maturità con cui lo sviluppatore veicola certi messaggi invitando alla riflessione. Duole constatare come, ancora una volta, Square Enix abbia dirottato gli sforzi economici su IP dominate da ben altre caratteristiche (Final fantasy XV), ma nonostante tutto il gaming made in Japan dimostra di avere qualcosa da dire e Nier Automata ne è la prova.