La genialità di Silvana Gandolfi è stata quella di imbastire un’opera concettualmente complementare, deliziosamente crossover: Pasta di drago ha un’anima doppia e si rivolge a  diverse categorie ed età di lettori – i livelli di interpretazione sono multipli.

La trama
Di notte nei vicoli di Kathmandu, Andrew, uno svogliato turista inglese di mezza età, deluso dalla vita, esce a prendere una boccata d’aria. Sotto la luna un mendicante gli chiede di consegnare un prezioso barattolo di Pasta di Drago alla sua nipotina, la kumari reale di Kathmandu; se spalmato sul corpo, l’unguento blocca le persone nell’età che hanno al momento. Ma Andrew l’assaggia: ha un buon sapore di bacche di ribes. Mangia la pasta di drago e la vita comincia a sorridergli; troppo tardi s’accorge di ringiovanire un anno al giorno. Rischia di tornare bambino, lattante, di scomparire nel nulla. Sarà proprio l’altezzosa Dea Bambina ad accompagnarlo in un’estenuante scalata dell’Himalaya dove, fra nevi perenni, yeti e uomini del vento, si cela la sua unica possibilità di salvezza…

Apro la Pasta di Drago
Il personaggio della kumari inizialmente sceglie – in consapevolezza – la stasi: per sempre vuole rimanere bambina, relegata in uno stadio pulsionale d’onnipotenza reputata. Questo le garantisce lo status privilegiato di Kumari, e poco le importa delle relative restrizioni, le stesse storicamente riservate ai figli di re o di gran sacerdoti, condannati all’alienazione in nome del popolo. Questo il desiderio inconscio di ogni bambino che, se nella dimensione ludica si approccia con curiosità alla realtà adulta, vorrebbe piuttosto restare al sicuro nel regno infantile in cui ogni suo desiderio è prontamente esaudito.
“«Non è così male stare a casa con mamma e papà! Ridicolo! Qui tutti mi venerano. Ogni mio cenno è un ordine. Non devo fare nessuna fatica. Se torno nel mondo mi toccherà sposarmi, prima o poi, e allora saranno guai…»”
Silvana Gandolfi scardina, nel piccolo lettore questo bisogno, servendosi proprio del personaggio della kumari: significativo è il suo cambio di nome. L’incontro con il rassegnato Andrew sancisce la dimissione della onnipotenza infantile – e del relativo egoismo – simbolizzata dal suo status sociale: la Kumari, diventata Didi, è pronta a crescere, alla metamorfosi. Abbandonati i panni regali, deposta l’altezzosità che l’aveva resa una graziosa e viziata belvetta, Didi si fa donna accanto ad Andrew: altruista, incline a socializzare e al lavoro di squadra. Altrettanto esplicativo, in tal senso, l’episodio del sanguinamento.  Non è casuale che questo sia il gradino d’ascesa, immediatamente portante al picco di climax dell’opera: l’abbandono di Didi che, inavvertitamente ferita da Andrew – da lui fatta sanguinare – entra a contatto col proprio sangue, realizzando di aver perduto lo status di kumari, di “dea in terra”, e di essere diventata non soltanto umana, ma donna, adulta.
«Ho perso sangue… per la prima volta nella mia vita ho perso sangue! È finita! Finita! (…) Non sono più Kumari! (…) Io, io lo so che ho perso sangue! Io lo so di non essere più una dea. Già mi sento diversa…»
Il personaggio di Andrew, invece, sembra confezionato per il lettore adulto. Mirabilmente caratterizzato, e già dall’incipit, esponente – per riflesso della moglie – di una americanità caricaturale, è il tipo canonico di adulto irrisolto, assuefatto ai corsi per corrispondenza, che conduce un’esistenza non appagante. Gli è concessa un’occasione che tutti vorremmo: tornare non solo a contatto con la propria parte bambina ma, addirittura, vivere una seconda volta, e risolversi. Una seconda occasione. Queste le due anime del romanzo che, in complementarietà, danno vita a un gioiello della narrativa per l’infanzia – che, pure, al genere non troppo si appoggia – ma anche a una lettura brillante e godibile per il lettore adulto; a ciò si sommano, aspetto peculiare nelle opere della Gandolfi, l’ambientazione esotica e il viaggio in culture lontane. Quella dell’infanzia resta una dimensione salvifica: l’idea di Tempo dell’autrice non corrisponde a quella lineare – e Pasta di Drago lo ribadisce con efficacia, a gran voce.

L’Autrice

Silvana Gandolfi è nata a Roma, dopodiché ha fatto con passione il meno possibile, sperando sempre di trovare un sostituto che faccia le cose per lei, come avviene ne “La scimmia nella biglia”. Ha un grande talento nell’esercitare la sua pigrizia in posti lontani, raggiungibili solo con viaggi lunghi e molto, molto faticosi. Si è fatta largo a colpi di machete nella giungla africana per contemplare immobile per due giorni un ippopotamo ammollo in uno stagno. Ha attraversato sette mari e due oceani per stendersi per alcuni mesi su un’amaca in un’isola sperduta. Dopo aver scritto il suo primo libro per ragazzi è andata a riposarsi in Nepal, dove è stata azzannata a un polpaccio da una scimmietta, ma dove ha tratto anche l’idea per “Pasta di drago”. Trascorre molto tempo a Venezia, città contemplativa, abitata da gatti con gli occhi magici che l’hanno ispirata per “Occhio al gatto”. Quando suo figlio Luca era bambino, Silvana inventava storie per lui in modo da avere un ottimo pretesto per non cucinare o stirare. Ha scritto novelle, romanzi d’amore, racconti per la radio, ma ora si dedica soprattutto ai libri per bambini. I bambini – dice – sono gli unici a non criticare la mia pigrizia. Tutti i romanzi dell’autrice – raffinata, cosmopolita e moderna – editi da Salani, sono di qualità eccezionale perché non appoggiati alla narrativa di genere: non indulgono alla “serialità” e non intraprendono facili scorciatoie per cattivarsi l’attenzione del piccolo lettore. Ogni romanzo è costruito attorno a trame forti, la struttura narrativa è forte.

La Collana: storia di un successo editoriale tutto italiano

Nel 1987, Donatella Ziliotto, portando alla casa editrice Salani il suo bagaglio di cultura, gusto ed esperienza, dà avvio alla collana «Gl’Istrici», i cui testi davvero «pungono la fantasia» dei lettori. Ziliotto recupera sia autori della vecchia Vallecchi da lei introdotti in Italia sia autori come Roald Dahl (1916-1990), che, dopo un avvio in sordina con Mondadori e con Emme, conosce con Salani un enorme successo di pubblico. Nella prefazione al catalogo storico in occasione del «Ventennale più uno» della collana, Luigi Spagnol nota come si sia «disegnato […] un percorso di grandi autori e di libri meravigliosi» e indica fra i pregi della collana la presenza «del meglio della letteratura internazionale per ragazzi»; non si può dargli torto perché l’intelligenza delle scelte di Donatella Ziliotto ha saputo, fra i tanti altri nomi, portarci dall’Austria Christine Nöstlinger; dalla Gran Bretagna Anne Fine, Michael Morpurgo, Philip Pullman, Jacquile Wilson, dalla Finlandia Tove Jansson, da Israele Uri Orlev. Oggi la collana, una delle più vendute in Italia, ha lasciato la tradizionale copertina per una nuova veste, forse meno appariscente ma altrettanto indicativa di una volontà di prosecuzione all’insegna di una sobrietà che nasconde intelligenza, equilibrio e finezza nelle scelte.

Fonti:
-Boero Pino, De Luca Carmine, “La letteratura per l’infanzia”, Roma, , pp 302-303, p.337
-Gandolfi Silvana, “Pasta di Drago”, Firenze, Adriano Salani Editore s.r.l., 1996
-Petrina Alessandra, Tosi Laura, “Dall’ABC a Harry Potter – Storia della letteratura inglese per l’infanzia e la gioventù”, Bologna, Bononia University press, 2011, p. 10
-www.salani.it

Pasta di Drago: una visione mia personale

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